Omelia nella S. Messa per l'inaugurazione dell'anno accademico 2012/2013 dello Studio Teologico Laurentianum di Venezia (Basilica del Redentore, 1 ottobre 2012)
01-10-2012

S. Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico 2012/2013

 

dello Studio Teologico Laurentianum di Venezia

 

(Basilica del Redentore, 1 ottobre 2012)

 

Omelia di mons. Francesco Moraglia, patriarca

 

 

Reverendo Direttore, chiarissimi docenti, gentili membri del personale amministrativo e tecnico, carissimi studenti,

 

            iniziare il nuovo anno accademico – in concomitanza con l’anno della fede indetto dal Santo padre Benedetto XVI – è evento non comune, è vera grazia, è dono grande. Si tratta di un avvenimento che riguarda in modo particolare quanti vivono, ai diversi livelli, le differenti vocazioni, dell’unica vita battesimale nella comunione della Chiesa.

 

Molteplici sono le incombenze degli operai chiamati a lavorare nella vigna del Signore e, fra di essi, vi sono quelli che, in modo specifico, si dedicano al servizio della teologia, dedicandosi a tale impegnativo compito. Essi, certamente, sono consapevoli della loro vocazione: una missione, un dovere da onorare quotidianamente e da portare a termine a favore degli altri. Proprio per questo i teologi sono chiamati ad esser fedeli alla loro vocazione e al loro ministero; il teologo, infatti, è prima di tutto un servitore della Chiesa.

 

Così, chi si dà allo studio della teologia è una persona che sacrifica altre sue personali doti per dedicarsi allo studio della Parola di Dio scritta e tramandata e offre il suo servizio, con animo grato al Signore, a beneficio dei pastori – i maestri autentici -, dei consacrati, dei fedeli e, insomma, dell’intero popolo di Dio.

 

Come ogni credente, anche il teologo sa d’aver ricevuto un dono inaspettato ma reale, anzi realissimo: la divina  rivelazione. A differenza del filosofo, il teologo non va alla ricerca di ciò che poi, una volta trovato, sarà oggetto – attraverso il metodo filosofico – di ulteriori investigazioni; il teologo infatti, in quanto credente, sa che all’inizio della sua vicenda di uomo e studioso si dà un incontro, una persona: Gesù Cristo. Il teologo, quando incontra l’evento Gesù, attraverso la testimonianza della Chiesa, riceve la rivelazione, l’accoglie nella fede – come realtà plausibile e fondata – e la fa oggetto di uno studio che è insieme amorevole e razionale poiché il Dio che gli si è consegnato, in Gesù Cristo, è – a un tempo – Logos e Agàpe.

 

La fede del teologo – come quella di ogni altro credente – è una fede amica della ragione. In altri termini, la fede si pone come fides quaerens intellectum, ossia fede che cerca di entrare in rapporto sensato e verace col Mistero contenuto in quella parola che, alla fine, non è oggetto di conquista ma di consegna affidabile che il teologo – non abdicando alla sua razionalità-amante e al suo amore-ragionevole o sensato – testimonia nel rigore di una parola annunciata, oggi, in modo criticamente valido, rigoroso e – si auspica – comprensibile. Precisazione questa non fuori posto, poiché taluni misurano la scientificità delle loro affermazioni a partire dalla complicatezza o incomprensibilità del loro linguaggio, compiacendosene.

 

La grande e costante tradizione – dai primi secoli ai nostri giorni – riconosce che l’opera del teologo si qualifica oltre che per la scientificità – seppur intesa in modi differenti nelle diverse epoche – per la sua ecclesialità. Una teologia che, per assurdo, venisse meno alla specificità ecclesiale, non solo rischierebbe di cadere – e di fatto cadrebbe – in errori su singole questioni ma contraddirebbe, strutturalmente, se stessa.

 

Gesù Cristo, infatti, ha consegnato la sua storia – croce e resurrezione – alla Chiesa perché la sua storia – croce e resurrezione – venissero custodite e annunciate come verità e prassi che salvano, vale a dire consegnano pienamente l’uomo a se stesso.

 

All’inizio dell’Anno della Fede volentieri si ribadisce che l’opera dei teologi e, prima ancora, il compito della teologia sono essenziali per la  fede della Chiesa poiché, esattamente, si ‘pongono’ in modo scientifico. Sì, la teologia svolge – a patto che sia fedele alla consegna ricevuta – una funzione essenziale per la Chiesa, è chiamata a ‘dirne’ oggi  coerentemente la fede in maniera rigorosa, pertinente, plausibile. Il teologo, allora, è persona che è certamente in dialogo col mondo, con i lontani, con gli agnostici, con coloro che fanno aperta professione di ateismo ma non può dimenticare d’essere, prima di tutto, in dialogo con la Chiesa che crede e gli ha trasmesso la fede dalla quale trae origine la sua teologia.

 

Ribadiamo quanto appena detto, ossia che la fede personale del teologo proviene dalla fede della Chiesa e, quindi, attraverso di essa ogni teologia è espressione di una fede alla ricerca della sua plausibilità. Dall’epoca del Nuovo Testamento fino alla Fides et ratio, per non dire al magistero di Benedetto XVI, passando attraverso l’epoca antica, medievale, moderna e contemporanea, la teologia si è sempre contraddistinta per il suo rapporto strutturale con la fede che, ovviamente, non è disincarnata ma giunge a noi attraverso la Chiesa.

 

Uno dei compiti principali dell’Anno della Fede è contribuire a una nuova conversione al Signore Gesù, affinché tutti diventino testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto. Se questo ha valore per i membri della Chiesa, lo ha secondo la specificità della vocazione di ciascuno e, ovviamente, per chi ha ricevuto il carisma teologico e lo sta dispiegando a livello di ricercatore, docente o studente, sapendo che ciascuno di questi momenti è essenziale alla vita della Chiesa. Gli ambiti non vanno mai confusi tra loro ma neppure separati. Una cosa, infatti, è il momento della ricerca, un altro quello della didattica dove il primo ciclo – quello istituzionale (baccalaureato) – si caratterizza a partire da una modalità propria, che non è quella del secondo grado accademico (licenza) o del terzo (dottorato). Rimane, poi, la situazione specifica dello studente-seminarista che comporta scelte proprie, segnate dalla vocazione al ministero ordinato.

 

Coloro che si muovono in questi differenti settori del sapere teologico sono chiamati, comunque, a rileggere in profondità il loro impegno teologico alla luce della grazia che è l’Anno della Fede, in cui, secondo l’appello di Benedetto XVI, siamo chiamati a diventare ‘porta della fede’ per ogni uomo che incontriamo sulla nostra strada.          

 

L’ultima considerazione riguarda la Santa di cui oggi la Chiesa fa la memoria liturgica: santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa. Nella Chiesa si riconosce una ‘docenza’ – dottorato deriva dal latino doceo ‘ che, più che sull’erudizione posseduta e sull’apparato critico padroneggiato, fa affidamento sulla purezza del cuore, sull’intuito soprannaturale della fede, sui doni dello Spirito.

 

E’ il caso della piccola Teresa del Volto Santo di Gesù che chiude la sua brevissima parabola terrena a soli ventiquattro anni, quando – secondo la scansione della Ratio Studiorum – non è possibile se non accedere al primo grado accademico, quello del baccalaureato. Qui vengono alla mente le parola del profeta Isaia, su cui siamo chiamati a riflettere: ‘I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri’ (Is. 55,9).

 

A tutti auguro un anno accademico sorretto dallo sguardo materno di Maria, sede della sapienza.