Omelia nella solennità dei Ss. Ermacora e Fortunato, patroni del Friuli Venezia Giulia (Aquileia, 12 luglio 2007)
12-07-2007

BASILICA PATRIARCALE DI AQUILEIA
SOLENNITÀ DEI SANTI MARTIRI ERMACORA VESCOVO E FORTUNATO DIACONO
PATRONI DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
Ez 34, 11-16; Sal 22; 2Cor 4, 7-15; Giv 15, 18-21

AQUILEIA, 12 LUGLIO 2007

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare» (Ez 34, 15). Nella parole del profeta Ezechiele è il Signore che si impegna in prima persona con il suo popolo. «Io stesso», promette Dio. Non un estraneo, neppure un semplice uomo come noi, ma Dio stesso. L’eco benefica di queste parole arriva fino a noi, convenuti da tutta la Regione in questa più che millenaria basilica per celebrare la Solennità dei Santi Patroni Ermagora e Fortunato, e rinnova nel nostro cuore la speranza certa di non essere abbandonati.
Eccellenza Reverendissima e Fratelli tutti nell’episcopato,
Signor Presidente della Regione,
Gentili Autorità Civili e Militari,
Fratelli nel sacerdozio, diaconi, religiosi e religiose,
Carissimi fratelli e sorelle,
le parole del profeta Ezechiele ci sono di reale conforto. Non pochi sono infatti i motivi di preoccupazione che, a livello nazionale ed internazionale, ci spingono a leggere il presente come un delicato tempo di travaglio. Un travaglio che a volte rischia di mutarsi in smarrimento o in confusione, come sembra suggerire la Prima Lettura parlando di «giorni nuvolosi e di caligine» (Ez 34, 12).
Ma la promessa del Signore è tenace: «Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (Ez 34, 11). Ognuno di noi, rinato ‘ come dice la bellissima Preghiera di Colletta dell’odierna solennità ‘ «una fide et una baptismi gratia», è a tal punto trattenuto nell’orizzonte del disegno di Dio dalla Sua mano di pastore provvidente, che neppure il male da noi compiuto lungo la storia riesce a far desistere il Padre dal prendersi cura di noi continuamente. Nulla infatti Egli si è risparmiato, nel Suo infinito amore, ma ci ha dato ogni cosa nel Suo Figlio Gesù, che è morto e risorto per ciascuno di noi.

2. L’Apostolo Paolo illumina la singolare condizione dei cristiani in questo mondo con l’efficacia espressiva del paradosso: «Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati, colpiti, ma non uccisi» (2Cor 4, 8-9). È proprio quel «ma non» a fare la differenza, a svelare la forza redentrice della risurrezione in questo mondo. Qual ne è il riverbero più acuto?
«Tutto infatti è per voi» (2Cor 4, 15) afferma senza esitazione Paolo. L’espressione dell’Apostolo è inequivocabile, occorre accoglierla in tutta la sua sferzante provocazione. I Santi Patroni Ermagora e Fortunato testimoniano che persino la morte è stata per loro e non contro di loro. Per il compimento della loro vita, perché ogni particolare della loro umana esperienza potesse essere in funzione della gloria di Dio.

3. Ma come si può fare una tale affermazione? Non contraddice l’esperienza di dolore e tribolazione che ogni morte produce?
Ci aiutano a rispondere le parole di Gesù nel Santo Vangelo. «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me’ Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 18.20). Sono parole dure da ascoltare e a prima vista non fanno che radicalizzare il dramma dell’umano. Eppure sono parole che aprono la vita del cristiano al suo orizzonte più autentico. La fede e la grazia del Battesimo, infatti, fanno del cristiano una sola cosa con il Suo Signore. Incorporandoci a Gesù Cristo ci permettono di condividere la Sua sorte.
Il severo monito riportato dall’Evangelista Giovanni non può essere letto che a partire da questa identificazione con Gesù, chiave del mistero della vita del cristiano. Solo se noi siamo ed esistiamo nel Crocifisso Risorto è possibile dire con piena consapevolezza e verità che «ogni cosa è per noi». Perché vivendo in Cristo «noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà a accanto a lui insieme con voi» (2Cor 4, 13-14).

4. Il popolo cristiano, che vive da protagonista in queste terre fin dagli albori della storia della Chiesa, non ha altro compito che quello di testimoniare questa novità di vita. Da quando, secondo la pia tradizione, l’evangelista Marco condusse Ermagora a Roma dove lo stesso San Pietro lo consacrò e lo inviò ad Aquileia a predicare il Vangelo, nelle nostre terre il popolo dei fedeli non ha mai cessato di annunciare a tutti il dono del Crocifisso Risorto. Noi siamo ben consapevoli di portare «questo tesoro in vasi creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4, 7).
Con l’umile baldanza che ci viene da questa consapevolezza noi cristiani vogliamo collaborare ogni giorno all’edificazione di una società dalla vita buona, in cui nessuno venga schiacciato, abbandonato o ucciso. Lo faremo amando e lavorando nel Suo nome, condividendo la vita dei nostri fratelli uomini a partire dal dono della fede. Certi che nulla di meglio possiamo offrire anche a chi non ha fede o professa altri credi.
Lo faremo anzitutto rendendo presente il dono del nostro strettissimo legame di amore fraterno in Gesù Cristo. Per questo, nella memoria della consacrazione di questa splendida basilica per mano del patriarca Poppone nel 1031, l’Arcivescovo ha rivolto uno speciale invito ai Vescovi provenienti dalle diocesi allora suffraganee. Dal Nord Est italiano, dalla Dalmazia, dall’Istria e dalla Mittel Europa sono qui giunti a concelebrare questa solenne Eucaristia, presieduta dal Patriarca di Venezia e Presidente della Conferenza Episcopale Triveneta, numerosi vescovi. Vogliono esprimere, attraverso il segno oggettivo della comunione eucaristica, le radici greco-latine, anglo-tedesche e slave della nostra Europa.
La comunione dei cristiani, fatte le debite distinzioni, si rivela poi come un paradigma prezioso anche a livello civile, utile per cercare una feconda e sempre più intelligente collaborazione tra le diverse regioni del Nord Est e di queste con quelle dell’area europea a cui storicamente appartengono. I nostri popoli, infatti, non possono ignorare la responsabilità che il presente dell’Europa domanda loro.

5. Dove imparare questa vita nuova e buona, che nasce dalla certezza della cura che il Padre ha di noi e si snoda nel paradosso dell’esistenza cristiana, fatta di morte e risurrezione, chiamata a rendere continuamente testimonianza del fatto che ogni cosa è per noi?
Volgiamo il nostro sguardo alla Madre di Dio. Il bellissimo affresco absidale La rappresenta con in grembo il Bambino in atteggiamento docente. Gesù infatti rivolge il Suo insegnamento a noi dalle braccia di Sua Madre. Quanto oggi abbiamo bisogno del pensiero di Cristo! Maria, secondo una bella definizione degli studiosi, è «altare o ostensorio di Cristo».
Ed a Lei, Vergine e Madre, noi vogliamo rivolgere questa sera la nostra preghiera. La Madre di Dio sia la nostra guida sicura sul cammino di gloria che percorsero i Santi Ermagora e Fortunato e che, secondo le modalità scelte dal Signore per ciascuno, ci attende. Amen.