Omelia nella S. Messa prenatalizia presso la centrale Enel di Fusina (19 dicembre 2012)
19-12-2012

S. Messa prenatalizia presso la centrale Enel di Fusina (19 dicembre 2012)

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Il ringraziamento per questo invito non è un ringraziamento retorico perché questo è il primo luogo di lavoro, a Venezia, in cui sono invitato a celebrare l’Eucaristia. Era per me un’abitudine, una consuetudine, non solo celebrare la messa nella sala di controllo dell’Enel di La Spezia ma anche in molti altri luoghi di lavoro. Questo capannone è il primo luogo di lavoro dove ho la gioia di celebrare l’Eucaristia insieme a voi.

 

Non ritengo che un’Eucaristia celebrata in un capannone sia una forzatura. Anzi, ritengo che laddove ci sono difficoltà, c’è buona volontà e c’è professionalità, laddove c’è la vita – una porzione di vita così importante – se si è invitati a celebrare l’Eucaristia si deve ringraziare il Signore. Nessuno è obbligato a venire. Dobbiamo riflettere un attimo su come sia importante per il credente unire l’Eucarestia – il gesto più alto che il credente possa compiere – al lavoro quotidiano.

 

Ognuno di noi è figlio del lavoro di suo padre e di sua madre. Ognuno di noi deve dire grazie ai suoi genitori perché attraverso il loro lavoro lo hanno portato all’indipendenza e ad essere, a sua volta, una persona capace di entrare in relazione con gli altri nel lavoro. Il luogo di lavoro deve essere inteso come un momento importante: il lavoro è qualcosa che appartiene all’uomo. D’altra parte – se riflettiamo – vediamo che Gesù, per oltre trent’anni, ha vissuto come artigiano, come falegname, come carpentiere ed era il figlio di Dio. Il lavoro in se stesso è ciò che compie l’uomo, è ciò che dà all’uomo la sua dignità e allora c’è grande sofferenza quando è difficile garantire a tutti il lavoro: vuol dire che qualcosa di dovuto è tolto.

 

Viviamo un momento particolarmente difficile, un tornante della storia. O gli uomini riusciranno a governare – attraverso una politica saggia – il lavoro oppure il mercato, la finanza e un’economia sradicata dalla società diventeranno, di volta in volta, occasioni di crisi sempre più grandi. Abbiamo bisogno come società civile, e come persone, di dare un’importanza grande alla dimensione sociale della nostra vita; dobbiamo essere portatori di valori che mettano la persona al centro (ma non in modo astratto), in relazione con se stessa, con gli altri e con il bene comune.

 

E’ il grande compito della politica: o la politica riuscirà a governare, a promuovere, a calmierare il mondo e i mondi del lavoro oppure qualcun altro lo farà al posto della politica, che deve di più avere a cuore il bene comune. Il bene comune non è un’astrazione, non è il bene dei singoli presi uno ad uno; è qualche cosa di più complicato e di più complesso, è qualche cosa che è il risultato di un impegno di tanti livelli della società. Il bene mio e il bene degli altri.

 

C’è vero bene comune quando le singole persone sono valorizzate e realizzate. E c’è vera maturità sociale della persona quando il singolo è chiamato a farsi carico del bene comune. Il bene comune è questa complessità di rapporti. Il mondo del lavoro sarà sempre più il risultato di componenti che o trovano un’armonia o arriveranno al conflitto. La società civile, il mondo economico finanziario, il mondo dell’impresa, le associazioni, i sindacati: o riusciamo ad entrare in una visione nuova o il mondo del lavoro, di volta in volta, vedrà soffrire gli anelli più deboli. Non bisogna che i singoli lavoratori siano l’anello finale di inadempienze a vari livelli.

 

Il Natale riassume il valore della storia, della mia storia. Abbiamo ascoltato – sia nel vangelo che nella prima lettura – un’affermazione: Dio arriva nella vita di Manoach e della mamma di Sansone a compiere qualcosa che era loro precluso; Dio interviene nella vita dei genitori del Battista i quali non riuscivano – come i genitori di Sansone – ad avere un figlio. Il Natale partecipa di questa logica: l’impotenza dell’uomo.

 

Con il Natale il mondo è salvato, ma è salvato in che modo? Uso un’immagine che mi sembra importante e ve la voglio lasciare come riflessione personale e comunitaria. A Natale Dio accende un fuoco, quel fuoco che noi uomini non avevamo le forze, le risorse, di accendere. Ecco la nascita prodigiosa di Sansone e la nascita prodigiosa di Giovanni Battista.

 

Ma poi il Natale ha bisogno di chi tiene acceso quel fuoco, come Giuseppe e Maria. Pensate alla fuga in Egitto, pensate alla fatica di garantire la vita di Gesù: Gesù esule in Egitto, Gesù che torna a Nazareth, Gesù che cresce, garantito dal lavoro di Giuseppe e garantito dalla cura materna di Maria, in un villaggio sperduto della Galilea.

 

Il Natale è l’intervento di Dio che salva la storia. Ma, attenzione, Dio salva la storia affidandola a noi uomini. Quel fuoco acceso ha bisogno di non spegnersi e noi sappiamo, quando una piccola fiamma è accesa, quanto è difficile fare in modo che il vento, la pioggia e il gelo non spengano quella piccola lucerna. Il Natale è l’impegno a ricevere da Dio nella nostra vita questa luce, questa fiamma che riscalda, ma il nostro impegno è custodirla ed è soprattutto ‘ mi servo sempre di un’immagine ‘ passarla agli altri.

 

La cosa più grande che possiamo fare, come persone, è proprio quella di tenere accesa la luce del Natale: tenerla accesa in famiglia, tenerla accesa tra gli amici, tenerla accesa con i colleghi di lavoro perché vedete, se qualcosa la dice il Patriarca, beh’ se non la dice lui’ Ma se la dice un adolescente a scuola, se la dice un impiegato, un professionista, un direttore o un operaio quella stessa cosa – magari anche detta teologicamente in modo meno preciso – ha un impatto molto più forte. Il Natale è la grande occasione che abbiamo di tenere accesa nel nostro mondo, nelle nostre cerchie di amicizia e nelle nostre relazioni umane e di lavoro quella fiamma che ha salvato il mondo.

 

Celebro questa messa per voi, per le vostre famiglie. Immagino che abbiate come in tutte le famiglie dei ragazzi, degli adolescenti’ Alcuni avranno anche dei bambini molto piccoli, come ho sentito in qualche colloquio prima della celebrazione eucaristica. Immagino che abbiate anche degli anziani e molti avranno ancora la fortuna di avere i genitori’ Quanto dobbiamo a loro, quante cose scopriremo, col tempo, hanno fatto per noi! Se abbiamo la grazia, ancora, di averli la messa è anche per loro.

 

Chiediamo al Signore il bene della tranquillità del posto di lavoro, per noi e per gli altri, considerando il lavoro come una realtà che ci permette di essere pienamente realizzati, anche quando il lavoro è fatica e insoddisfazione… Non c’è lavoro che non conosca momenti difficili. Chiediamo al Signore di riscoprirci parte di un mondo importante. Teniamo desta, teniamo accesa, teniamo luminosa la fiamma del Natale.