Omelia nella S. Messa per l'inaugurazione dell'Anno Accademico 2013/14 (Padova, 22 ottobre 2013)
22-10-2013
S. Messa per l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2013 / 2014
della Facoltà Teologica del Triveneto
Omelia del Gran Cancelliere mons. Francesco Moraglia
Monsignor preside, chiarissimi docenti,
carissimi studenti, gentile personale tecnico-amministrativo,
l’eucaristia, il corpo dato e il sangue effuso per la salvezza del mondo, è l’atto ecclesiale per eccellenza; per questo, all’inizio del nuovo Anno Accademico, docenti, studenti e personale tecnico amministrativo della Facoltà Teologica del Triveneto si riuniscono attorno all’altare per celebrare l’eucaristia.
La teologia, alla quale la Facoltà Teologica si dedica con intelligenza e passione e che è la sua stessa ragione di vita, è la funzione di cui la Chiesa non può fare a meno senza che la sua fede ne risenta. L’insegnamento della teologia – come ben sapete – si situa a differenti livelli senza, per questo, subire ‘scomposizioni’ improprie. Non si dà, infatti, una teologia per chierici e una per laici; in questo senso, la teologia è profondamente una. L’insegnamento della teologia, ovviamente, domanda d’essere contestualizzato senza cadere nella frammentazione; il ‘noi credente’ della Chiesa necessita di un ambito rigoroso capace di dialogare con le culture e, nello stesso tempo, espressione di una fede comune.
Ogni legittima e auspicabile inculturazione della fede deve, insomma, guardarsi dal rischio di dissolvere la fede nelle diverse, variegate, molteplici culture. La teologia, per comunicare efficacemente la verità di Cristo – che non è venuto a insegnarci il senso comune degli uomini ma la Verità di Dio – deve porsi come sapere critico della fede oggi.
La teologia non può poi, in alcun modo, disattendere la specificità del suo statuto epistemologico. Storicamente, fin dall’origine, la teologia appartiene al novero delle discipline accademiche insegnate presso le Università.
Il dibattito sullo statuto epistemologico della teologia riguarda il suo metodo, il suo valore (i suoi criteri di validità e di controllo), il suo oggetto, i suoi limiti; realtà fondamentali che vengono prima di ogni successivo ‘dire’ teologico. La teologia esprime così il suo peculiare sapere, connesso alla ‘fondata’ relazione tra ragione e fede. E, quindi, ci offre una particolare intelligenza di Dio, dell’uomo, della storia, del mondo a partire da Gesù Cristo, il Signore risorto, e dalla fede trasmessa dalla Chiesa.
Ma l’intelligenza della Parola di Dio si dà, appunto, attraverso una ragione che, nella fede, si dischiude al mistero dell’alterità di Dio che liberamente si comunica all’uomo nell’atto creativo; la fanerosis precede sempre l’apocalipsis. In tal modo, la storia della salvezza e, in essa, la teologia non iniziano con Abramo ma col Dio creatore. E’, infatti, soltanto a partire dal Dio creatore che è possibile incontrare il mondo come creazione e cogliere la creaturalità come spazio per una ragione che s’interroga e si pone come luogo di dialogo e d’annuncio anche nei confronti di quanti non si riconoscono nella fede cristiana.
La parola di Dio, per la Dei Verbum, costituisce insieme alla sacra scrittura e alla sacra tradizione un solo deposito affidato alla Chiesa (cfr. DV n.10); così la parola di Dio coincide con la persona di Gesù Cristo – l’Evangelo cristiano – e costituisce il bene supremo del credente. Il Concilio Vaticano II – sempre nella Dei Verbum – insegna: ”Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza” (DV n.8).
La Chiesa universale e le Chiese particolari, nel rapportarsi con le culture, non possono non riferirsi ad un ‘pensare’ cristiano di cui la fede è l’orientamento polare. Il sapere teologico, per la scientificità della sua riflessione e l’uso critico della ragione, si distingue da altri possibili approcci alla Parola di Dio e si offre – in modo tutto particolare nella teologia fondamentale – come spazio di laicità in cui il confronto può essere libero, cordiale, appassionato.
È proprio del sapere teologico mostrare – attraverso la scientificità e l’uso critico della ragione – la fondatezza del suo dire, la sua struttura intellegibile, la sua interna coerenza, la giustificazione delle differenti connessioni, come il significato dell’atto e dell’asserto di fede. E tutto questo avviene – giova ribadirlo – nella mutevolezza delle culture da cui la teologia deve lasciarsi provocare e che, a sua volta, deve provocare. Ed è proprio innanzi alla mutevolezza delle culture che la teologia deve dare ragione di sé e delle sue affermazioni.
