Omelia nella S. Messa solenne del Redentore (Venezia, 15 luglio 2012)
15-07-2012

 

Festa del Santissimo Redentore

 

Venezia, 15 luglio 2012

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

Siamo negli anni 1575-76 e la storia narra che Venezia era flagellata dal morbo della peste e che i rimedi umani non riuscivano a venirne a capo. In tale situazione il popolo cristiano, che sempre partecipa di un soprannaturale senso della fede, invocò la protezione dell’Unico che poteva salvarlo. Anche il Senato della Repubblica decise di affidarsi alla misericordia di Dio con promessa solenne d’edificare una Chiesa al Redentore e ‘‘ogni anno, nel giorno che questa città fosse stata dichiarata libera da contagio, Sua Serenità et li successori suoi anderanno solennemente a visitare predetta chiesa, a perpetua memoria del beneficio ricevuto‘ (Proprio della Chiesa patriarcale di Venezia, Festa del Santissimo Redentore, 44-45).

 

Così, il doge Sebastiano Venier avviò l’opera che sciolse il voto solenne – deliberato nel settembre 1576 dal Senato e affidato al predecessore Alvise Mocenigo – che impegnava la Repubblica a costruire il tempio dedicato al Redentore perché intercedesse per la cessazione della pestilenza e il popolo veneziano, accompagnato dai maggiorenti, a recarsi annualmente in pellegrinaggio innanzi al sacro volto. Alla fine della pestilenza, i morti raggiungevano il numero di cinquantamila: un veneziano su tre erano morti per il contagio. La prima pietra del tempio venne posta nel maggio del 1577, mentre la costruzione  terminò quindici anni dopo, nel 1592; da subito, Venezia solennizzò la festa nella terza domenica di luglio.

 

In questa festa, ogni anno, la storia della città si fa evento e coinvolge non solo i veneziani ma, anche, i numerosissimi turisti che si recano in pellegrinaggio alla Giudecca attraverso il ponte di barche appositamente costruito. E’ un appuntamento in cui la storia di Venezia rivive e in cui la religiosità popolare s’esprime, bisognosa, come ogni movimento di popolo, di discernimento, di purificazione, di sostegno; un momento in cui tutti siamo chiamati e coinvolti.

 

Per i Veneziani del sedicesimo secolo essersi riferiti al Solo in grado di aiutarli, quando ogni altra risposta risulta insufficiente, ha un significato che appartiene all’uomo di ogni tempo che è intrinsecamente segnato da fragilità, debolezze, limiti creaturali a cui si aggiungono quelli che provengono dalla situazione di peccato, personale e comunitario, che – rimosso col battesimo – permane nelle conseguenze come propensione al male.

 

Certamente quello che poteva essere considerato un ostacolo insormontabile nel passato – ad esempio nel sedicesimo secolo – oppure lo è ancora in una determinata circostanza, può non esserlo più oggi – nel ventunesimo secolo – o in altre differenti circostanze. Secondo l’immagine biblica, l’uomo però rimane un vaso di creta che può sbrecciarsi o frantumarsi in mille pezzi.

 

Oggi, noi, uomini del terzo millennio che assistiamo, quasi increduli, ai progressi delle tecno-scienze, portiamo in noi – nonostante i risultati conseguiti – le nostre tante fragilità, paure e domande che, non di rado, rimangono prive di risposte anche se il nostro problema, oggi, non è più il contagio della peste.

 

Attualmente, per noi, costituisce rilevante disagio una società che non riesce più a garantirci un futuro e si qualifica sempre meno con i caratteri della fiducia e della progettualità condivise e sempre più come incerto, un futuro che ‘viene meno’ proprio quando ci interroghiamo su di esso.

 

Il nostro timore riguarda il non ‘aver futuro’. Ma non ‘aver futuro’ significa veder precipitare nel non senso anche il nostro presente che smarrisce la sua capacità di interessarci alla vita, al bene comune, all’educazione delle nuove generazioni, nei confronti delle quali siamo chiamati a trasmettere i valori che hanno dato forma alla nostra città, alla sua storia, alla nostra convivenza civile.

 

Mentre la peste portava lo sfacelo dei corpi, la mancanza di futuro, il senso diffuso della precarietà, dell’incertezza, dell’impotenza, la convinzione che nulla sia più governabile a livello economico e sociale, afferra la vita soprattutto dei giovani, che si sentono ‘buttati’ nell’esistenza,  non più capaci di solcarla procedendo verso una meta, ma sentendosi sbattuti qua e là dalle onde dell’incertezza, il ‘mal del vivere’.

 

Ora, il cristiano è plasmato dalla fede che chiama in causa tutto l’uomo; la fede si interessa di tutto ciò che appartiene all’uomo. L’annuncio cristiano, così, riguarda la retta ragione e la legge naturale ma, nello stesso tempo, non si riduce solamente a ciò, essendo, appunto, annuncio di Gesù Cristo e su di Lui. Secondo tale linea, la fede non si pone ‘accanto’ all’umano, giustapponendosi ad esso ma, piuttosto, ‘intercetta’ l’umano e lo porta a ‘compimento’, incominciando col ‘sanarlo’.

 

Noi abbiamo dimenticato che esiste il peccato originale, che è una ferita che indebolisce, e poi diciamo che i nostri giovani sono fragili e che non ce la fanno’

 

Anche l’umano entra, a pieno titolo, nella salvezza; la fede non si limita, così, a considerare l’apice superiore dell’uomo, disattendendo ciò che viene prima di esso.

 

La nostra esistenza di ogni giorno caratterizza quindi la vita eterna, il nostro destino ultimo;  consideriamo, per esempio, che l’atto di fede non può esser posto se non da una persona che sia libera, conscia, consapevole, padrona di sé. E Dio il dono della fede lo dà a tutti. Può essere una facile via di fuga dire: a me non è stato dato’ In termini teologici: la grazia suppone la natura, la perfeziona e porta a compimento. La grazia ci rende pienamente uomini, non omuncoli di sacrestia ma uomini di fede!

 

La dottrina sociale della Chiesa, in tal modo, è parte integrante dell’annuncio di fede cristiana ed è a servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo. Non si può, infatti, pensare che un figlio di Dio, da solo, con le sole sue forze, possa ‘far sua’ tale peculiare condizione che porta a compimento la sua stessa struttura creaturale…

 

(Il resto dell’omelia è nel testo allegato in calce)