Omelia del Patriarca nella S. Messa per le ordinazioni presbiterali di don Matteo Gabrieli e don Lorenzo Manzoni (Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 24 giugno 2023)
24-06-2023

S. Messa per le ordinazioni presbiterali di don Matteo Gabrieli e don Lorenzo Manzoni

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 24 giugno 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

le ordinazioni presbiterali, quest’anno, cadono nella solennità di san Giovanni Battista, il precursore del Signore; ci soffermeremo, quindi, sul tema della “vocazione” che fa da collante tra questi due eventi.

La vocazione è sapere di appartenere ad un progetto, anzi, al progetto di Dio; comprendere che noi, uomini e donne, siamo “scelti” o “scelte” da Dio. La vocazione è rispondere a tale scelta.

La vocazione è un cammino che dura tutta la vita; è una chiamata quotidiana, continua. La vocazione la viviamo giorno dopo giorno. Si tratta di far nostro, nella libertà, il progetto che Dio ha su di noi.

Giovanni Battista fu fedele in questo fino a dare la vita; l’occasione fu il “no” detto dinanzi ad una unione matrimoniale non lecita. Ci sono situazioni di fronte alle quali il parlare di chi segue (o precede) Gesù deve essere “sì, sì” o “no, no”.

Due giorni fa abbiamo celebrato la memoria liturgica di san Tommaso Moro e san Giovanni Fisher che, millecinquecento anni dopo il Battista, anch’essi furono decapitati per dire di no al divorzio di un re che era un tiranno. Cambiano i tempi e la legge di Dio rimane ed è una legge di amore e di alleanza, di fedeltà. Cambiano i tempi e la fede nel Vangelo rimane e richiede, in certi casi, il martirio.

Carissimi, la prima lettura è una “storia” di vocazione. Il profeta Isaia grida: “Ascoltatemi… il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1).

Il Vangelo, invece, presenta Giovanni Battista nel momento della nascita e mentre gli viene imposto il nome (cfr. Lc 1,57-66.80), ma già la seconda lettura lo menzionava. Infatti, nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, l’apostolo Paolo cita proprio le parole del Battista: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali” (At 13,25).

Questo è il compito del discepolo: indicare Gesù e prepararGli la strada, senza sostituirsi a Lui. Giovanni Battista, da taluni, veniva considerato il Messia, ma egli chiarisce: “Io non sono quello che voi pensate!”. Il Battista è raffigurato come Colui che indica il Signore.

La seconda lettura ci presenta anche il re Davide, figura chiave nell’Antica Alleanza, tale da rappresentare una linea cristologica – una profezia – nell’Antico Testamento. Gesù nascerà proprio a Betlemme, città di Davide: “Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù” (At 13,23).

Il re Davide entra nella storia della salvezza che è già prima di lui e sarà anche dopo di lui; l’elezione a re dipenderà dalla ricusazione che Dio fa di Saul. Tutto questo dice che la vocazione è un mistero più grande di noi che coinvolge fatti e persone sulle quali gli uomini non hanno alcun potere; per questo dobbiamo avere fiducia anche di fronte alle trame degli uomini. Il peccato di Saul e la conseguente ricusazione non dipendono né dal popolo, né da Davide.

Crescere nella nostra personale vocazione, secondo il linguaggio evangelico, ci conduce a comprendere che siamo “servi inutili” (cfr. Lc 17,10); siamo piccoli grani di sabbia in una spiaggia che si estende a perdita d’occhio. L’umiltà, allora, diventa verità; siamo umili quando non agiamo per essere lodati, amati e benvoluti da tutti. Questo, oggi, è il male di molti uomini di Chiesa: agire per piacere, agire per garantirsi l’accesso ai media, agire pensando al proprio futuro.

La scelta di Davide esprime il modo di agire di Dio: Iesse presenta a Samuele tutti i suoi figli, tranne uno, e proprio quello è il prescelto (cfr. 1Sam 16). Iesse agisce secondo criteri umani e ritiene Davide – solo un insignificante bambino – non all’altezza. L’ultimo figlio di Iesse è solo un bambino “fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto” (1Sam 16,12), ma Dio sceglie proprio lui, quello che per gli uomini è il meno adatto, da scartare.

Nell’Antico Testamento un bambino significa impotenza e invece proprio un bambino è colui che Dio sceglie per guidare Israele. In Davide risalta il mistero della grazia ma, come vedremo, anche della libertà.

La grazia è la scelta gratuita di Dio ma, poi, Davide sarà grande non solo nelle imprese militari e politiche che lo porteranno a costruire lo Stato d’Israele e a fare di Gerusalemme la capitale. Davide è grande purtroppo anche nel peccato e i suoi peccati sono odiosi – adulterio, menzogna, omicidio procurato e assistito –; sono particolarmente odiosi perché compiuti da chi è in una posizione di superiorità dinanzi ad un suddito (Uria).

Davide è grande peccatore, ma è anche grande come penitente. Dio è misericordia ma anche giustizia; è Colui che perdona, ma esige conversione ed espiazione del male compiuto. Dio non tollera il male; al contrario, vuole che ci convertiamo e che risorgiamo dal peccato. Il male minore rimane male e non va confuso col bene; rimane male, ossia peccato. La gradualità della legge non va confusa con la legge della gradualità.

