Omelia nella S. Messa per l'ammissione tra i candidati all'Ordine sacro di sette seminaristi (Venezia, 4 novembre 2012)
04-11-2012

S. Messa  / Candidature all’Ordine Sacro

 

Basilica Cattedrale di San Marco, 4 novembre 2012

 

Omelia di mons. Francesco Moraglia, patriarca

 

 

 

 

Carissimi genitori, parenti e amici mi rivolgo a tutti voi con affetto e gioia ma, in modo particolare, la mia parola è per voi, carissimi seminaristi, che oggi chiedete d’essere ammessi tra i candidati all’Ordine sacro.

 

I due comandamenti, di cui il Vangelo di Marco ci ha parlato, trattano dell’amore a Dio – perseguito con tutte le proprie forze  – e al prossimo – considerato come un altro se stesso -. Questi comandamenti chiedono d’essere letti da voi nel contesto della futura ordinazione presbiterale. Dovrete, quindi, con l’aiuto del Signore e di quanti curano la vostra preparazione al sacerdozio, imparare a leggere il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo nella prospettiva – per voi da oggi più vicina – del ministero ordinato.

 

E’ lo stesso Gesù  che evidenzia l’unità dei due comandamenti quando dice: ‘Non c’è altro comandamento più grande di questi‘. Proprio su tale punto – la non separabilità dei due comandamenti, l’amore a Dio e al prossimo – siete chiamati a costruire il vostro progetto di vita in Seminario. L’unitarietà della vita del ministro ordinato e delle virtù presbiterali riguarda, infatti, tutta la vita del presbitero. Tali virtù o ci sono o non ci sono: tertium non datur.

 

            Carissimi, a Dio piacendo, voi riceverete il sacramento dell’Ordine, un dono che viene dato a uomini chiamati a viverlo con tutte le loro risorse, spendendovi senza risparmio in tale servizio a Dio e ai fratelli, nella Chiesa. Il sacramento vi renderà capaci di porre in essere quegli atti che l’uomo da sé non ha il potere di compiere. Col sacramento dell’ordine, infatti, sarete costituiti, realmente, ‘segni’ obiettivi e reali di Gesù-capo in mezzo ai fratelli, conformandovi a Lui unico, sommo ed eterno Sacerdote; tutto questo però avverrà non a prescindere dalla vostra persona. Ciò richiede che diventiate, nella vostra persona, veri ministri ossia servitori di Dio e dei fratelli, capaci di far sì che il popolo a cui sarete mandati possa vedere in voi la pura trasparenza di Gesù Cristo, unico, sommo ed eterno sacerdote.

 

            Carissimi, questi anni che state vivendo in Seminario non sono anni di attesa, quasi un ‘posteggio’; sono, piuttosto, gli anni della vostra formazione e, comunque, un tempo fondamentale e irripetibile che non tornerà più nella vostra vita. Certo, la formazione continua anche dopo il Seminario – si parla, infatti, di formazione permanente – ed è un cammino che dura tutta la vita e mira al miglioramento di voi stessi. Ma questi anni, finalizzati specificamente alla formazione, portano con sé una grazia particolarissima che investe contesti soggettivi e oggettivi irripetibili.

 

            Carissimi, state vivendo il tempo in cui, in voi, opera una grazia particolarissima che, se accolta, vi accompagnerà lungo tutti gli anni del vostro ministero. A voi coglierla con gratitudine e prontezza, poiché coloro che un giorno saranno affidati alle vostre cure sacerdotali ne possano beneficiare. Gli anni del Seminario sono fondamentali, nel bene e nel male!

 

            Ora – seppur brevemente – desidero richiamare due punti importanti, sui quali dovete impegnarvi con docilità; siete, infatti, chiamati a diventare con la grazia del Signore – nella vostra umanità – pura e reale trasparenza di Gesù.

 

La grazia del ministero sacerdotale si esprimerà attraverso di voi, si servirà della vostra intelligenza, della vostra volontà, della vostra memoria, della vostra voce, dei vostri gesti. Ciò significa che il vostro stile umano e sacerdotale, il vostro modo d’ascoltare, parlare, pazientare, sorridere e, soprattutto, di perdonare sarà di fatto, per molti, il primo approccio al Signore.

 

Tutto ciò vi richiede d’essere persone serene, docili, capaci di decisioni ferme anche quando le circostanze vi saranno avverse. E se ciò vi capitasse fin d’ora, non rattristatevene troppo. Sappiate anche rimanere soli, se siete convinti che un bene più grande vi chiama: tale atteggiamento è proprio di chi ha dato la vita per il Crocifisso. Sì, il prete, in modo particolare appartiene all’uomo della croce e questo lo dovete capire fin dagli anni del Seminario, altrimenti sarà difficile apprenderlo dopo. La virtù cristiana della fortezza non è la cocciutaggine di chi non ascolta ma l’atteggiamento di chi, dopo aver ascoltato tutti, tende l’orecchio verso Dio.

 

            Viene alla mente la narrazione degli Atti del martirio di Perpetua e Felicita, due amiche seppur di condizione sociale diverse: Perpetua era nobile; Felicita, invece, era una schiava. Siamo a Cartagine, all’inizio del III secolo, nel febbraio del 203. Perpetua è una giovane donna che appartiene all’aristocrazia, è la più dotata del gruppo di coloro che sono stati fatti prigionieri dall’autorità romana. La vita l’ha dotata di tanti doni e risorse, è colta, parla il greco – l’inglese del tempo -, da poco si è sposata ed è diventata mamma di un bambino che ha bisogno di lei in tutto e lo sta ancora allattando. Commovente e drammatico è l’incontro che Perpetua ha, in carcere, con chi la vuole convincere a desistere da quella decisione che sembra una pazzia: rimanere fedele a Cristo a prezzo della vita. Nel suo amaro sfogo chi le parla giunge a dirle: se non vuoi farlo per i tuoi cari, fallo almeno per la tua piccola creatura che ha bisogno di tutto e soprattutto di sua madre.

