Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, Chiusure (Siena)
SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA
8 settembre 2004
Card. Angelo Scola
Patriarca di Venezia
1. «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1). Con queste parole, asciutte e solenni, ha inizio il Vangelo di Matteo appena proclamato. Figlio di Davide e Figlio di Abramo: la nascita temporale del Figlio di Dio viene a compiere una storia di predilezione: quella dell’elezione del popolo ebraico, che è l’orizzonte in cui si colloca per sempre la storia dell’alleanza di Dio col Suo popolo.
Davide ed Abramo, infatti, sono le colonne portanti dell’alleanza che, incominciata con quello che acutamente è stato definito il ‘sacrificio sospeso’ da parte di Abramo, incontra la sua dimensione eterna cioè permanente ‘ quindi passata, presente e futura ‘ in Gesù Cristo, Colui che attua in Sé nello stesso tempo la figura del sacerdote, della vittima e dell’altare. Due pilastri portanti dell’interminabile fuga delle arcate delle generazioni ‘ da Abramo, Isacco, Giacobbe’, Davide, Salomone, Roboamo’, Mattan, ancora Giacobbe fino a Giuseppe «lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo» (Mt 1, 16) – che portano il popolo ebraico, il popolo eletto per tutti i popoli della terra, al ‘sacrificio non sospeso’ del nostro Salvatore.
Il testo della genealogia esprime con incisività e concretezza quanto il poeta Eliot scriveva nei suoi Cori da ‘La Rocca’: «Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo; un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato». Il Figlio di Maria, sposa di Giuseppe, appare nella storia come l’ultimo ‘ cioè il novissimo, il definitivo ‘ di tutto il popolo eletto, come l’Atteso, il punto d’arrivo della storia dell’elezione, colui che è amato alla fine del tempo. Eppure, la catena delle generazioni è appesa a Lui.
In Lui è spiegato l’origine e la fine della genealogia salvifica, ma Egli è in Se stesso e per noi l’ultimo e il «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 29). In questo paradosso ‘ che l’ultimo sia in realtà il primo’ emerge con forza il mistero di Gesù Cristo. Egli è il disegno compiuto del Padre, l’ordo unico dell’uomo, della storia e del cosmo.
In Lui, a Sua immagine, siamo stati predestinati e creati, giustificati, chiamati alla gloria (cfr. Rm 8, 29).
Gesù Cristo è questo ordine. È Lui il disegno compiuto del Padre che, nello Spirito, svela la natura dell’uomo e della storia. Il chi, il che cosa, il dove, il quando, il perché di ogni uomo e dell’umana famiglia vi trova la sua cifra definitiva. Adamo, cioè l’uomo – anche lo stesso uomo di oggi, annoiato, confuso o ferito ma, in ogni caso, teso al destino – viene così afferrato dalla misericordia originaria del Padre dentro la singolare genealogia di Gesù Cristo. Non rifletteremo mai a sufficienza sulle profetiche parole della Costituzione Gaudium et spes ed assunte da Giovanni Paolo II come un cardine del suo magistero: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice» (GS 22).
Alla fine dei tempi Gesù Cristo rivela il mistero del Padre, svelando così il volto vero dell’uomo: il suo essere figlio.
2. Con Gesù, infatti, disegno vivente e personale del Padre, primogenito di molti fratelli, con la nascita del Signore, per cui ‘ come ci ha ricordato Pier Damiani ‘ è stata decretata la nascita della Vergine, entra nella storia quella che Paolo non esita a definire come nuova creatura.
La liberazione annunciata dal profeta Michea nella Prima Lettura si compie in questa nuova creazione. Il re pastore che riceve la sua forza da Jahvé – «Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio» (Mi 5, 3)- non è altro che lo stesso Figlio di Dio. Il Buon Pastore che si fa agnello immolato per salvare il suo popolo dai suoi peccati (cfr. Mt 1, 21).
Nel ‘sacrificio non sospeso’ di Gesù Cristo si compie così in modo definitivo ed eterno l’alleanza conclusa da Dio col Suo popolo e rinnovata di generazione in generazione a partire da Abramo. Qui si rivela il significato pieno della genealogia matteana. L’appartenenza al popolo, segno oggettivo dell’elezione, che per secoli aveva costituito il pegno della salvezza, si dilata in una nuova oggettiva appartenenza, quella della famiglia dei figli di Dio che ha in Gesù Cristo il suo Primogenito. A questa nuova ed eterna alleanza noi apparteniamo quale anticipo presente e consapevole, noi stessi offerti come Gesù propter homines. Per tutti gli uomini di qualunque razza, cultura e religione, fossero anche nostri nemici.
