Omelia nella S. Messa per l'ordinazione presbiterale di don Stefano Pegorin e don Lorenzo Piola dei Salesiani (Venezia, S. Marco - 22 giugno 2013)
22-06-2013
S. Messa per l’ordinazione presbiterale
di don Stefano Pegorin e don Lorenzo Piola (Salesiani)
(Venezia, Basilica Patriarcale di S. Marco – 22 giugno 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Cari confratelli nel sacerdozio, consacrati e consacrate, fedeli laici e, naturalmente, carissimi don Lorenzo e don Stefano,
 questa ordinazione presbiterale – che riguarda due salesiani, ossia due sacerdoti di don Bosco – avviene nel cuore dell’Anno della Fede e nella preparazione del bicentenario (1815-2015) della nascita del Santo che – più di ogni altro – ricorda i giovani, il loro mondo, le loro aspettative, le loro ansie, i loro progetti, la loro volontà di bene, il loro entusiasmo ma anche le loro fragilità.
Don Bosco è, per noi oggi, dinanzi alla situazione non facile del mondo giovanile e dinanzi alla sfida educativa, un santo attualissimo.
Come ogni ordinazione, anche questa porta una speranza nuova nella comunità ecclesiale e ovviamente nella grande famiglia salesiana, perché, anche attraverso di essa, il Signore esprime il suo amore e, concretamente, continua ad amarci donandoci nuovi sacerdoti. 
Don Bosco – come sappiamo – ha vissuto il dono del sacerdozio, ossia ha compiuto i gesti di Gesù capo e sposo della Chiesa, all’interno di un particolare carisma, quello educativo.
Egli, infatti, è conosciuto come il prete dei giovani e l’accostamento di don Bosco ai giovani è qualcosa di scontato, che non necessita di ulteriori specificazioni, poiché universalmente noto. 
Ma, prima di tale affermazione, ne richiamo un’altra che la precede: don Bosco, prima d’essere il prete dei giovani, volle essere semplicemente prete, totalmente prete, null’altro che prete.
Le parole di mamma Margherita, la sera prima della partenza di Giovanni per il Seminario, sono emblematiche e dicono l’alta stima e considerazione che questa umile ma saggia contadina aveva del sacerdozio e come l’aveva trasmessa al piccolo Giovanni, fin dagli anni della prima infanzia: ‘Se un giorno avrai dubbi sulla tua vocazione, per carità, non disonorare questo abito. Posalo subito. Preferisco aver per figlio un povero contadino, piuttosto che un prete trascurato nei suoi doveri ‘ (Teresio Bosco, Don Bosco, LDC, Torino 1981, p. 83).
Soltanto dopo una risposta piena e totale alla vocazione sacerdotale in sé, don Bosco divenne, quindi, il prete dei giovani.
Non è infatti possibile essere preti, partecipando a un carisma specifico e ad una particolare grazia soprannaturale come quella salesiana, se non si è, innanzitutto, veri preti: don Bosco prima d’essere il prete dei giovani fu – con tutte le sue forze – prete, solamente prete.
La sua stima e considerazione  per il sacerdozio si evincono anche da una riflessione o, meglio, da un suo proposito. Il passo a cui ci si riferisce è tratto da un quaderno autografo denominato, tra i Salesiani, Testamento spirituale; in esso, nella parte in cui è annotata la conclusione degli esercizi spirituali in preparazione alla celebrazione della Santa Messa, si legge: ‘Il prete non va da solo in cielo, non va da solo all’inferno. Se fa bene andrà al cielo con le anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se dà scandalo, andrà alla perdizione con le anime dannate per il suo scandalo‘ (dal Testamento Spirituale).
Dopo questo pensiero, il seminarista Giovanni Bosco appunta nove Risoluzioni, ognuna delle quali mira a far in modo che egli s’incamminasse in un quotidiano e fedele cammino sacerdotale.
Il proposito di Giovanni Bosco, all’inizio della vita presbiterale, è tutto rivolto a far in modo che la grazia del sacerdozio trovi, in lui, la massima corrispondenza. Egli è prete e lo vuole essere sempre più, corrispondendo totalmente alla sua vocazione.
Questo suo fermo desiderio viene ribadito nella grazia che chiede durante la prima Messa celebrata a Torino nella chiesa di san Francesco, all’altare dell’Angelo Custode.
Era la festa della santissima Trinità. La chiesa fu scelta perché garantiva silenzio, concentrazione e pace interiore; lo assisteva don Giuseppe Cafasso, suo benefattore ma, soprattutto, suo direttore spirituale (cfr. Teresio Bosco, Don Bosco, LDC, Torino 1981, p.100)
Secondo una pia credenza, si riteneva comunemente che il novello sacerdote, nella prima celebrazione eucaristica, poteva richiedere una grazia che sarebbe stata concessa; fra tutte le grazie possibili don Bosco chiede che gli venga concesso, per il bene delle anime, l’efficacia della parola.