Non si tratta di una polemica fine a se stessa e, tantomeno, di ostilità pregiudiziale. L’intendimento è un altro: per un verso purificarsi dalle proprie false certezze, per un altro chiedere al proprio interlocutore di fare, fino in fondo, i conti con le sue affermazioni e presunte certezze, non accontentandosi di percorrere la strada solo fino a un certo punto; insomma, si tratta di aiutarsi a superare quanto, nel proprio dire, è parziale, insufficiente, incongruo o, addirittura, erroneo.
La teologia, e quindi anche la Facoltà teologica, mira così sempre più a ‘rendere conto della speranza che è in noi‘ (1 Pt 3,15); infatti, deve esser capace di rispondere alla complessità di società e culture pluraliste, differenziate e, anzi, profondamente frammentate anche sui valori fondanti e che, giustamente, sono state definite liquide perché le situazioni in cui gli uomini vivono si modificano prima che i loro modi d’agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure (cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Editori Laterza, Roma-Bari, VII). E proprio per questo, come detto, diventa essenziale ‘rendere conto della speranza che è in noi‘ (1Pt 3,15).
In un contesto di diffusa secolarizzazione, il compito ineludibile della comunità ecclesiale è quello di un forte impegno teologico; oggi più che mai la teologia non è un lusso per pochi ma la via ordinaria di una Chiesa impegnata a dare, attraverso i suoi membri – chierici, religiosi, consacrati nel mondo, laici – le ragioni della propria speranza.
Tale è il compito della teologia che, solo se non viene meno alla sua vocazione o identità, risulta pastoralmente utile. La teologia, infatti, è pastoralmente utile se non abbassa il suo livello scientifico; al contrario, è il suo rigore e la sua scientificità a determinarne l’utilità pastorale, fino a renderla insostituibile. Si comprende, così, la necessità di una teologia capace di riflessione pacata e in grado di verificare le scelte pastorali affinché, nella prassi, non si prescinda dalle esigenze veritative.
Ogni Chiesa particolare – nella comunione con la Chiesa universale – deve curare la propria crescita teologica non affidandosi unicamente a un sapere intuitivo ma perseguendo, per quanto possibile, un sapere critico, rigoroso e orientato a una  reale legittimazione della fede. Si apre qui – come ricorda papa Francesco – l’ampio ambito delle ‘periferie’ della secolarizzazione diffusa, i campi della missionarietà e della nuova evangelizzazione nei quali la teologia, con la sua specificità, non può rimanere ai margini.
Il sapere teologico, oggi, è appunto chiamato a far in modo che l’annuncio della fede si confronti sempre più con i contesti culturali mobili, fluttuanti o, come li definisce il sociologo Bauman, ‘liquidi’. Colmare le distanze tra le domande degli uomini e la fede professata dalla comunità cristiana è sfida che oggi la teologia e i teologi devono raccogliere a servizio della Chiesa.
Si tratta di curare i linguaggi della fede che, ad un tempo, devono essere rispondenti all’annuncio e capaci d’intercettare le domande degli uomini e delle donne di oggi, maturando una lettura di fede che parta dalla realtà quotidiana e dal confronto con un presente che, sempre più, sembra aver smarrito i fondamentali di un’antropologia e di una cultura condivise anche negli elementi fondanti. Proprio qui si avverte la necessità di una proposta teologica che sia amica dell’uomo e, insieme, attenta alle esigenze della verità; il tutto va colto e perseguito con rigore e onestà intellettuale.
Considerando la fede come atto umano – ossia atto libero, consapevole e motivato – si comprende  come la domanda teologica sia insita in ogni uomo, anche nel più semplice, e quindi nessuno possa essere mai totalmente estraneo alla teologia. In modo particolare, in un tempo di secolarizzazione come il nostro, in cui si moltiplicano le ‘periferie’ esistenziali, si deve resistere alla tentazione di ridurre il discorso teologico ad una riflessione, magari anche rigorosa, ma circoscritta unicamente a generiche tematiche religiose; la tentazione qui può esser forte perché indica una strada più facile.
Ricordo, infine, che la teologia – e, perciò, questa stessa Facoltà teologica – si pone nella Chiesa con un compito ineludibile: l’accoglienza rigorosa e metodica della parola di Dio rivelata in Cristo e affidata ad una tradizione che, attraverso l’ermeneutica della ‘riforma nella continuità’ (e si tratta di stare con saggezza e rigore sia sulla ‘riforma’ che sulla ‘continuità’), è fedele al ‘noi crediamo’ della Chiesa e si apre ad un futuro che appartiene a Dio, e solo a Lui, e che l’uomo può dischiudere attraverso una fede amica della ragione.
Ai docenti, che in modi differenti sono impegnati nell’insegnamento e nella ricerca, a quegli studenti che muovono i primi passi nell’ambito del sapere teologico e a quanti stanno completando i differenti cicli accademici, al personale tecnico e amministrativo che con la sua opera permette lo svolgimento della vita della Facoltà, auguro – in questo nuovo Anno Accademico – una vera crescita nel servizio ecclesiale della teologia.