Omelia nella S. Messa per il 50° anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII (Venezia - Basilica cattedrale di S. Marco, 3 giugno 2013)
03-06-2013
S. Messa nel 50° anniversario della morte di Papa Giovanni XXIII
(Venezia – Basilica cattedrale di S. Marco, 3 giugno 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
 
 
 
            Eccellenza reverendissima, cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli e gentili autorità,
 parlare del beato Giovanni XXIII vuol dire parlare di colui che, più di ogni altro, ha segnato la vita della Chiesa non solo nell’ultimo secolo ma nell’intero periodo della modernità.
La sua umile e potente grandezza è ben risaltata poco fa, durante l’atto accademico che gli abbiamo dedicato, anche attraverso le parole di mons. Loris Capovilla che avremmo desiderato, se possibile, avere oggi qui con noi ma che ci ha egualmente rivolto la sua testimonianza riconsegnandoci il testo della prima comunicazione pastorale del patriarca Roncalli a questa Diocesi.
Giovanni XXIII, con l’annuncio del 25 gennaio 1959 – l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II -, ha dato inizio nella Chiesa ad una riforma che, in continuità con le epoche precedenti come ci ha autorevolmente spiegato Benedetto XVI, segna un momento essenziale nella storia del cattolicesimo.
            Il gesto compiuto da Giovanni XXIII richiedeva coraggio, libertà di spirito e indipendenza di giudizio. Altri Papi, infatti, prima di Lui si erano posti la domanda se convocare un concilio ecumenico e, dopo aver valutato ogni cosa, avevano preferito rimandare ad altro tempo e demandare ad altri la convocazione di un’assise universale. Tale decisione, infatti, comportava conseguenze importanti a breve, a medio e a lungo tempo e, quindi, si preferì procrastinare la scelta.
            Indire un nuovo Concilio era un gesto che comportava conseguenze molteplici e di non poco conto; si trattava inoltre di un atto non frequente nella vita della Chiesa tanto che, nella sua bimillenaria storia, si contano solo ventuno concili ecumenici.
Un atto coraggioso – quello di Giovanni XXIII – destinato, nella logica della menzionata ermeneutica della riforma nella continuità e non della frattura, a segnare profondamente il presente e il futuro della Chiesa.
 Un gesto che lo stesso Giovanni XXIII così spiega nella Costituzione Apostolica Humanae salutis con la quale veniva ufficialmente indetto il Concilio Ecumenico Vaticano II: ‘Contemplando (‘) da una parte una comunità di uomini travagliata da un’estrema povertà di valori dell’animo e dall’altra la Chiesa di Cristo fiorente per rigoglio di vitalità, Noi, fin da quando abbiamo iniziato il supremo Pontificato (‘) abbiamo reputato nostro impellente dovere di rivolgere il pensiero, riunendo le forze di tutti i Nostri figli, a fare in modo che la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei. Per questo motivo, come obbedendo ad una voce interiore e suggerita da una ispirazione venuta dall’alto, abbiamo giudicato essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la comunità umana un nuovo Concilio Ecumenico che continuasse la serie dei venti grandi Concili’‘ (Humanae salutis, n.6).
Giovanni XXIII parla di un’ispirazione dall’alto, di grande fiducia nell’azione della Chiesa a favore della comunità umana, duramente  provata dalla grande carenza di valori dell’animo, e di continuità – non di frattura – tra il nuovo Concilio Ecumenico e i venti grandi Concili che l’avevano preceduto.
            Se leggiamo i pensieri del beato Giovanni XXIII – così come appaiono nel Giornale dell’Anima – scopriamo che tanto negli anni del seminario, del presbiterato e dell’episcopato, in gran parte trascorsi nel servizio diplomatico della Santa Sede, e anche come cardinale, Patriarca di Venezia e Sommo Pontefice, tutto, in Lui, partecipava del respiro dell’eternità ed era fondato sulla divina provvidenza.
In ogni frangente, in Lui, appariva la pacatezza di chi ricerca solo Dio e la Sua gloria, poiché Dio era la guida misericordiosa e la forza pacificatrice di ogni momento della Sua vita.
