Omelia nella S. Messa per i funerali di don Vittorio Foffano (Chiesa parrocchiale S. Maria del Carmelo/Favorita - Mestre, 19 marzo 2015)
19-03-2015
S. Messa per i funerali di don Vittorio Foffano
(Chiesa parrocch. S. Maria del Carmelo/Favorita – Mestre, 19/3/ 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
Cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, persone consacrate,
familiari e amici di don Vittorio,
mi rivolgo a tutti voi ma, in modo particolare, alla comunità della Favorita, all’attuale parroco don Daniele e a don Gianpiero, ai familiari di don Vittorio e agli amati nipoti, a chi lo ha accudito in questi ultimi tempi quando la salute l’ha progressivamente lasciato rendendolo fragile e bisognoso di tutto.  
Carissimi, siamo qui riuniti per dire a don Vittorio il nostro affetto e il nostro  grazie ma, soprattutto, ad offrire per lui ciò che, nella fede, sappiamo essere il dono più grande, ossia Gesù eucaristia.
Il libro della Sapienza – di cui abbiamo ascoltato un passo significativo – ci ha introdotto bene nella preghiera che, come Chiesa e presbiterio, vogliamo innalzare al Padre, fonte della misericordia, per il nostro don Vittorio; la parola di Dio è risuonata in tutta la sua forza e verità.
Di don Vittorio mi è stato detto – da confratelli suoi coetanei e più giovani di lui – che era sacerdote zelante, curava le celebrazioni eucaristiche, esercitava fedelmente il ministero delle confessioni, amava la sua gente e la ascoltava, era di poche parole ma sempre disponibile e vicino ai suoi parrocchiani.
Riprendo il passo della prima lettura in cui si dice: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà… essi sono nella pace” (Sap. 3,1.3). Siamo contenti che ora, dopo il tempo della sofferenza, don Vittorio sia nella gioia e nelle mani misericordiose del Padre che è nei cieli.
Poter essere con Dio è la gioia che ci sostiene nel mai scontato cammino della vita e, soprattutto, la certezza che ci accompagna nell’arduo e drammatico passaggio che, noi uomini, chiamiamo “morte”.  
Un prete – nel suo ministero, soprattutto se è lungo come quello di don Vittorio – accompagna molti in questo percorso e, quindi, più di altri lo conosce. Ma poi, ad un certo momento, tocca a lui che, personalmente, è chiamato a percorrerlo.
Questo arduo tragitto coincide con l’atto di obbedienza più radicale e col gesto di povertà e spossessamento più grande che un uomo possa compiere: la separazione dal suo stesso corpo.
Qui solo il Dio della misericordia e della risurrezione ci può aiutare in verità e in modo reale. Solo la fede può reggere l’urto dirompente della morte; la morte è, infatti, il non-senso che vuole entrare nella nostra vita.
La fede, in tal modo, diventa l’unica risorsa che permette al cristiano, a differenza di chi non crede, di vivere tale dramma nella sicura certezza (perché la speranza cristiana è sicura certezza!) che la morte non è la parola definitiva.
Così, per il discepolo del Signore, la morte si presenta col suo carico di sofferenze, di paure e di domande alle quali è impossibile rispondere se non tenendo fisso lo sguardo sul Signore risorto, vincitore della morte.
Allora comprendiamo come il brano del libro della Sapienza, appena ascoltato, termini con delle espressioni cariche di piena serenità e fiducia: “Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità,      i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti” (Sap 3, 9).
Don Vittorio ora vede il Dio della misericordia e della verità e solo chi è alla presenza di Dio può capire come la misericordia non sia una via di mezzo tra giustizia e bontà degli uomini. La divina misericordia, piuttosto, coincide con lo stesso Dio che si manifesta là dove l’uomo esprime tutta la sua fragilità, il suo timore, la sua impotenza. E quindi il momento della morte è il momento in cui si svela pienamente il Dio misericordia.
Il salmo responsoriale riprende e sottolinea il tema della prima lettura: “Ricòrdati, Signore, della tua misericordia         e del tuo amore, che è da sempre… ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore” (Salmo 24, 6-7).
 San Paolo, nella prima lettera ai Corinti, ci ha presentato il gesto sacerdotale per eccellenza, il gesto eucaristico che ogni presbitero quotidianamente compie ma che risulta sempre nuovo come se fosse compiuto la prima volta. Il gesto eucaristico riunisce e costituisce la comunità cristiana e richiede un cuore purificato e convertito,  abbandonato alla divina misericordia.
“… ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” (1 Cor 11, 23-27).
Consacrare l’eucaristia è  gesto proprio del presbitero in favore della sua gente, un gesto che va al di là e oltre le sue forze umane, un gesto che noi oggi – come presbiterio e Chiesa che è in Venezia – offriamo per don Vittorio.
 In occasione del suo cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale, don Vittorio esprimeva la sua gioia d’esser prete con queste parole di cui, oggi, gli siamo grati perché vere e attualissime: “Sono passati cinquant’anni. Ringrazio Dio per il dono che mi ha fatto. Fino al settantacinquesimo anno di età nulla mi ha impedito di dedicarmi al servizio pastorale… prossimamente celebreremo insieme la santa messa per ringraziare il Signore per il mio sacerdozio. Preghiamo anche perché non manchi mai il pastore in ogni parrocchia e anche tanti collaboratori. Il Signore vi benedica e un grazie sincero” (Vita Parrocchiale, Bollettino della parrocchia S. Maria del Carmelo, 24 giugno 2007).
Caro don Vittorio, ho avuto negli ultimi giorni la gioia di poter pregare con te e di darti l’unzione dei malati; ora tu, dal cielo, prega per l’intera Chiesa che è in Venezia che per te è stata – quando eri su questa terra – il germe del Regno di Dio.
A tutti coloro che vogliono bene a don Vittorio, soprattutto ai familiari e ai nipoti, la nostra vicinanza affettuosa e la nostra preghiera.