Caro don Matteo, caro don Lorenzo, riflettiamo ora brevemente sulla vocazione sacerdotale che, come ogni vocazione, è personale. Fra poco vi saranno rivolte alcune domande affinché possiate liberamente esprimere la vostra scelta nel momento dell’ordinazione presbiterale.

Si tratta di un gesto solenne, di un atto “performativo”, ossia un atto che vi pone in una situazione nuova. Vi sarà chiesto: volete esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale, volete adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola, volete celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo, volete, insieme al vostro Vescovo, implorare la misericordia di Dio per il popolo che vi è affidato dedicandovi assiduamente alla preghiera, volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, volete prestare filiale obbedienza?

La promessa del celibato l’avete già fatta nel momento della ordinazione diaconale ricevuta in vista di quella presbiterale.

Gli apostoli sono chiamati personalmente da Gesù, anche se sono portati a Lui da altri. È Gesù che li interpella e, dopo la risurrezione, in particolare interpella Pietro tre volte che lo aveva rinnegato tre volte (Gesù non fa sconti): “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?… mi ami?… mi vuoi bene?” ( Gv 21,15-17).

Oltre ad essere personale, la vocazione è comunitaria, ossia condivisa con altri. L‘evangelista Marco riferisce che Gesù “ne costituì Dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni” (Mc 3,14-15).

Gesù non sceglie dei singoli ma una comunità, ne sceglie “Dodici”, un numero simbolico. I ”Dodici” sono la comunità apostolica destinata a rimanere nella Chiesa che è denominata – oltre che una, santa e cattolica – anche apostolica.

La vocazione, così, è ad un tempo personale e comunitaria. Si è preti con altri preti e col Vescovo; l’abbraccio liturgico che fra poco scambierete con i confratelli dice proprio la realtà del presbiterio e dice che non siete preti da soli (nell’efficienza e nella creatività personali), ma sempre con i confratelli e il Vescovo. E questo succede anche quando si porta avanti un ministero ben preciso, configurato e circoscritto; non si è mai soli. La difficoltà a percepire e a vivere tale dimensione comunitaria del ministero è qualcosa di già eloquente in sé e che dovrebbe far riflettere.

“Il sacerdote – come dice Pastores dabo vobis si pone non soltanto nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa” (n.16); il presbitero, nella sua persona, è segno di Gesù e col suo ministero ricorda che – in quanto sposa e corpo – la Chiesa ha sempre bisogno di Gesù, sposo e capo.

La Chiesa non è un’organizzazione umana, è organismo dello Spirito Santo: è Corpo di Cristo ed è la sposa di Cristo. La Chiesa è riflesso di Gesù; i Padri parlavano della luna che riflette la luce del sole. La Chiesa è la luna, il sole è Cristo. Voi dovrete indicare, con la vostra vita, che Gesù è il sole.

Il presbitero non può essere tale da solo, ma nel presbiterio, secondo la comunione; le vie di fuga ci sono e chi non ha senso ecclesiale non fatica a trovarle.

Lo spirito di comunione nella Chiesa non si improvvisa, proviene dall’unione con Cristo; i diversi tipi di rapporto che si hanno nella Chiesa sono il riflesso della comunione che si ha con Gesù Cristo. Il sacramento dell’ordine fa entrare in un nuovo rapporto con Dio, con il Papa, con i Vescovi, con il proprio Vescovo, gli altri presbiteri, i diaconi, le persone consacrate e i laici.

Vivete in pienezza il ministero che oggi avete la grazia di iniziare: è il mio augurio! Siate sempre, nelle vostre persone, l’icona ecclesiale che ci propongono gli Atti degli Apostoli: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (Lc 2,42).

Gli Apostoli sono dodici ma l’insegnamento è declinato al singolare; oggi, di fronte alle divisioni provocate su temi che riguardano tutta la Chiesa e che non possono essere le scelte solo di alcuni cristiani, va ribadita l’unità della fede e della morale.

Il presbitero – come ci ricorda la prima lettera di Pietro – è chiamato ad essere “forma gregis”, ossia modello del gregge a lui affidato: “…pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1Pt 5,2-4).

Ai nostri cari fedeli che sono accorsi a queste ordinazioni e, tramite loro, a tutti, desidero ricordare che nessun dono più prezioso può essere elargito ad una comunità di un sacerdote secondo il cuore di Cristo.

La speranza è poter contare su cuori sacerdotali, misericordiosi, forti e capaci – come Giovanni Battista – di indicare Gesù soprattutto nei momenti difficili, in cui sono necessari libertà, mitezza, generosità, fedeltà, vera umiltà e disinteresse.

Preghiamo per i novelli presbiteri, sosteniamoli con amicizia e chiediamo il dono di sante vocazioni per il nostro Seminario.

Un grazie particolare infine ai vostri cari genitori Paolo e Silvia, Giordano e Fiorella (che ci vede dal cielo), alle vostre comunità di appartenenza, ai vostri parroci e, in particolare, ai superiori del Seminario che vi hanno accompagnato con amore e passione.; Dio, certamente, saprà come rimunerare tutti.

Caro don Matteo, caro don Lorenzo, la Madonna della Salute vi sorregga fino all’incontro con il Signore in cui vi auguro di sentirvi dire da Lui: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,23).