            È eloquente quanto Angelo Giuseppe Roncalli scrive in occasione dell’ordinazione sacerdotale e a cui rimarrà fedele per tutta la vita, dovunque l’obbedienza al dono ricevuto quel giorno – era il 10 agosto 1904 – lo avrebbe condotto.
            Leggiamo nel Giornale dell’Anima, nelle pagine dedicate agli esercizi spirituali per l’ordinazione presbiterale, quanto avvertì nei momenti subito successivi all’ordinazione: ‘Quando alzai gli occhi, finito tutto’ Vidi la benedetta immagine della Madonna, a cui, lo confesso, non avevo badato prima, quasi sorridermi dall’altare e infondermi col suo sguardo un senso di dolce tranquillità spirituale, di generosità, di sicurezza come se mi dicesse che era contenta, così che mi avrebbe protetto sempre, insomma comunicarmi allo spirito un’onda di dolcissima pace che non dimenticherò più‘ (Giornale dell’anima, p. 200).
            Tale ‘onda di dolcissima pace‘ – per usare l’espressione del novello sacerdote – lo accompagnerà sempre o, meglio, lo plasmerà nell’intimo; cosicché il novello sacerdote, il futuro vescovo, il futuro cardinale e il futuro papa saranno sempre portati da tale ‘onda di dolcissima pace’.
            Colpisce, ancora, come negli anni veneziani – fin dai primi giorni – Roncalli fosse costantemente accompagnato dal pensiero della brevità della vita e dell’imminenza del giudizio di Dio e dal desiderio di poter essere un santo pastore.
Nulla per Lui sembrava essere così importante come la santità: ‘Inizio il mio ministero diretto in una età – anni settantadue – quando altri lo finisce. Mi trovo dunque sulla soglia dell’eternità. Gesù mio, primo pastore e vescovo delle nostre anime, il mistero della mia vita e morte è nelle vostre anime, e vicino al vostro cuore’ Per i pochi anni che mi restano a vivere, voglio essere un santo pastore nella pienezza del termine, come il beato Pio X mio antecessore‘ (Giornale dell’anima, p. 336).
            Un uomo, quindi, volto da sempre e totalmente al bene della Chiesa e delle anime e alla propria santificazione personale, da ottenere attraverso la fedele risposta alla sua vocazione ad essere pastore per i propri fratelli.
            Questi pensieri accompagnano stabilmente Angelo Giuseppe Roncalli già prima della sua ascesa al soglio di Pietro ma, dal giorno dell’elezione avvenuta il 28 ottobre 1958, la nuova grave responsabilità li rese sempre più presenti nel suo animo.
            La decisione di indire un nuovo Concilio, stabilendo in pari tempo di chiudere il Vaticano I fino a quel momento solamente sospeso, va letta proprio nella prospettiva della salus animarum, legge fondamentale di ogni vero pastore.
            Tale scelta da alcuni non fu capita e fu subita con distacco e con indifferenza; da altri invece fu osteggiata. Il portarla a termine richiese, oltre che coraggio personale, molta confidenza nel Signore che, certamente, a papa Giovanni non mancava.
            Ci sono scelte che vanno oltre il piano umano e sono espressioni di un progetto più grande che si renderà manifesto, in modo chiaro, solo a distanza di anni o addirittura di secoli; in esse, poco alla volta, si scorge la sapienza di Dio, il suo amore per la sua Chiesa e l’intera umanità.
            Dio, nella Sua Provvidenza – che ha il respiro dell’eternità -, assegna compiti e missioni differenti scegliendo, di volta in volta, gli uomini più adatti a portare avanti tali compiti e tali missioni.
            Così, per l’indizione del Concilio Vaticano II, si comprese che Angelo Giuseppe Roncalli – per la sua personalità, la sua storia, il suo carattere e la sua spiritualità – era uomo capace di superare quelle pregiudiziali obiezioni che avrebbero fermato altri pontefici, forse più teologi di Lui e più esperti di Lui nella conoscenza della complessa problematica storica del tempo.
