Omelia nella S. Messa per il conferimento del ministero del lettorato a due studenti del Seminario Patriarcale (Venezia - Basilica della Salute, 16 novembre 2014)
16-11-2014
S. Messa per il conferimento del ministero del lettorato
a due studenti del Seminario Patriarcale
(Venezia – Basilica della Salute, 16 novembre 2014)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
E’ un momento importante per la vita della nostra Chiesa, che interessa tutti noi, perché due suoi membri fanno un passo ulteriore verso il ministero del sacerdozio. E siamo grati del fatto che questo passo avvenga nell’imminenza della festa della Salute.
Ogni prete è dato per il suo popolo e Dio è geloso dei suoi sacerdoti, li ama di un amore immenso. Il Seminario è, soprattutto, prepararsi a rispondere a questo amore esigente, forte, fedele del Signore. Sono brevi gli anni di Seminario ma, cari Francesco e Steven, quello che si fa o non si fa in Seminario è destinato, comunque, a rimanere nella nostra vita sacerdotale.
            Il sacerdozio è un dono grande e rimane sempre dono. Nessuno, infatti, può decidere di sua iniziativa di diventare prete e nessuno può condizionare la scelta di chi è chiamato. Il dono, però, chiede di essere accolto, chiede di essere fatto proprio, chiede di essere coltivato. Per questo la Chiesa – che è sempre madre e maestra – segna un percorso con delle tappe, affinché si giunga al giorno grande dell’ordinazione presbiterale preparati al meglio, per quanto possibile.
E’ sempre una responsabilità dire «siamo servi inutili» (Lc 17,10) perché, nel momento in cui Dio ci ha chiamati, Egli ci ha dato dei talenti e di questi talenti ci chiederà conto. Il Vangelo è molto chiaro in proposito: anche il lettorato è un talento, un dono che la Chiesa pone lungo il cammino che vi sta d’innanzi. E, di sicuro, per voi il lettorato non è un momento di “fine” ma di passaggio, se volete anche un momento di verifica e rendimento di grazie al Signore.
Essere lettore significa proclamare la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, educare il popolo di Dio e condurlo a ricevere degnamente i sacramenti. Significa, infine, portare l’annuncio missionario agli uomini che ancora non conoscono il Signore.
Vorrei, però, soffermarmi sull’animus che deve precedere queste funzioni che afferiscono al lettorato e richiamare la vostra attenzione sul fatto che annunciare la Parola di Dio richiede una cosa necessaria ed essenziale: amare questa parola, non solo conoscerla ma amarla!
 
Questa Parola che sarete chiamati a proclamare nella Chiesa e al di fuori di essa è Gesù, la persona stessa di Gesù. La Parola di Dio non è un libro; è Gesù creduto, amato, vissuto. Questo è il compito che oggi vi viene affidato in modo particolare. Non siete, quindi, chiamati solo a conoscere un libro. Non siete chiamati ad essere dei biblisti, non sarebbe sufficiente; siete chiamati ad amare Gesù, a spendervi per Lui, a rischiare per Lui, ad essere suoi amici. E degli amici non ci si vergogna mai.
Vi ricordo, allora, un testo a cui vi chiedo di fare riferimento, con una certa costanza, nella vostra vita e in preparazione al ministero ordinato. Alludo al testo di Romani 10, soprattutto i versetti 13 e 17: «… la fede – dice Paolo – viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Ma questa affermazione di Paolo è preceduta da un “dunque” e voi sapete che “dunque” è una congiunzione, lega con una precedente; è quindi un unico ragionamento dell’Apostolo che si svolge secondo una logica estremamente coerente e che per voi, neolettori, è bene aver presente.
Paolo si domanda «…come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come annunceranno se non sono stati inviati?» (Rm 10, 14-15). La salvezza, allora, è invocare Gesù (cfr. Rm 10,13). Ma questo, dice Paolo, come potrà avvenire se non si crede in Lui? Ma come si potrà credere in Lui se manca chi lo annuncia? E come si porta l’annuncio se mancano gli inviati?  
Questo è il punto, cari Francesco e Steven. Voi da oggi siete inviati alla Chiesa, siete chiamati a fare tutto questo. Non basta leggere le letture durante la liturgia; con l’aiuto del Signore, in voi deve crescere lo spirito missionario che è semplicemente amare il Signore. Lo spirito missionario è semplicemente amare il Signore, lì dove siete mandati. Su questo punto, Gesù è stato molto chiaro: «Andate – ha detto ai suoi discepoli – in tutto il mondo» (Mc 16,15).
