Omelia nella S. Messa presso la Raffineria Eni (Porto Marghera, 19 dicembre 2014)
19-12-2014
S. Messa presso la Raffineria Eni (Porto Marghera, 19 dicembre 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Ringrazio don Marco ed incomincio questa breve riflessione rubandogli il pensiero che ci ha offerto all’inizio della celebrazione: “È un momento prezioso, bello ed importante”.
E’ veramente un momento importante, questo, perché la S. Messa di Natale ci pone tutti –  tutti, nessuno escluso – di fronte a Dio. E di fronte a Lui non ci sono uomini importanti o meno importanti; c’è l’uomo, con la sua storia. Di fronte al Natale siamo chiamati tutti a fermarci. E allora io mi rivolgo una domanda, ma la rivolgo anche a voi, perché – anche se, forse, la mia omelia di stamattina può anche un po’ sorprendervi – ritengo che sia mio dovere di vescovo e di prete dire le cose che sto per dirvi.
Quanto tempo, nella nostra vita, dedichiamo al Signore? La nostra vita scorre… Ho chiesto alle due guardie – che ho incontrato entrando – da dove vengono e se hanno figli. Sì, uno mi ha detto: Ho due gemelline, di 14 mesi. E l’altro: io ho otto nipoti. Ecco, i nostri nipoti e i vostri figli ci dicono, crescendo così velocemente, che il tempo passa… Passa per tutti.
Avete visto le belle immagini di Virna Lisi? Una persona dignitosa. Io non la conoscevo molto ma, anche da quello che ho visto dalla rassegna stampa di questa mattina e dai telegiornali, mi è sempre parsa una persona dignitosa…
Eppure il tempo passa! Vent’anni, quarant’anni, sessant’anni: il tempo segna, non solo il decadimento, perché la vita è un dono. Questa vita, però, la viviamo una volta sola! E non bisogna aver studiato tanta filosofia per poter dire: indietro non si torna! Una volta sola i miei nipoti, i vostri figli, hanno quattordici mesi, due anni, tra anni, sette anni … poi, ad un certo punto, ci “svegliamo” e ci accorgiamo che sono uomini, sono donne…
La vita scorre, il tempo passa! Non precludiamoci l’esperienza più grande che un uomo e una donna possano fare: l’esperienza di Dio. Se Dio c’è… io ho tempo per tutto. Certo il lavoro, gli orari, i doveri in famiglia ci assorbono eppure noi rischiamo di avere tempo per tutto ed arrivare al termine della vita dicendo la cosa più triste: Signore, per te non ho avuto mai tempo; io alla fine non ti conosco, sei un nome!
Dove facciamo l’esperienza di Dio? E perché il vescovo è venuto a parlarci della preghiera? Sì, vi parlo proprio di questo perché l’esperienza di Dio noi la facciamo nella preghiera. E l’esperienza di Dio non la deve fare solo la suora, il missionario, il monaco… come se ci fossero cristiani di serie A e di serie B.
La preghiera ci cambia, la preghiera ci aiuta a vedere le cose in un modo diverso, la preghiera inizia però e sempre da un momento di silenzio. Nessuno nasce sapendo pregare! Anche il più grande teologo – che, magari, ha insegnato la preghiera per tutta la vita – ha imparato a pregare. E guardate che per imparare a pregare ci vuole un’unica caratteristica: non è l’intelligenza, è aver tempo per Dio. Guai, allora, se noi ritenessimo che ci sono cristiani di serie A e cristiani di serie B.
Anche una persona che lavora, anche una persona che ha delle responsabilità… Anzi, più una persona ha responsabilità e più deve pregare, perché altrimenti finisce per portare avanti se stessa e vedere solo se stesso. Chi prega si coglie sempre in rapporto con Dio e coglie tutte le cose in rapporto a Colui di fronte al quale un giorno dovrà andare e che gli chiederà: come hai fatto il papà? Come hai fatto il direttore dello stabilimento? Come hai fatto il Patriarca? Come hai fatto il Papa? In quel momento, vedrete, sarà ben poco importante quello che abbiamo fatto, ma diventerà decisivo come lo abbiamo fatto.
Il tempo di Natale ci richiama un po’ tutti a quando andavamo in parrocchia – il catechismo, la prima comunione, la novena, i chierichetti… – e ci fermavamo un attimo di fronte a quella culla… E la cosa peggiore può essere questa: il Natale è una favola, il Natale è una leggenda, il Natale è una bella idea, sentimentale! Ma, guardate, il Natale è la realtà più “reale” che esista. E allora il Natale noi dobbiamo cercare di portarlo dentro di noi, perché nel nostro modo di rapportarci agli altri traspaia qualcosa del dono di Dio.
Certo, il lavoro è in crisi ed è in difficoltà, il mercato del lavoro non è come dovrebbe essere, le leggi che tutelano il lavoro potrebbero essere migliori e dovremmo dare tutte le garanzie a tutti e sempre… Su questo punto, poi, bisogna essere fermi, perché è in gioco non una scuola di pensiero, ma la democrazia; è in gioco la dignità della persona, è in gioco qualcosa a cui non possiamo rinunciare.
Detto questo, però, vorrei aggiungere una piccola cosa che consegno a ciascuno di voi: nel lavoro io porto la mia persona, il mio stile, la mia cordialità, la mia competenza, il mio saper stare di fronte all’altro, il mio voler stare con l’altro, il capire che magari oggi quel mio collega si sta portando dentro un cruccio familiare oppure sempre quel mio collega ieri è stato maltrattato e non è stato trattato secondo giustizia…
Tante cose sul posto di lavoro – al di là delle leggi, che devono tutelare sempre e tutti – sono affidate anche alle nostre relazioni personali.  E dove nascono le nostre relazioni personali? Da quello che siamo perché, certe volte, un dirigente, un tecnico, un quadro dello stabilimento – ma questo vale anche per il vescovo – non hanno voglia di ridere; hanno tutt’altro che voglia di ridere, eppure cercano di sorridere e non solo con le labbra, ma in tanti altri modi… Ecco, il posto di lavoro è in mano, veramente, a tutti.
Ribadisco la necessità di lavorare su una filosofia del lavoro che dobbiamo raggiungere e che fatichiamo a mantenere. Ma dobbiamo anche pensare che il lavoro nasce, sempre, dalla persona. Buon Natale a tutti!