3. Questa novità risplende in modo eminente nella Beata Vergine Maria. L’odierna liturgia saluta Maria Santissima, nella solennità della Sua Natività, come «speranza e aurora di salvezza per il mondo intero» (Preghiera dopo la comunione).
Nel 150° anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione l’odierna festa acquista una luce del tutto particolare. Il Sangue redentore di Gesù Cristo ha preservato la libertà di Maria da ogni macchia, rendendola in questo modo assolutamente innocente, pronta a pronunciare quel fiat che aprì la strada al consummatum est di Suo Figlio.
Nel sì immacolato di Maria brilla così di una luce soffusa la nuova creazione, opera della salvezza di Gesù Cristo. Nel sì della Vergine l’umana generazione e fecondità viene per la prima volta strappata al destino di morte ed annientamento cui soggiaceva dopo il peccato di Adamo. Nella Sua maternità verginale, morte e corruzione non hanno più l’ultima parola. E anche se il Suo Figlio subirà la morte, lo farà in modo inaudito per Sua libera volontà (sponte dice sant’Anselmo), non più perché inevitabilmente sottomesso al terribile chirografo marchiato con la sentenza di condanna. La Natività di Maria, innestata nella genealogia salvifica, dice che la croce non è obbrobrio, ma alleanza piena.
Il Padre non ha sospeso il sacrificio di Cristo perché Gesù è il sacerdote che decide di offrire Se stesso come vittima, assumendo nel Suo corpo, reso altare, tutta la storia.
Oggi, soprattutto nell’Occidente opulento, questo richiamo risuona come vitale. La tentazione di nascondere la croce, mentre l’uomo la infligge ogni giorno all’altro uomo, è troppo forte. E questa rimozione ha infiacchito soprattutto noi europei spaventati e smarriti che pretendiamo sistemi politici così perfetti da evitarci di essere buoni. Alle immani tragedie che dopo il crollo del muro sono piombate addosso inaspettate all’umanità può rispondere il sacrificio del Crocifisso risorto solo perché e se mobilita la libertà di ciascuno di noi.
4. Emerge così fulgidamente la profondità dell’intuizione del Beato Bernardo Tolomei che volle fondare la Vostra famiglia monastica mettendo la vita secondo la regola di San Benedetto sotto la speciale protezione di Maria Nascente.
Dove trovare, infatti, il compimento perfetto di quel labor oboedientiae (Prologo della Regola di San Benedetto) se non in Maria Santissima?
La Natività della Vergine ha introdotto nella storia degli uomini la possibilità dell’obbedienza. Essa costituisce la strada per il compimento della nostra umanità quale nuova creatura in Cristo.
Ma noi non siamo innocenti come Maria. Perciò nelle nostre vicende personali la strada dell’obbedienza non possiede normalmente la forma di un abbandono cordiale e fiducioso, ma è attraversata dalla ferita provocata dal peccato. Una sola strada ci resta per giungere alla meta che brilla nell’innocenza della Vergine, anticipata nella Sua immacolata concezione ed elargita nella festa dolcissima della Sua Natività. Si chiama ascesi. Essa però non è l’esito delle nostre sole forze, quasi che la Trinità fosse una fortezza da espugnare. Certo il tempo ci è concesso ad agonem, ma la nostra è una lotta certa della vittoria di Cristo. San Benedetto parla di «oboedientiae fortissima atque praeclara arma» (Prologo della Regola). Non anzitutto gli sforzi della nostra strategia intellettuale, morale o di pietà, ma l’abbandono al ritmo oggettivo della comunione (obbedienza), che fa vibrare il tempo come sacramento dell’eterno, piega dolcemente la nostra intelligenza e la nostra volontà, compie il desiderio rendendo ilare il sacrificio, educa il nostro volere e fa spazio al dovere. Quel dovere dell’amore che, attraverso la Vergine Madre Figlia del Suo Figlio, viene riversato su noi redenti. Maria Madre di Cristo, Madre dei redenti.
L’Abbazia diventa così l”ortus innocentiae’ dove ogni monaco può ripetere con Anna Vercors, il vecchio padre del dramma di Paul Claudel: ‘Vivo sulla soglia dell’eternità ed una gioia inesplicabile è in me’. Allora come la Natività di Maria è l’aurora della salvezza, la vita dell’abbazia diventa umanamente l’alba di una nuova civiltà per tutti i cristiani e per tutti i fratelli uomini.
Il nostro agone, frutto dell’obbedienza libera e verginale, ha nella domanda a Cristo per intercessione della Madonna la sua espressione eminente.
In questa Solennità della Natività della Beata Vergine Maria, i nostri cuori di figli si raccolgono intorno alla Santissima Madre di Dio ed ancora una volta La supplicano: «Virgo singuláris, inter omnes mitis, nos culpis solútos, mites fac et castos». Amen.