Giovanni XXIII – col suo profondo senso di Dio, col suo naturale ottimismo e con la sua soprannaturale virtù della speranza – poteva inoltrarsi là dove altri, a partire dalle obiettive difficoltà ecclesiali, non avrebbero osato avventurarsi. Superando indifferenze e incomprensioni, Egli ebbe il coraggio di addentrarsi dove altri, forse, non avrebbero avuto il coraggio di fare.
            Ciò che papa Roncalli ebbe l’ardire di fare era stato ritenuto non attuabile da papa Ratti e da papa Pacelli, che pur ne preparò il terreno, e forse, alcuni anni dopo, sarebbe stato considerato non attuabile anche da papa Montini.
Quello che, invece, seppe fare in modo magistrale Paolo VI – far salpare la nave del Concilio Vaticano II, affrontando un mare tempestoso, e portandola felicemente ad approdare al porto desiderato – non sarebbe stato nella possibilità di altri e, fra questi, forse dello stesso Giovanni XXIII.
Dio prepara gli uomini adatti per i momenti e i tempi in cui essi serviranno alla sua Chiesa affinché essa possa giovare agli uomini e al mondo intero.  
            Tante cose sono state dette e ancora si diranno sul Concilio Vaticano II, sia dal punto di vista storico e teologico che pastorale; solo il passare del tempo permetterà – come sta avvenendo in questi ultimi anni – una lettura obiettiva, serena e non ideologica dell’evento Concilio Vaticano II.
E’ proprio la stessa grandezza dell’evento-Concilio che ne motiva i tanti interessi, le molte attenzioni e molteplici considerazioni, talvolta anche la pura curiosità dei media che, in ogni modo, tentano di impossessarsene per condizionare le scelte della Chiesa. E speriamo che gli uomini di Chiesa non si pieghino a questa logica.
            Papa Roncalli ricevette da Dio la missione e il compito di scorgere, intravvedere, intuire, fungere da apripista e muovere i primi passi mentre chi lo avrebbe seguito sul soglio di Pietro – il cardinale Giovanni Battista Montini, come d’altronde pensava lo stesso Giovanni XXIII – fu chiamato a portare a termine il Concilio guidandolo per vie che, allora, sembravano impraticabili o addirittura inesistenti e che invece, con l’aiuto dello Spirito Santo – lo Spirito di verità – si manifestarono. E proprio sotto la guida di Paolo VI furono trovati percorsi praticabili da tutta l’assise dei vescovi.
            Giovanni XXIII fu l’uomo che, nel piano provvidenziale di Dio, era stato scelto per aprire una via mentre Paolo VI era l’uomo predestinato a percorrere quella via e portarla a compimento.
            Dio si ‘serve’ degli uomini e li pone nelle condizioni perché possano collaborare al Suo progetto di salvezza a favore del mondo attraverso circostanze che possono sembrare anche casuali ma che, in realtà, sono espressione del piano provvidenziale di Dio che è sempre, saldamente, nelle Sue mani. O ci si crede o non ci si crede.
Nel Giornale dell’Anima, in data 10 agosto 1961, leggiamo un pensiero da cui traspare tutta la sapientia cordis e la saggezza contadina, che accompagnarono sempre Angelo Giuseppe Roncalli: ‘Quando il 28 ottobre 1958 i cardinali della santa Chiesa romana mi designarono alla suprema responsabilità del governo del gregge universale di Cristo Gesù, a settantasette anni di età, la convinzione si diffuse che sarei stato un papa di provvisoria transizione. Invece eccomi (‘) nella visione di un robusto programma da svolgere in faccia al mondo intero che guarda ed aspetta (‘). Devo tenermi pronto a morire anche subito, e a vivere quanto al Signore piacerà’‘ (Giornale dell’anima, p. 355).
Da questa nota si evince come Giovanni XXIII comprese che il suo ruolo non poteva e soprattutto non doveva essere quello che gli uomini gli avevano fissato, a partire dal loro buon senso e dalla loro prudenza, ma piuttosto quello che Dio gli aveva assegnato e che da lui Dio voleva; un compito preciso che egli doveva portare a termine per poi, alla fine, dire con tutto il cuore: ‘Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola’ (Lc 2, 29).