Omelia nella S. Messa prenatalizia presso lo stabilimento Mecnafer (Porto Marghera, 16 dicembre 2016)

16-12-2016

S. Messa prenatalizia presso lo stabilimento Mecnafer

(Porto Marghera, 16 dicembre 2016)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio, innanzitutto, per la vostra accoglienza e disponibilità. È ormai una tradizione che, nell’imminenza del Natale, si celebri una Messa in luoghi dove si lavora. E sono delle celebrazioni che, al di là del valore stesso della Messa, assumono sempre un significato particolare. Io sono contento che, da quando sono arrivato a Venezia e continuando una tradizione che avevo già quando ero a La Spezia, ci siano dei momenti in cui si rende presente la fede e il mistero cristiano là dove si lavora. Oggi, tra l’altro, inizia la novena di Natale e sono contento che la iniziamo proprio in questa realtà lavorativa.

Certo, siamo nella società postsecolare e anche postcristiana eppure l’uomo – e non solo alcuni, ma ognuno – porta dentro delle domande. E, allora, quando si celebra la Messa in una fabbrica, bisogna ricordare il valore del lavoro e non solo per l’importanza di stare sul mercato, perché c’è la concorrenza, la globalizzazione… Dobbiamo, però, non guardare solo a quanto produciamo ma anche a come lo produciamo. Anche il clima, in un luogo di lavoro, è importante anche se non tutto andrà bene, non tutto sarà ascoltato e non tutto sarà secondo quei criteri che dovrebbero esserci perché siamo uomini o perché il torto e la ragione non  si dividono mai a metà esatta…

Oltre alla domanda sul lavoro, mettiamo allora la questione del giusto salario, le garanzie in entrata ed in uscita del mondo del lavoro, uno stipendio che sia adeguato anche alla realtà familiare del lavoratore, la giustizia verso il collega di lavoro. Sì, perché c’è anche questa giustizia: io lavoro con gli altri e il lavoro degli altri dipende dal mio lavoro e molte volte il lavoro dipende anche dal clima che so instaurare intorno a me e tra i miei colleghi.

E poi, è chiaro, c’è la giustizia distributiva in quanto le varie categorie sociali cheesprimono la forza  della nostra nazione. Non dimentichiamo che la nostra Costituzione dice che l’Italia è fondata sul lavoro, non sul patrimonio di alcuni ma sul lavoro. E allora c’è una giustizia che lo Stato deve garantire nei confronti dei lavoratori ma c’è anche la nostra giustizia di cittadini nei confronti del bene comune dello Stato.

Vorrei che tenessimo queste cose sempre sullo sfondo perché sono la nostra vita, sono la nostra quotidianità, è qualcosa che corrisponde alla dignità della persona umana. Ma attenzione: tutti noi siamo figli – abbiamo un papà ed una mamma – e immagino che molti di voi sono anche padri… Guai, quindi, se un lavoratore si identificasse unicamente con il lavoro; siamo uomini ed è bene – è necessario – che ci sia uno spazio di umanità in ciascuno di noi anche oltre le questioni del lavoro. Spero anche che questa Messa di Natale sia la preparazione alla Messa che poi vivrete nelle vostre parrocchie, nelle vostre comunità parrocchiali. Intanto, però, vi lascio alcune domande…

Passano gli anni e, se ci guardiamo allo specchio, vediamo che non siamo più quelli di dieci e anche solo di cinque anni fa; il tempo passa e molti di volto assistono al crescere dei figli… Per breve tempo possiamo tenerli sotto le nostre ali di padri o di madri ma, poi, ad un certo punto, crescono e quello che non abbiamo detto e dato loro nei primi anni di vita non possiamo più darlo dopo. Ecco, allora, che ci vuole un occhio di attenzione sui vostri figli che crescono.

