Omelia nella solennità del Corpus Domini (Venezia, 25 maggio 2008)
25-05-2008

Basilica Patriarcale di San Marco Evangelista

 

 

Solennità del Corpus Domini

 

Dt 8, 2-3, 14-16; Sal 147; 1 Cor 10, 16-17; Gv 6, 51-58

 

 

Venezia, 25 maggio 2008

 

Omelia S.E.R. Angelo Card. Scola, Patriarca di Venezia

1. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere» (Dt 8, 2). Mosé invita il popolo alla memoria, a cercare le orme di Dio sul proprio cammino. Israele, che ormai vive pienamente stabilito in Palestina nella prosperità, rischia di dimenticare i quarant’anni del deserto, della fame e della sete, delle continue minacce di morte da cui è stato salvato. Tacitando il proprio bisogno più profondo culla l’illusione della propria autosufficienza.

Ma poi, dentro l’esistenza del popolo come in quella di ciascuno di noi, la condizione del deserto si ripresenta. La mancanza di ciò di cui abbiamo bisogno per vivere (non solo dei beni materiali, ma soprattutto di quelli spirituali) mette alla prova la nostra fede. O recriminiamo o ci affidiamo. La memoria del Corpus Domini, la celebrazione eucaristica, l’adorazione e la solenne processione sono la via maestra per questo affidamento lungo «il viaggio della nostra vita» (Orazione di Colletta). La nostra libertà è chiamata al passaggio dal bisogno all’abban-dono, come ho visto in tantissimi pellegrini – soprattutto negli ammalati, ma non solo – nel recente pellegrinaggio che ho vissuto con molti di voi a Lourdes.

2. «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). Gesù parla fin troppo chiaro, ma la sua rivelazione è durissima. La festa del Corpus Domini, cioè dell’Eucaristia come cuore pulsante di tutta la Chiesa, ci pone davanti ad un grande mistero. «Mistero della fede!» è infatti l’espressione che conclude l’azione della consacrazione che sta al centro della Santa Messa. Un grido di adorazione di fronte a Colui che supera la nostra povertà di creature e rende veramente presente l’infinita ricchezza di Dio, una realtà che non possiamo afferrare compiutamente, ma che ci corrisponde profondamente. L’azione eucaristica, la più elevata tra tutte le azioni umane, anticipa quanto Benedetto XVI ha scritto nella sua seconda Enciclica: noi aspettiamo «la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita» (Spe salvi 27).

3. Pur immersa in un abissale mistero la festa del Corpus Domini è una festa che sentiamo profondamente umana.

Il corpo è la via sempre percorsa dalle nostre relazioni, da quelle più esteriori e superficiali a quelle più intime e costitutive. L’estrema possibilità del dono reciproco passa dall’impegnare il proprio corpo. Lo sanno bene le madri con i propri bambini – sonno, salute’ fino alla stessa vita spesi per loro – o gli sposi l’uno per l’altra. Nell’amore fra persone umane la parola deve diventare carne per compiere la sua verità.

Ma l’amore umano, pur nei più grandi esempi di dedizione, incontra sempre barriere insormontabili che gli si oppongono. Anche la comunicazione più intima non raggiunge l’essenza dell’altro che sempre ci resta altro. Solamente il Verbo di Dio che si è fatto carne ed abita in mezzo a noi realizza il miracolo di oltrepassare i confini di ogni essere corporeo.

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,58). Assumete dentro di voi ciò che sembra stare soltanto accanto a voi – ci dice il Signore Gesù – e, come Io posso oltrepassare i confini, così lasciate cadere i vostri confini, assumendo me. Io vi libero dalla vostra presunta solitudine alienata e vi riprendo nella mia comunione per rendervi capaci di vera comunione tra di voi.

Noi mangiamo il Suo corpo, ma non siamo noi ad assimilare questo cibo prezioso: è proprio facendosi nostro cibo e nostra bevanda che Gesù ci assimila a Sé.

 

4. Nell’esperienza umana elementare mangiare dello stesso pane e bere dello stesso vino è un segno di familiarità, di comunione di vita. Il pasto comune rafforza l’amicizia. Ma qui è l’unico Corpo di Gesù Cristo (Corpus Domini) che ora ha assunto forma eucaristica e che ha il potere di incorporarci a sé: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (1 Cor 10, 17). È Lui infatti che aggrega e unisce. Ci fa veramente compagni (l’etimo latino della parola, formata da cum e da panis, rimanda alla radice eucaristica).

L’Eucaristia realizza l’unità della Chiesa in Cristo, un’unità profonda e radicale, non sentimentale o a basso prezzo. Da riconoscere ed obbedire prima che da costruire. Quanto siamo mancanti a questo livello, quanti peccati commettiamo con leggerezza contro la comunione. Chiediamone umilmente perdono davanti a Gesù sacramentato.

5. «Noi ci accostiamo alla mensa di questo grande sacramento, perché l’effusione del tuo Spirito ci trasformi a immagine della tua gloria». L’uomo che, per grazia, accoglie il dono dell’Eucaristia fa ogni volta una singolare esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che provoca la sua libertà. Accorgendosi allora dell’abissale differenza tra l’infinita libertà di Dio che si dona eucaristicamente e la pochezza dell’umana libertà il fedele si abbandona a Cristo, trasforma la sua esistenza in offerta vivente. Questa assume una vera e propria forma eucaristica sia a livello personale che a livello sociale. Cambia il modo di vivere gli affetti, il lavoro, il riposo. Cambia il modo di usare i propri beni. Cambia il nostro sguardo sugli altri. Anche dentro la prova e la contraddizione l’offerta di sé dà sapore alla realtà rendendovi presente Cristo. Nell’adorazione eucaristica domandiamo il dono di saper offrire noi stessi. Nella virtù dell’offerta, somma delle virtù teologali e cardinali, sta il principio del rinnovamento ecclesiale e sociale. Qui nasce il fedele ed il cittadino.

6. «Ecce panis Angelorum factus cibus viatorum» (Sequenza). Il gesto della processione che fra poco insieme compiremo evoca il più semplice e fondamentale mistero umano: il mistero del nostro esistere come un viaggio che a nessuno è dato di disertare. Nella fede che si manifesta nel gesto pubblico della processione l’angoscia che deriva dal non conoscere la meta, o addirittura di negarla, è vinta. Non solo sappiamo dove – o meglio da Chi – andiamo, ma abbiamo il viatico per il nostro cammino.

Avviandoci verso la conclusione del mese che il popolo cristiano Le dedica, chiediamo a Maria, donna eucaristica e Chiesa immacolata, di custodirci nel nostro cammino: Le affidiamo tutte le aspirazioni, i desideri, i bisogni, le sofferenze che premono sul cuore nostro e di tutti i fratelli uomini. Amen.