Omelia nella S. Messa presso la chiesa parrocchiale di S. Pio X alle Vigne (Cesena, 21 settembre 2014)
21-09-2014
S. Messa nella chiesa parrocchiale di S. Pio X alle Vigne
(Cesena, 21 settembre 2014)
Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Carissimi,
il Signore risorto ci ha riuniti qui, oggi, nella chiesa parrocchiale alle Vigne per celebrare l’Eucaristia domenicale, ossia l’azione divina e umana che sempre accompagna, nutre e sostiene con forza la vita della Chiesa.
Ci ha convocati soprattutto il grato ricordo della figura di Giuseppe Melchiorre Sarto / S. Pio X, che fu per un decennio – tra il 1893 e il 1903 – Patriarca di Venezia e per i successivi undici anni, all’inizio del secolo scorso, Sommo Pontefice della Chiesa universale. A lui è intitolata questa chiesa e questa parrocchia e ne discende quindi, per ciascuno di Voi, un riferimento fortissimo.
         “Per me il vivere è Cristo” (cfr. Fil 1,21); queste parole di Paolo proclamate nella seconda lettura, della liturgia di oggi, ci richiamano immediatamente quelle, sempre dell’apostolo, riprese da Pio X nel suo famoso motto – “Instaurare omnia in Christo” – divenuto la felice sintesi del suo impegno e della sua azione pastorale.
Capacità di profezia, coraggio e libertà, soprattutto di fronte ai giudizi degli uomini, furono caratteristiche umane e sacerdotali spiccate in Papa Sarto il quale – in un mondo che, già allora, si distaccava sempre più dalla fede – seppe annunciare sempre il Vangelo, comportandosi “in modo degno del vangelo di Cristo” (cfr. Fil 1,27), per usare ancora le espressioni paoline, non ricercando il plauso e il facile consenso. Il suo grande desiderio era, infatti, uno solo: essere fedele al Signore Gesù e al suo Vangelo.
Quando all’inizio del secolo scorso, nell’estate del 1903, il veneto Giuseppe Melchiorre Sarto fu eletto vescovo di Roma, si compiva una di quelle “sorprese” di Dio che introducono, nelle complesse vicende del mondo e della Chiesa, ciò che gli uomini mai saprebbero fare o immaginare.
Ne saranno evidente riprova anche gli esiti degli ultimi conclavi che porteranno al soglio di Pietro due patriarchi di Venezia (Angelo Giuseppe Roncalli e Albino Luciani) e poi un uomo venuto da un “Paese lontano” (Karol Wojtyla), fino all’ultimo conclave che ci ha dato Papa Francesco, giunto – sono le sue parole – dalla “fine del mondo”.
Le cronache e la storia ci raccontano che in quel conclave dell’inizio del XX secolo – resosi necessario per la morte di Leone XIII, Papa per oltre 25 anni – erano altri i candidati forti e più accreditati. Eppure le vicende portarono, alla fine, a convergere sulla figura bella e singolare di Giuseppe Sarto, nato a Riese in provincia di Treviso da una famiglia veneta di origini modeste.
              
La “sorpresa” è espressa bene nella sua enciclica programmatica E supremi in cui accenna alle “lacrime e calde istanze” con cui si adoperò in ogni modo per cercare di “allontanare questo formidabile peso del Pontificato”. Si aggrappò letteralmente alle parole di Sant’Anselmo – in analoga occasione – per esprimere il suo stato d’animo e i suoi propositi: “Io, più somigliante pel colore ad un morto che ad un vivente, ero pallido per lo stupore e per l’affanno. E all’elezione di me fatta, o meglio alla fattami violenza, finora, parlando con severità, ho riluttato quanto ho potuto. Ma già, voglia o no, sono costretto di confessare che i giudizi di Dio resistono ogni dì più ai miei sforzi, talché non vedo di poter scampare. Per lo che, vinto dalla violenza non tanto degli uomini, quanto di Dio contro la quale non v’ha accortezza, capisco non rimanermi altro partito, che, dopo aver pregato quanto ho potuto ed essermi adoperato affinché questo calice, ove fosse possibile, passasse da me senza che lo bevessi, posponendo il mio sentimento e la mia volontà, mi rimetta interamente al consiglio ed alla volontà di Dio” (Pio X, Lettera enciclica E supremi).
E, di suo, Papa Sarto aggiungeva subito: “Pure, poiché al voler divino piacque di sollevar la Nostra bassezza a tanta sublimità di potere, pigliamo coraggio in Colui che Ci conforta; e ponendoCi all’opera, appoggiati nella virtù di Dio, proclamiamo di non avere, nel Supremo Pontificato, altro programma, se non questo appunto di “ristorare ogni cosa in Cristo” cotalché sia “tutto e in tutti Cristo” (Pio X, Lettera enciclica E supremi).
Nella storia tutto è nelle mani di Dio, anche se la libertà degli uomini vi svolge un ruolo essenziale; Dio sempre interloquisce con l’uomo, ne rispetta la libertà e l’esalta. Proprio in tale prospettiva va letta l’elezione al soglio pontificio di un uomo di Chiesa che non proveniva dalla carriera diplomatica né poteva vantare un particolare curriculum studiorum.
