Omelia nella S. Messa prenatalizia con la comunità del Seminario Patriarcale (Venezia - Basilica S. Marco, 15 dicembre 2012)
15-12-2012

S. Messa prenatalizia con la comunità del Seminario Patriarcale 

 

 

(Venezia – Basilica S. Marco, 15 dicembre 2012)

 

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia[1]

 

 

Sir 48,1-4. 9-11, dal Sal 79, Mt 17,10-13

 

 

 

  1. Il coraggio della verità

Soffermiamoci sulla figura di Elia che rappresenta un monito per tutti coloro che sono mandati, in qualche a preparare e a rinforzare la via del Signore: Elia si caratterizza fondamentalmente per il coraggio della verità unito al coraggio del gesto solitario. È facile essere coraggiosi quando si è in gruppo e quando gli altri portano a fare o a dire qualcosa. Il coraggio si vede quando una persona – percepita la verità, confrontata la verità dentro di sé – non può fare a meno di’ Anche se questo obbliga ad uscire dall’anonimato. E nell’anonimato si sta bene, nell’anonimato non ci sono problemi. Ecco, allora, il coraggio della verità e il coraggio del gesto solitario in ordine alla verità.

Ricordo un vescovo, un cardinale, che stigmatizzava la situazione odierna per alcuni temi sensibili che non appartengono alla cultura contemporanea ed anzi sono considerati disvalori. Questo cardinale diceva: sì, molte volte si ragiona così su un tema come l’aborto – ieri il Papa ha incentrato la Giornata della Pace proprio sulla difesa della vita e ha parlato dell’eutanasia e del matrimonio tra uomo e donna[2]  – i parroci dicono ‘intanto c’è il Vescovo”, il vescovo dice ‘intanto c’è il Papa”. E il Papa rimane da solo…

Il coraggio della verità non è l’arroganza, ma è aver ben presente la Prima Lettera di Pietro: dare le ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15) con pacatezza ma con fermezza, con serenità ma con motivazioni. E direi anche con un po’ di buon umore, come ci ricordano alcuni santi che hanno saputo sdrammatizzare anche le cose più gravi. Pensate ad una delle ultime frasi di Tommaso Moro quando, ormai sul patibolo, si rivolge al boia e gli dice: ‘Mi raccomando, la barba non me la tagli’ Perché lei non ha tradito?’[3]. Il buon umore dice la libertà e la serenità di chi ha il coraggio della verità nel Vangelo perché il coraggio della verità evangelica va al di là di quello che è la stima, la percezione, il plauso e il diniego degli uomini. E troppe volte il ministro ordinato pare essere un po’ troppo sensibile all’opinione altrui.

Il coraggio della verità, soprattutto del gesto solitario: Elia è questo, ha rappresentato questo. Se andate a leggere il ciclo di Elia – il Primo libro dei Re dal capitolo diciassettesimo in poi – voi vedete chiaramente che rimane da solo in Israele di fronte ai quattrocentocinquanta profeti e sacerdoti di Baal. Elia ha il coraggio della verità e del gesto solitario – ciò che avviene sul monte Carmelo – ma poi deve scappare. In quella fuga verso il monte Oreb ad un certo punto dice: Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri’ (1Re 19,4). Viene nutrito misteriosamente da un pane, che è il Pane Eucaristico: è symbolum, è segno, è tipo.

Il ministro ordinato ha il coraggio della verità e del gesto solitario della verità se ha un rapporto con il Signore. Tutte le altre cose non sono all’altezza, non ce la fanno. Solo il rapporto con il Signore, solo la spiritualità, solo la fede, solo la dimestichezza con Lui.

  1. Il coraggio della verità nasce dalla preghiera

Il coraggio della verità, il coraggio del gesto solitario della verità, nasce dalla preghiera: nasce da una giornata impostata a partire da Lui, anche quando sarete nel ministero e quindi non ci saranno le possibilità che ora avete e che dovreste sfruttare al massimo’

L’orario, in Seminario, non è una iattura; non è qualche cosa che ci è data per non farla. L’orario è un’indicazione, è un richiamo della coscienza. L’orario è un modo di non appartenerci. Poi, nel ministero, come orario avremo il non aver orario. E dovremo essere molto attenti. Vi rimando alla lettura che potete trovare nella festa di san Carlo Borromeo[4] su come gestire i tempi della preghiera.

Se la nostra giornata non parte dalla preghiera, non inizia dalla preghiera’ Anche la disposizione cronologica, che poi non è un’essenziale assoluto, è però molto significativa. Le primizie annunciano il raccolto e sintetizzano il raccolto. I primi minuti della giornata, le prime ore della giornata dedicate al Signore non sono un di più e non sono una pia abitudine ma  corrispondono ad una realtà profonda: l’essere, innanzitutto, per Lui. Poi ci saranno i momenti in cui non sarà possibile ma l’importante è che questo non dipenda dalla nostra volontà. E anche quando non sarà possibile – se c’è questa abitudine – anche nella distorsione e nel contorcimento di un orario di una giornata rimarrà fermo il rapporto con Lui.

