Omelia nella S. Messa per il trigesimo della morte del card. Marco Cè (Mestre / Duomo San Lorenzo, 16 giugno 2014)
16-06-2014
S. Messa nel trigesimo della morte del card. Marco Cè
(Mestre / Duomo San Lorenzo, 16 giugno 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi diaconi, consacrati, consacrate e fedeli,
al termine di un’intensa e faticosa giornata di lavoro siamo convenuti in questo Duomo di Mestre, a lui così caro, per pregare per il nostro amatissimo Patriarca Marco.
 Come prima cosa intendiamo offrire al Signore – in suffragio del nostro carissimo Patriarca Marco – la nostra fatica, il nostro impegno, i successi e gli insuccessi di questo giorno che è un piccolo frammento della nostra vita.
La nostra vita, infatti, è fatta di anni, mesi, giorni, ore e tutto appartiene al Signore.
Per il cristiano tutto – fatica, impegno, successi, insuccessi, tutto’ – può diventare preghiera. Tutto può essere un modo di pregare e ne ringraziamo il Signore, particolarmente nei giorni in cui gli impegni si fanno pressanti, gravosi e, in certi momenti, paiono più grandi delle nostre povere forze.
Carissimi, al di là dei nostri differenti luoghi di provenienza e delle situazioni personali, siamo qui con un’intenzione comune: pregare per il nostro amato Patriarca. Vogliamo di nuovo affidare al Signore la sua anima buona, saggia e mite. Sempre più – anche e proprio nella separazione della morte – lo sentiamo amico, fratello e padre.
Certamente, come tutti gli uomini, anche il cristiano conosce i ‘sentimenti’, tra cui l’affetto, la nostalgia, la tristezza.
L’affetto, la nostalgia, la tristezza sono stati d’animo, sentimenti, pensieri, parole che noi cristiani condividiamo con ogni uomo e ogni donna di altre fedi o anche non credenti ma – come è ovvio – assumono accenti particolarissimi e si avvertono in maniera singolare dinanzi al grande evento o mistero della morte.
 Infatti questi sentimenti, per il cristiano, s’illuminano di una luce particolare in rapporto alla morte. È una luce singolarissima, quella della fede, perché per il cristiano tutto assume un significato nuovo, realmente nuovo, dinanzi a Gesù risorto.
La morte diventa così passaggio, anzi, cammino obbligato – possiamo dire – verso una pienezza che prima di quel ‘momento’ e al di fuori di esso non è umanamente raggiungibile. La morte per il cristiano è indissolubilmente legata alla pienezza di Dio nella storia, ossia la risurrezione.
Tutto questo è quanto il Patriarca Marco ci ha sempre voluto insegnare con il suo stile semplice e quasi dimesso ma, nello stesso tempo, fermo, pacato, autorevole. È stato realmente, per noi, padre nel senso evangelico del termine.
Ecco alcune sue parole sul Crocifisso e sulla risurrezione: ‘Per chi crede che il Crocifisso è risorto – sono le parole del Cardinale –, la morte non è più la maledizione del peccato, bensì la Pasqua di Gesù, cioè il passaggio verso il giorno senza tramonto’. E poi, citando l’apostolo Paolo, continuava: ‘Noi siamo convinti – convinti sulla parola di Dio – che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui’(cfr. Marco Cè, Venite e vedrete. Meditazioni per ogni tempo della vita cristiana, Edizioni Studium Cattolico Veneziano 1998, pag. 223).
Per chi ha conosciuto il Cardinale non è difficile trovare, in queste espressioni, il convincimento che da sempre ha plasmato, sostenuto e indirizzato la sua vita. In esse troviamo la luce che supera la tenebra, il senso ultimo della vita che ne spiega la precarietà, la fede che vince il mondo; parole che sempre hanno guidato il suo cammino di uomo, di cristiano, di prete e di vescovo.
La certezza che Gesù è veramente e realmente risorto accompagna tutta l’esistenza del Cardinale e spiega perché egli considerasse la morte come l’atto supremo della vita; era certo, infatti, che la morte non va subita ma deve essere vissuta.
Sono personalmente testimone come, anche nei giorni più faticosi della sua malattia, il Patriarca Marco mai abbia subito ma sempre sia stato capace di dominare nella fede i giorni, le ore, i momenti della prova grande che è il morire.
Ancora desidero richiamare le parole che ci consegnò esattamente vent’anni fa, al funerale di don Angelo Frassinelli; era il giugno del 1994. Il Patriarca – nell’omelia intitolata ‘Le nostre opere ci seguono’ – così si esprimeva: ‘Concepita, preparata e vissuta così, la morte non è ‘fine’, la notte, ma compimento. L’Apocalisse dice: ‘Riposeranno dalle loro fatiche’ come Dio ha riposato il settimo giorno, dopo aver creato il mondo. Anche per noi la morte – continuava il Cardinale – è ingresso e partecipazione del riposo di Dio, cioè della sua vita e della sua felicità‘ (cfr. Marco Cè, Venite e vedrete. Meditazioni per ogni tempo della vita cristiana, Edizioni Studium Cattolico Veneziano 1998, pag. 224).
Dopo queste parole – riascoltate oggi e considerando che non è più fisicamente presente tra noi, ma convinti che ci vede dall’alto e ascolta la nostra preghiera, quella della Chiesa che lui servì e guidò per ventitré anni – gli chiediamo, per la città di Venezia e soprattutto per la nostra amata Chiesa che è in Venezia, la sua intercessione affinché, in questi giorni, tutti riscoprano il significato cristiano della vita presente, portando già in noi il riposo di Dio che fin d’ora dona pace e conforto nelle tribolazioni.