Il “mondo” inizia da se stessi. La periferia più periferia – molte volte – è il nostro cuore. Andare in tutto il mondo significa non escludere proprio noi da questo cammino missionario di conversione. Bisogna evitare, appunto, di guardare solo a se stessi, al proprio io, alla propria visione delle cose.
Lasciate che la Parola di Dio entri in voi. Siete i primi destinatari della vostra missionarietà.  La Parola di Dio entri in voi, vi plasmi, vi cambi giorno dopo giorno, vi converta. Lo dico prima di tutto a me stesso, anch’io sono stato lettore. E si continua ad esserlo, in questo senso, anche quando si diventa accoliti, diaconi, vescovi e patriarchi.
Carissimi, ricordate che annunciare Gesù, la persona di Gesù, oggi, vuol dire – guardiamoci negli occhi – stare con Lui sulla croce. Stare con Lui sulla croce. Annunciare Gesù non vuol dire limitarsi a fare delle dotte esegesi, ad essere biblisti.
Andiamo per un attimo al Calvario. Qui tutti deridono Gesù: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!» (Mt 27,40). Qui parla il buon senso del pensiero dominante, dove ciò che conta è la forza e la potenza. Ed è ciò che avviene al Calvario; sotto la croce di Gesù c’è l’umanità intera.
La sintesi ultima della teologia è il Calvario: qui c’è l’umanità di ogni tempo, di ogni epoca, di tutta la storia. La croce di Gesù riguarda tutti gli uomini, tutte le epoche. Due sono gli atteggiamenti possibili e questa è la sintesi ultima della teologia della storia: il buon ladrone e il ladrone impenitente.
Guardate al Calvario, che è evento trinitario e luogo di manifestazione massima della Trinità. Il Padre ci dona il Figlio, il Figlio si rivolge al Padre e dice: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). Al Calvario, nel modo più vivo e reale, Dio dice quello che è: Amore. Un amore che entra – attenti bene, perché ci interessa da vicino – in una storia che si è consegnata fin dall’origine a colui che si è opposto all’Amore. Nel Crocifisso la divinità è come “azzerata”, anche se continua ad essere presente, viva e reale.
Qui vale solo la fede di Maria, che non a caso è ai piedi della croce e ben presente al Calvario. Qui vale solo la fede di Maria, che proprio al Calvario è chiamata a dire in modo più radicale il suo “sì”. Ella non vede ancora il “tutto” del piano di Dio, ma si consegna tutta e totalmente a Lui. Maria è la fede piena.
C’è, poi, la fede solo abbozzata – e per tanti versi simile alla nostra – del buon ladrone. Per quel suo piccolo gesto di fiducia in Gesù si sente dire: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Per il buon ladrone – e come lui anche per noi – è decisivo essere con Gesù. Il buon ladrone non è solo in croce come Gesù, ma è sulla croce con Gesù. E a differenza di chi deride Gesù e chiede di scendere dalla croce, il buon ladrone – pur vedendo Gesù sfigurato e irriconoscibile – si affida a Lui.
            Carissimi Francesco e Steven, essere lettori non vuol dire essere “biblisti”, vuol dire fidarsi di Gesù. Il ministero del lettorato è partecipare più da vicino al mistero del Dio dell’Amore crocifisso, non è farsi considerare o farsi chiamare “biblisti” o “teologi”; è stare con Gesù in croce e questo è decisivo.
            Carissimi neolettori, sia questa la vostra preparazione al ministero presbiterale, ministero della gioia pasquale. Se non vogliamo essere da più del nostro Maestro (perché capita anche questo) e se non vogliamo andare oltre il suo insegnamento (e capita anche questo) dobbiamo rimanere “in croce”. La gioia pasquale nasce nella Croce e dalla Croce; per questo è una gioia che neppure ciò che è umanamente irreparabile – ossia la morte – può scalfire.
            Carissimo Francesco e carissimo Steven, il cuore dell’annuncio cristiano è la vita che nasce dalla morte, la vita che è più forte della morte. In Gesù la fede di Abramo giunge al suo compimento. Non a caso, nel drammatico dialogo con i Giudei – riportato nel capitolo ottavo del Vangelo secondo Giovanni -, Gesù dice a chi gli sta di fronte: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia» (Gv 8,56).
Il vostro ministero di lettori inizia qui, dalla fede in Gesù crocifisso salvezza del mondo; il resto partecipa semplicemente di tale mistero. Affidiamo il nostro desiderio di bene e affidiamo i nostri nuovi lettori all’intercessione materna e tenerissima della Vergine della Salute.