Omelia nella S. Messa per il ventennale della morte di don Germano Pattaro (Chiesa S. Stefano, Venezia - 27 settembre 2006)
27-09-2006

Nel ventennale della morte di Don Germano Pattaro
(27 settembre 2006. Chiesa di S. Stefano)

( Letture: Pro 30, 5-9; Sal 118; Lc 9, 1-6)

Carissimi,
ci siamo raccolti nel ventesimo anniversario della morte di Don Germano Pattaro. Oggi lo vogliamo celebrare con l’Eucaristia, cioè col memoriale della Pasqua del Signore Gesù: della sua passione e morte, della sua risurrezione e glorificazione alla destra del Padre e, finalmente, del dono dello Spirito.
Qualcuno potrebbe ritenerlo un rito, come a dire: fra credenti si usa fare così. Ora, se è abituale per una comunità cristiana far memoria di qualche evento rendendo grazie a Dio con l’Eucaristia, è stato proprio il Concilio a riportare alla coscienza viva della Chiesa che il mistero pasquale, di cui l’Eucaristia è ‘il memoriale’, è la sorgente di ogni grazia e di ogni dono che venga dall’Alto.
Celebrando gli eventi di salvezza e, in particolare i suoi santi, la Chiesa celebra la gloria della Croce di Cristo: i santi infatti fioriscono sulla Croce di Gesù; dalla Croce vengono la grazia della partecipazione alla vita divina, la forza e la gioia di portare a compimento nella propria esistenza ciò che manca alla passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa. Intorno all’Eucaristia, che attualizza la Croce gloriosa del Signore, cresce e di essa si nutre la Chiesa. E questo vale di ogni intervento divino di salvezza che prende corpo nei ‘mirabilia Dei’ di cui è intessuta la vita della Chiesa e del mondo.
Don Germano per 46 anni ha celebrato l’Eucaristia, molte volte l’ha celebrata non sull’altare di pietra, ma su quello delle sue sofferenze. Anche quella era un’autentica Eucaristia, perché vissuta come comunione con Cristo morto e risorto. Proprio da qui gli veniva la forza non solo di ‘resistere’, ma di vivere in pienezza i giorni che il Signore gli andava donando.
Ricordo l’Eucaristia celebrata con me prima di partire per l’ultimo intervento chirurgico a Londra: durante la celebrazione volle che gli amministrassi l’Unzione degli Infermi. Fu un momento di intensa commozione e di profonda comunione fra noi, ma soprattutto col mistero pasquale di Cristo: fu la celebrazione della sua consegna totale al Padre, con Gesù e in Lui, ma anche della speranza pasquale. Negli ultimi giorni di malattia Don Germano non riusciva più celebrare, ma volle sempre comunicare anche sacramentalmente alla Pasqua del Signore.
Così egli ha incarnato nella vita quella ‘Theologia Crucis’ che aveva tematizzato con la finezza del teologo.
La visione pasquale della vita cristiana, uno dei frutti più generosi del Concilio vaticano, don Germano l’ha vissuta e celebrata nella sua esistenza intrisa di fede. E’ stato questo il segreto della sua serenità in una vita trascorsa quasi tutta da ammalato. Una serenità faticosamente conquistata e poi generosamente donata a credenti e non credenti.

Un’altra annotazione vorrei fare riflettendo sul modo con cui questa sera facciamo memoria di Don Germano.
Nella Liturgia delle Ore la Chiesa, quando vuol celebrare un suo figlio, discretamente fa memoria anche della sua biografia, anche solo leggendo una pagina dei suoi scritti. Nella celebrazione eucaristica, cioè nel modo supremo con cui celebra la grazia di Dio nei suoi figli, la liturgia non fa la biografia del santo, ma parla di lui proclamando le Sante Scritture convergenti nel Vangelo.
Questo fatto mi pare custodisca il mistero bello della vita cristiana che, per la Chiesa, è una ‘narratio continua evangelii’.
Cosa ci dicono i Vangeli? I Vangeli ci presentano Gesù sempre intento a compiere la volontà del Padre. Ma dove leggeva Gesù la volontà del Padre? La leggeva nelle Scritture: nella Legge, nei Profeti e nei Salmi.
Nell’evento della Trasfigurazione, che ci svela com’era la preghiera di Gesù, appaiono Mosè ed Elia. Gesù prega, cioè parla con loro. Ma di che cosa parlano? Parlano del compimento della sua vita (del suo ‘esodo’), che avverrà a Gerusalemme.
Proprio questo mi pare sia il dinamismo spirituale profondo della vita di Gesù: egli ha attuato in tutto la volontà del Padre com’è consegnata nelle Scritture. Apparendo ormai risorto ai discepoli di Emmaus, e poi la sera stessa agli undici raccolti nel cenacolo, egli spiegherà loro che tutto quanto era accaduto a Gerusalemme ‘doveva’ accadere, perché così era scritto nella Legge, nei Profeti e nei Salmi. La vita di Gesù è tutta condotta dalla realizzazione delle Scritture, perché tutto tesa al compimento del progetto di Dio su di Lui. Sulla croce Egli morirà quando potrà dire di aver compiuto tutte le Scritture.
Gesù è il sì del Padre a tutte le scritture dell’Antica Alleanza: ‘Il termine della Legge, dice San Paolo, è Cristo’ (Rm 10,4), dove la parola ‘termine’ non dice solo ‘approdo’, ma dice pienezza, adempimento pieno. Nello stesso tempo Gesù è vissuto compiendo con totale libertà e pienezza d’amore le Scritture, cioè la volontà del Padre, in tal modo riabituando l’umanità che, in Adamo si era ribellata a Dio, a dire: ‘Sì, Padre’, che è l’atteggiamento proprio dei figli di Dio.
Questa è la strada maestra della santità: la Scrittura letta nella fede orante ti porta dentro il piano di Dio, che è Gesù Cristo morto e risorto,
Per questo la Chiesa quando vuol fare il suo discorso più alto sui Santi recita le Scritture, in particolare i Vangeli, essendo noi stati eletti per essere conformi all’immagine del Figlio di Dio (Rm 8,29).
Questo è il genio cristiano: quanto più, come Gesù, sotto l’azione dello Spirito Santo, facciamo delle Scritture, cioè del piano divino su di noi e sul mondo, l’interpretazione profonda della nostra vita, tanto più le Scritture fioriscono anche in noi nella pienezza della loro verità; non solo ma noi stessi realizziamo la verità tutta intera della nostra vita, creati come siamo ‘per mezzo di Cristo e in vista di Lui’.
Anche la riconsegna della Parola di Dio a tutti i cristiani, perché divenisse il pane quotidiano di cui nutrirsi, è stato uno dei doni e dei frutti più generosi del Concilio Vaticano II. Da qui è nato anche il dialogo fraterno fra tutti i credenti in Cristo.
Tutti sappiamo come Don Germano sia stato della Parola non solo un finissimo conoscitore, ma come ne abbia fatto motivo di vita e criterio rigeneratore della sua ricerca teologica e del dialogo ecumenico, in tal modo tutto riconducendo a Cristo, che è la Parola del Padre incarnata.