Durante l’ultima Cresima che ho celebrato nella parrocchia di Chirignago ho dato un compito ai genitori: dite ai vostri figli che oggi ricevono la Confermazione una parola che possa rimanere nella loro vita. Le parole di un papà e di una mamma – anche se magari i ragazzi non ci danno soddisfazione al momento – rimangono. I nostri figli crescono: diamo loro quello di cui hanno maggior bisogno quando sono ancora bambini e ragazzi.

Un’altra domanda o questione: facciamo un po’ tutti i conti con le delusioni della vita… La vita in gran parte un po’ ci delude, anche nelle cose che riusciamo a raggiungere; fintanto che non le avevamo sembravano in grado di darci la felicità, dal momento in cui sono nostre ci interessano già un po’ meno.

Anche qui, allora, riflettiamo un attimo sulla nostra situazione di uomini: siamo sempre alla ricerca di qualcosa. E qui c’è subito un richiamo a chi siamo noi uomini: siamo l’immagine di Dio. Tutti i traguardi della vita, anche raggiunti, ad un certo punto ci deludono: è tutto qui? Pensavo che mi dessero la gioia…

Quando ero semplice prete ho assistito tante persone sul finire della loro vita. Avevo conosciuto una persona che si era sposata con un uomo che aveva fatto i soldi iniziando dal nulla; lavorava nel porto di Genova ed aveva sposato una signora che faceva la parrucchiera o la commessa… Avevano raggiunto un benessere imponente ma, alla fine, quando ho potuto accompagnare questa signora negli ultimi anni e mesi di vita, mi sono sentito dire quello che noi preti diciamo spesso: “Io, don Francesco, sono nata povera; mio marito ha fatto i soldi ma, vedendo la mia vita, le posso dire che i soldi non mi hanno dato la felicità. Fino a quando non li avevo, invece, pensavo che me la dessero…”.

Non è una cosa imparata sui libri ma è stato uno scambio avvenuto nel momento in cui una persona o non dice niente o dice la verità, perché non aveva interessi particolari a dirmi quello che mi ha detto quando lei ormai era anziana e segnata dalla malattia. Vi dico, allora, che ci sono delle domande che ci devono riguardare perché ci rendono più uomini, più umani.

Ognuno di noi può fare questo ragionamento: quante cose a diciotto / venti anni mi sembravano da raggiungere per forza, perché altrimenti sarei stato un fallito… Io a tredici / quattordici anni pensavo che se non fossi arrivato a giocare in Nazionale sarei stato un fallito e mi dedicavo anima e corpo al calcio; a diciannove anni, però, non mi interessava già più…

Quante cose nella nostra vita muoiono quando noi siamo ancora vivi! Quante cose ci interessano e sembrano da conquistare a tutti i costi e poi dopo, quando siamo ancora vivi, vitali e forti non ci interessano più!

C’è poi anche un’altra esperienza che noi facciamo: quante persone, intorno a noi, vengono meno e magari avevano la nostra età o erano più giovani di noi. Ecco, questo rapporto continuo con la vita ci deve rendere più umili, più saggi e più capaci di vivere bene il momento presente.

Andiamo, allora, tutti incontro a Gesù Bambino pensando che lì, in quell’immagine che troppe volte abbiamo ridotto ad un’immagine infantile e solo per bambini, invece c’è la risposta più umana ai nostri interrogativi e alle nostre domande di uomini.

Celebro la Messa celebro per voi – ognuno ci metta poi anche le sue intenzioni – ma anche i  tutti i nostri cari, anche i nostri cari che non ci sono più, i familiari, i colleghi di lavoro… Ognuno di noi può mettere più di un’intenzione in questa Messa. Una volta, quando ero bambino, il sacerdote per spiegarmi il valore infinito della Messa mi diceva: “Sai, la Messa non è come un pezzo di salame che si taglia e ad un certo punto non c’è più, è infinita…”. E, allora, ognuno di noi può mettere una o più intenzioni.

Chiediamo al Signore di fare un buon Natale, un Natale sereno, un Natale in cui riusciamo a dire agli altri qualcosa di buono per la loro vita.

 

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