 

La risposta di Perpetua dice il dramma di questa giovane donna, messa di fronte  all’alternativa più dilacerante innanzi a cui possa essere posta una madre. Così Perpetua si rivolge a chi la scongiura affinché receda dal suo proposito e dice: vedete quell’orcio laggiù, come lo chiamate? Poi soggiunge: non lo si può chiamare se non col suo nome, orcio; esso rimarrà sempre un orcio e mai lo si potrà chiamare con altro nome; la stessa cosa vale per me: io sono cristiana, non posso chiamarmi altrimenti e contraddire ciò che sento nel più intimo di me.

 

Questa giovane donna di ventidue anni fu una luminosa martire di Cristo e con la sua vita ma, soprattutto, con la sua morte testimoniò che la fede, come ricorda la prima lettera di san Giovanni, è la forza che vince il mondo (cfr. 1Gv 5,4).

 

            In conclusione, un’ulteriore breve considerazione sul legame fra grazia e natura. Saper cogliere tale rapporto è essenziale negli anni della formazione seminaristica; la grazia, infatti, compie e perfeziona la natura e mai la presuppone, mentre, sempre, la suppone. L’antico adagio medioevale recitava: gratia supponit naturam.

 

            Per quanto riguarda il versante di Dio – la grazia – non risultano, ovviamente, carenze, inadempienze, ritardi, pressapochismi o facilonerie. Sul versante umano, invece, le cose vanno diversamente perché gli uomini, oltre ad essere  creature, sono anche feriti dal peccato e bisogna quindi fare i conti con le nostre carenze, i nostri ritardi, il nostro pressapochismo, le nostre facilonerie e anche le nostre scelte malvagie.

 

            Ora, se non ci fondiamo sulla grazia di Dio e su un serio cammino ascetico e spirituale, soprattutto negli anni della formazione, ma facciamo conto solo sul passare meccanico dei giorni, dei mesi e degli anni (il Seminario come ‘posteggio’), le cose non solo non miglioreranno mai ma, al contrario, risulteranno sempre più complicate, erronee e menzognere.

 

            Impegnatevi, quindi, a lavorare su voi stessi, sul vostro carattere, sulla vostra affettività, sullo stile sobrio del vivere e del parlare. Guardate all’essenzialità delle cose di cui vi circondate, vigilate sul vostro linguaggio. Nello studio sappiate anche scegliere i libri giusti perché alcuni libri arricchiscono, altri impoveriscono e altri fanno perdere solo del tempo (e talvolta sono anche copiati’); non mirate a fare gli intellettuali come chi passa tutta la vita a fare lo studioso e, alla fine, si scopre gonfio di erudizione mentre il suo mondo era solo costruzione virtuale.

 

  Imparate, poi, a sorridere di voi stessi e a non prendervi troppo sul serio; quante persone, anche valide e di per sé capaci, non possono essere impiegate a causa del loro carattere emotivo, impaziente, egocentrico. Esercitatevi nel perdono e siate sempre sinceri, anche quando in una determinata circostanza  ciò dovesse essere a vostro svantaggio; curate la sobrietà del vivere che si manifesta quando, liberamente e senza costrizione, si fa a meno di qualcosa che potremmo lecitamente permetterci.

 

Carissimi, amate il Signore e la Chiesa più di voi stessi, questo vi metterà al riparo da tante scelte sbagliate; sappiate rinunciare, se è il caso e quando non è in gioco la verità, alle vostre opinioni personali.

 

            Infine, abbiate cura di crescere nel vostro rapporto personale col Signore. La vostra giornata inizi con la preghiera, ossia l’incontro col Signore; non si esce mai da una vera preghiera come vi si è entrati, perché l’incontro col Fuoco brucia e purifica sempre. La preghiera, quando è realmente tale, cambia in meglio la nostra vita, rapportandoci alle persone, alle cose e, soprattutto a noi stessi secondo la vera logica, quella di Dio. Chi prega ha le mani ben salde sul timone della propria vita e la vita di chi si prepara al sacerdozio deve essere l’annuncio di Colui del quale molti uomini e molte donne hanno nostalgia, senza sapere bene di chi avvertono la mancanza.

 

            I grandi pastori – di cui vi raccomando di conoscere le vite – hanno sempre iniziato col consegnare se stessi al Signore con grande libertà e così sono divenuti la prima benedizione del popolo a cui erano mandati e di cui erano pastori.

 

            Carissimi seminaristi, tutto concorre al bene di quanti amano il Signore (cfr. Rom 8,28). Pensate, per esempio, agli anni di fatica, d’insuccesso, di umiliazione che accompagnarono Giovanni Maria Vianney negli anni del seminario, in cui nulla sembrava andare per il giusto verso e l’ordinazione appariva un miraggio sempre più lontano e invece – anche attraverso quegli anni, quegli insuccessi, quelle fatiche – la Chiesa ha potuto avere il dono stupendo del sacerdozio del Santo Curato d’Ars. Sì, tutto veramente concorre al bene per coloro che amano Dio.

 

            Carissimi, godete sempre della protezione materna della Madonna della Salute, così cara e vicina al nostro Seminario patriarcale: Lei ottenga alla nostra amata Chiesa che è in Venezia santi sacerdoti.