Giuseppe Sarto era principalmente “pastore d’anime”, nel senso più alto e nobile del termine: aveva esercitato il suo ministero a Tombolo (nel Padovano) e poi a Salzano (in provincia di Venezia), prima di diventare canonico della cattedrale di Treviso e direttore spirituale in Seminario e poi, in seguito, vescovo di Mantova e patriarca di Venezia, città e Chiesa a cui rimase sempre legato in modo originalissimo.
E forse proprio perché essenzialmente “pastore d’anime” – uomo, cioè, attento e dedito alla pastorale, sensibile e lungimirante di fronte alla vita delle persone e del territorio a lui affidati – fu capace di esercitare un’azione riformatrice di ampio raggio nella vita della Chiesa e ora lo veneriamo Santo.
La sua azione riformatrice toccò tutti gli aspetti della vita ecclesiale – la catechesi, la liturgia e la musica sacra, la vita e la formazione nei seminari, tanti aspetti di carattere pastorale, legislativo e disciplinare – e mirò al rinnovamento del clero e dei fedeli ricercando sempre la salute delle anime.                                
Il periodo storico in cui Pio X fu pontefice (1903-1914) fu segnato da profondi conflitti sociali, da rapporti problematici tra la Chiesa ed i governi nazionali e da sfide di natura politica, come il diffondersi del socialismo, ma anche culturali e religiose, come il “modernismo”. Ebbene, “S. Pio X affrontò queste sfide con decisione e al tempo stesso con grande sensibilità e cura pastorale. Sentì che il suo primo compito era quello di custodire la fede del suo popolo, di rinvigorire l’adesione a Cristo Risorto, di rinnovare la vita della Chiesa per il bene di tutta la società” (Conferenza Episcopale Triveneto, La prima comunione all’età dell’uso della ragione. Nota dei Vescovi a cento anni dal decreto «Quam Singulari» voluto da S. Pio X (1910) – Zelarino, 1 giugno 2010).
In Giuseppe Sarto l’impegno pastorale coincise con la costante vicinanza al suo popolo: come Parroco, come Vescovo a Mantova e a Venezia, a Roma come Papa.
Tale vicinanza si esprimeva in molti modi e qui ne indico uno, proprio a beneficio di questa comunità parrocchiale: l’attenzione che egli riservò alla catechesi, considerata fondamentale e distinta dall’omelia nella formazione della comunità. Egli volle che questi due atti del ministero sacerdotale fossero oggetto di particolare cura da parte dei parroci e, quindi, già come Vescovo avvertì la necessità di dare testimonianza.
 In una lettera indirizzata all’allora Arcivescovo di Milano – il Cardinale Andrea Ferrari – quand’era Patriarca di Venezia si nota l’impegno e la dedizione che lo portavano ad occuparsi anche dei particolari; infatti, Sarto trattava in modo personale e diretto anche di questioni che molti non avrebbero neppure colto.
Egli si soffermava con scrupolo su di esse trattando di questioni pedagogiche sulle quali interviene con quel senso pastorale che poteva avere solo chi, per anni, in parrocchia – prima come cappellano e poi come parroco – aveva seguito la catechesi dei bambini, dei ragazzi e degli adulti.
Oltre alla sana dottrina e ai contenuti, egli mostrava grande cura per il momento comunicativo e mirava ad un linguaggio che realmente tenesse conto delle esigenze dell’uditorio. Suggeriva in particolare che, nel formulare una risposta, si riprendesse in maniera opportuna la domanda, così da facilitare l’apprendimento dei fanciulli.
Sintomatico è il passo in cui ritiene opportuno procedere alla revisione di un testo sostituendovi un avverbio che considerava non comprensibile da parte di bambini o adolescenti e ne dava chiara motivazione. Ascoltiamo le sue stesse parole: “…sia per la proprietà della lingua, sia per l’intelligenza dei fanciulli… c’è un ‘pertinacemente’ che i ragazzi non capiscono…” (Archivio spirituale della Curia Arcivescovile di Milano, Corrispondenza Cardinale Ferrari, n. 413). 
Che infine Pio X sia stato il “Papa del catechismo” non può essere considerata una sorpresa. Al contrario, la cura del catechista Sarto corrisponde ad una sua passione intima che l’ha sempre accompagnato.
E questo, con diverse modalità, vale per il suo approccio alla liturgia, al canto sacro e alla devozione eucaristica che lo portò da Papa ad consentire ai bambini in tenera età di accostarsi alla prima comunione.
Affidiamo con fiducia all’intercessione di san Pio X la vita di questa comunità parrocchiale, a lui intitolata, con i suoi impegni e doveri, le sue difficoltà e gioie. Facciamo nostro quel “proposito” fondamentale che ha guidato l’opera e il pensiero di Papa Sarto: “Restaurare tutto in Cristo – come Lui diceva – è stata sempre la divisa della Chiesa, ed è particolarmente la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo. Ristorare ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo” (Pio X, Lettera enciclica Il fermo proposito).