Funerali di don Federico Niero
(Chiesa parrocchiale di San Marcuola – Venezia, 24 febbraio 2017)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Confratelli, parrocchiani, familiari di don Federico,
siamo qui riuniti nella Chiesa parrocchiale di san Marcuola, a lui così cara, per dare tutti insieme l’ultimo affettuoso saluto al carissimo don Federico.
La caduta dello scorso 28 ottobre ha segnato profondamente l’ultimo tratto della sua vita terrena. Ricordo ancora la visita che gli feci subito al pronto soccorso, quello stesso giorno, all’Ospedale Ss. Giovanni e Paolo; vi incontrai la carissima sorella Giuditta, presenza fedele, discreta, paziente che ha accompagnato il fratello sacerdote lungo tutta la vita.
In questi ultimi mesi, in cui don Federico è passato da un ospedale all’altro, lo ha accudito con fedeltà, ogni giorno, senza mai mancare a quel servizio prezioso al quale si era dedicata con tutta se stessa; è stata una presenza continua, nonostante l’età avanzata, un vero angelo custode che mai ha lasciato solo don Federico.
Quasi sempre ho incontrato nelle numerose visite a don Federico anche la nipote che si è spesa con grande dedizione e discrezione. Con loro ringrazio anche i parrocchiani e gli amici che si sono alternati in questo prezioso servizio di accompagnamento.
Il nostro caro don Federico si è sempre identificato con il sacerdozio e col ministero che, conseguentemente, ne derivava e gli incarichi che, di volta in volta, gli venivano affidati; ogni tanto mi ricordava con una luce di fierezza nello sguardo che era prete da cinquantadue anni, ossia dall’ormai lontano 1964.
E ricordo che nelle ultime settimane, quando ormai non era più in grado di parlare, più di una volta me lo volle scrivere sulla sua piccola lavagna che era diventata lo strumento di cui si serviva per comunicare; Don Federico, infatti, era stato ordinato il 21 giugno 1964, dal patriarca Card. Giovanni Urbani.
Don Federico aveva un carattere forte e volitivo. Nei suoi lunghi anni di sacerdozio, prestò il suo servizio dapprima come vicario presso le parrocchie di San Pietro a Murano e di Santa Maria Elisabetta al Lido; poi divenne parroco, prima a San Luca a Venezia, poi a San Michele a Marghera e, infine, a san Marcuola a Venezia.
La sua forza di volontà lo portava – come si dice – a darsi anima e corpo nell’affrontare le questioni e la sua sensibilità faceva sì che non solo che se ne occupasse ma anche, con sofferenza, giungesse a preoccuparsene. Poi, quando trovava attorno a sé aiuto e le questioni si risolvevano, allora ricuperava il tratto sereno del volto ed anche si apriva a un bel sorriso.
Don Federico amava il sacerdozio, era affascinato dalla figura del prete, ne percepiva la grandezza che, solamente, uno sguardo di vera fede consente di avere sulla bellezza delle cose di Dio e sul sacerdozio cattolico.
Tutto ciò lo trasferiva con sapienza nel ministero delle confessioni dove – come mi è stato detto – sapeva ascoltare, sdrammatizzare, senza mai banalizzare il peccato e riportando, con sagge ed essenziali parole, tutta la vita del penitente nel Signore Gesù.
Viveva il ministero come un dono e ne era oltremodo grato al Signore; don Federico, come tutti i preti della sua generazione, era stato formato secondo criteri rigorosi che stavano alla base del metodo educativo dei nostri seminari. Un metodo sobrio che mirava all’essenziale, plasmando sacerdoti tutti concentrati in Dio e attenti ai fratelli; uno stile educativo che ci ha consegnato generazioni e generazioni di sacerdoti che con vera generosità e spirito di sacrificio si sono posti con fede al servizio di Dio e dei fratelli e, quindi, della Diocesi.
Don Federico sapeva e viveva la grandezza del dono ricevuto e ne era particolarmente grato al Signore, sentendosene indegno ma, allo stesso tempo, contento della chiamata che il Signore gli aveva rivolto.
Questa sua felicità, lo ripeto, traspariva da una luce che attraversava il suo sguardo e accompagnava le parole con cui ribadiva: sono prete da cinquantadue anni. Era conscio che, con l’ordinazione, era entrato a far parte – per l’imposizione delle mani del vescovo – della successione apostolica e tutto ciò lo prendeva nell’intimo e lo gratificava perché don Federico aveva, oltre a un carattere forte e volitivo, anche una fede forte e volitiva.
Abbiamo appena ascoltato – letto dal diacono – il Vangelo che si conclude con ciò che, in questo momento, per il cristiano fa la differenza rispetto a chi non crede, ossia la fede nella risurrezione.
Il testo di Luca ci ha presentato le donne che si recano di buon mattino alla tomba dove avevano posto il corpo di Gesù: ”…la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto” (Lc 24,2-6).
Sì, anche noi non dobbiamo cercare don Federico tra i morti ma tra coloro, che in Gesù risorto, sono vivi. Ne va della nostra fede cristiana!
Sì, la fede nella risurrezione in Gesù risorto, che ha vinto la morte, è ciò che in questo momento ci dona uno sguardo sereno e fiducioso di fronte a quello che, senza tale fede, sarebbe vissuto come sconfitta irreparabile.
Un ultimo pensiero mi porta a sottolineare la devozione mariana di don Federico che si affidava sempre – soprattutto nell’ultimo periodo – alla protezione della Madonna di Monte Berico per la quale nutriva un sentimento di particolare affetto. E è proprio alla Madonna di Monte Berico che, con fiducia, lo affidiamo affinché, completamente purificato, lo presenti a suo Figlio e così don Federico possa godere la gioia eterna del Paradiso.
Mentre ringraziamo don Federico per il suo ministero vissuto con fede, rivolgiamo con affetto alla carissima sorella Giuditta, alla nipote, ai familiari, a tutti i parrocchiani e a coloro che hanno beneficiato del suo ministero sacerdotale le nostre condoglianze e la nostra preghiera.