È, quindi, qualcosa che ha a che fare, essenzialmente, col suo incipiente ministero, col sacerdozio inteso a servizio di tutti e, quindi, non come un sacerdozio riservato a qualcuno. Non una sorta di sacerdozio ‘al genitivo’ – il prete di qualcuno – ma il prete di tutti, ossia semplicemente prete.
Uno dei primi biografi di Giovanni Bosco, il danese Giovanni Joergensen, pone in evidenza – come già accennato – il ruolo fondamentale che mamma Margherita ebbe nella vita del figlio; mamma Margherita era una povera contadina, ricca però di fede, una fede incrollabile forgiata nelle difficoltà e dalle difficoltà della vita.
Don Bosco ricorda nelle sue memorie come mamma Margherita, in occasione della sua prima confessione, dopo averlo personalmente preparato al sacramento, lo accompagnò in Chiesa e fece lei, per prima, la confessione, poi raccomandò al sacerdote il figlio avvisandolo che per la prima volta si accostava a questo sacramento e, infine, al termine della confessione, lo aiutò a fare il ringraziamento.
Così era mamma Margherita: l’episodio della prima confessione è sintomatico ma è solo il punto di partenza. A tale proposito desidero riportare quanto ella disse al figlio il giorno della prima Messa: ‘Ora sei prete, sei vicino a Gesù. Io non ho letto i tuoi libri, ma ricordati che cominciare a dire Messa vuol dire cominciare a soffrire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti ha detto la verità. D’ora innanzi pensa soltanto alla salvezza delle anime e non prenderti nessuna preoccupazione di me‘ (Teresio Bosco, Don Bosco LDC, Torino 1981, p.101)
Il proposito di essere prima di tutto un chierico fedele – e, quindi, attento a non tralasciare nulla di quanto era necessario alla sua futura vita sacerdotale – diceva il suo desiderio d’essere prete fino in fondo, non un prete mediocre o solo fino a un certo punto.
Esprime bene la sua considerazione del prete quanto egli dice – il giorno stesso della sua vestizione – al parroco, don Cinzano, a proposito di alcuni stili sacerdotali.
Questo suo giudizio è di pochi giorni prima d’entrare in seminario a Chieri e da esso si ricava l’importanza che dava alla testimonianza di vita del sacerdote: ‘Se sapessi di diventare un prete come quelli’ preferirei deporre subito quest’abito‘ (Teresio Bosco, Don Bosco, LDC, Torino 1981, p. 82).
Qui viene subito alla mente quanto Léon Bloy scrive a proposito del sacerdote. Bloy, dopo l’incontro con lo scrittore Barbey d’Aurevilly, si trasformò da veemente anticlericale a fervoroso cattolico meditando, addirittura, per un certo periodo di entrare nell’ordine benedettino.
Léon Bloy, a proposito dei sacerdoti e della loro missione ,mostra una profonda consonanza col pensiero di don Bosco. Il poeta francese, infatti, afferma: ‘Il clero santo fa il popolo virtuoso, il clero virtuoso fa il popolo onesto, il clero onesto fa il popolo empio‘.
Carissimi don Lorenzo e don Stefano, ricordate che la vostra ordinazione presbiterale cade nell’Anno della Fede e che il prete è, prima di tutto, padre della fede della propria comunità.
Queste due realtà – la ‘paternità’ e la ‘fede’ – siano sempre presenti in voi e mai separate. Infatti, il padre è colui che genera mentre la fede è vita nuova: se così non fosse, non sarebbe ancora la vera fede di Gesù che la Chiesa trasmette.
Carissimi don Lorenzo e don Stefano, il prete non è mandato solo a istruire, a insegnare o a sollevare dai disagi materiali, ma a fare qualcosa di più: a generare le persone e le comunità alla fede.
 E’ questa la consapevolezza che l’apostolo Paolo esprime in modo chiarissimo nella prima lettera ai Corinzi. E questo è anche l’augurio che rivolgo a voi che oggi iniziate, sostenuti dalla preghiera della Chiesa, il vostro cammino di presbiteri.
 Paolo scriveva, infatti, ai cristiani di Corinto: ‘Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. Vi prego, dunque: diventate miei imitatori!’ (1Cor 4, 15-16).
Carissimi, don Lorenzo e don Stefano, possiate anche voi dire – in verità – alle comunità a cui sarete mandati: siamo per voi dei padri in quanto vi abbiamo generato alla fede e, ogni giorno, continuiamo a farlo.
Maria Ausiliatrice, così cara a don Bosco, vi sostenga e benedica sempre.