  1. Un parroco forma la sua gente

Il parroco forma la parrocchia, la parrocchia è fotocopia del parroco: c’è poco da dire, senza togliere nulla all’importanza delle altre vocazioni. Guai se una parrocchia coincidesse col parroco e basta! Guai se una parrocchia fosse solo il parroco!

Caratteristica di un buon parroco è l’ortodossia, la moralità, il saper amministrare i beni della Chiesa: non sono nostri, li abbiamo ricevuti e li dobbiamo dare agli altri, non possiamo essere scervellati nelle spese e consegnare dei debiti infiniti a chi verrà dopo’ Un parroco deve essere un buon amministratore, deve essere un uomo di fede ortodossa e non deve andare a raccontare l’ultimo libro che ha letto e, magari, non ha neanche capito’

Un parroco deve essere un esempio di vita intemerata perché sale l’altare tutti i giorni e non si può salire l’altare in ‘qualche’ modo. La struttura liturgica, che ci fa chiedere perdono all’inizio dell’Eucaristia, non è un pro forma rituale: è qualcosa che dice ciò che dev’essere l’atteggiamento della persona e in primis del ministro.

Un parroco forma la sua gente. Non illudiamoci: l’Avvento di una parrocchia, l’Avvento dei bambini della Prima Comunione, l’Avvento dei catechisti, è l’Avvento del parroco. Se il parroco non ha dentro l’Avvento nella sua parrocchia non ci sarà Avvento’ E se uno non ha dentro l’Avvento – la Quaresima, il Tempo di Natale, il mese di maggio, tutto quello che la liturgia ci propone -, se il parroco non ha dentro il mistero, se il parroco non ha dentro di sé Gesù Cristo, se il parroco non ha dentro di sé una spiritualità trinitaria cosa potrà dire di trinitario, di cristologico, di Avvento, di Natale, di Pasqua nelle sue confessioni, nella direzione spirituale, nella celebrazione eucaristica?

Il parroco – il prete, ma in modo particolare il parroco che è la figura ‘compiuta’ del prete – o ha qualcosa e la può dare o vivrà di riti e di ritualismo. Con tutto quello che questo comporta.

  1. Non temere perché io sono con te (cfr. At 18, 9-10)

Elia ci dice il coraggio della verità nel gesto solitario. Rileggiamoci il capitolo diciotto degli Atti degli Apostoli. Dopo il fallimento di Atene Paolo arriva a Corinto, una città di oltre mezzo milione di abitanti, una città multietnica e multiculturale, la città del godimento sfrenato, della ricchezza e della lussuria… Una delle nostre città di oggi. San Paolo – leggete anche il primo ed il secondo capitolo della Prima Lettera ai Corinzi – al capitolo diciottesimo degli Atti degli Apostoli, a Corinto, ha una visione di notte e il Signore che gli dice: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso» (At 18,9-10). Questa è la sintesi del profeta, dell’apostolo e del prete oggi.

  1. Il Battista e Maria, due modalità dell’Avvento

Elia viene identificato e equiparato da Gesù con Giovanni Battista: Giovanni Battista e Maria solo le due modalità dell’Avvento.

Giovanni Battista dice che l’Avvento si prepara nella preghiera, nel silenzio, nel deserto (luoghi desertici), nella sobrietà di vita (il cibo, il vestito). Quest’attesa nella conversione. Maria invece – mi riferisco soprattutto al versetto 19 del secondo capitolo del Vangelo di Luca – è soprattutto colei che ci dice che il Signore si attende confrontando e serbando tutte le cose nel nostro cuore.

Troppe volte noi non facciamo caso con sapienza e con scienza – teologicamente intese – al nostro quotidiano perché il Signore ci parla, ci parla spesso, ci parla parecchie volte in una giornata. Dobbiamo chiederci: perché quella cosa? Perché non quell’altra? Perché così? Perché non in quell’altro modo? Dobbiamo confrontare tutto quello che ci riguarda alla luce della scienza e della sapienza del Vangelo.


[1] Il testo, non rivisto dall’autore, riporta la trascrizione dell’omelia pronunciata dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del ‘parlato’ che lo ha contraddistinto.

[2] Benedetto XVI, Messaggio del Santo Padre per la XLVI Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2013, ‘Beati gli operatori di pace’, 8 dicembre 2012. ‘… Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita. Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita. Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale …’.

 

[3] Jacques Loew,  Dio incontro all’uomo,  Jaca Book, Milano 1985, pp. 170-171.

[4] Ufficio delle Letture, Memoria di san Carlo Borromeo, Seconda Lettura, dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell’ultimo Sinodo (Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178), ‘Vivere la propria vocazione’.