A questo punto dobbiamo rivolgerci alle sante Scritture che abbiamo appena ascoltato. Faccio due sottolineature.
‘La Parola di Dio è provata al fuoco’, recita il libro dei Proverbi (21,1-6.10-13), e quindi, è oro puro: ad essa ti puoi completamente affidare, appoggiandoti senza timore di cadere, perché Dio è fedele. Il versetto che abbiamo ripetuto al salmo responsoriale ci ha ricordato che la Parola di Dio è lampada che fa luce sulla nostra strada. E col salmo 118 abbiamo pregato: ‘La tua parola, Signore, è stabile come il cielo’ Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola’.
Gesù ha detto di sé: ‘Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita’ (Gv 8,12): quella ‘luce che splende nelle tenebre, ma le tenebre non hanno accolto’ (Gv 1,5).
‘Fa, o Signore, che la tua luce illumini sempre la nostra vita perché possiamo seguirti e conformarci a Te, che sei l’immagine del Padre , guardando al quale il Padre ha fatto anche noi. Che possiamo assomigliarti ogni giorno più perché anche in noi vada a compimento il tuo mistero per la salvezza del mondo.’

Il Vangelo (Lc 8,19-21) ci parla di Gesù che chiama a sé i Dodici e li manda. Li manda ad annunziare il Regno di Dio, a guarire i malati, a liberare gli uomini e le donne dal dominio dei demoni. In una parola: li manda a fare quello che faceva Lui stesso. L’ultima sera della sua vita, nel discorso di addio, dirà ai suoi: ‘farete le cose che facevo io, e ne farete di più grandi’ (Gv 14,12). Ed essi partirono, poveri e liberi e, passando di villaggio in villaggio, annunziavano dovunque la buona novella e operavano guarigioni. Proprio come faceva Gesù, di cui dice Pietro nel discorso presso Cornelio, che ‘passò facendo del bene e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui’ (At 10,38).
Mi piace leggere in questa luce la vita di Don Germano: anche lui è passato di strada in strada, direi di persona in persona, annunziando il Signore, lenendo le ferite dell’anima, facendo sentire a tutti, anche ai più estranei, la dolcezza della mano di Dio Padre, calda d’amore: con la sua vicinanza, la sua disponibilità a dialogare, onestamente e benevolmente, lieto di trovare, e far risplendere, quelle briciole di verità, sempre luminose, che ci sono nel cuore di tutti.

‘Signore, noi ti ringraziamo per il dono di Don Germano, per il suo amore alla Chiesa e la sua passione per l’accoglienza del Concilio, proponendolo nell’insegnamento in Seminario e in infiniti incontri, dovunque fosse chiamato a parlarne. Ti ringraziamo per quanto ha fatto per promuovere e far crescere a Venezia e nella Chiesa il dialogo ecumenico: studiando, parlando e intrecciando relazioni fraterne.
Tra poco, Signore, noi ci nutriremo di Te: del tuo corpo e del tuo sangue. Fa che la nostra vita parli di Te ai nostri fratelli, con la passione con cui di Te ha parlato, dialogando e soffrendo, don Germano, tuo servo fedele. Donaci, Signore, di aver parte al suo amore per la Chiesa e per i fratelli, avvolgendoli nel sindone della tua misericordia, con amore mite e umile, consapevoli di avere tutto, assolutamente tutto da Te: per farne dono. O Dio, che sei Amore!”