Omelia nella S. Messa nella chiesa parrocchiale di S. Cassiano / Venezia per il mandato agli evangelizzatori di strada (26 ottobre 2013)
26-10-2013
S. Messa nella chiesa parrocchiale di S. Cassiano / Venezia
per il mandato agli evangelizzatori di strada (26 ottobre 2013)
 
Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
 
 
 
 
Carissimi ragazzi e carissime ragazze, che vi rendete disponibili ad un gesto non comune, il Signore in questo momento vi guarda con quella tenerezza con cui guardò il giovane ricco nel rivolgergli la parola: ‘Se vuoi’ vieni! Seguimi!’ (cfr. Mt 19,21).
Noi abbiamo il grande dono del battesimo e la grande responsabilità di aver ricevuto un dono, un dono che ci rende ricchi, un dono che chiede di essere donato. Lo sguardo dell’evangelizzatore di strada, allora, coglie l’uomo e lo coglie a 360°; non ne vede solo le necessità fisiche e materiali. Certo, c’è anche questo: dar da mangiare a chi ha fame, vestire chi è privo di un abito, alloggiare chi non ha una casa, non lasciar soli gli ammalati’ Ma l’uomo è fatto anche da altri bisogni che sono non meno impellenti di questi e, forse, certe volte sono ancor più impellenti perché non sono ‘a coscienza’. Il vero malato è colui che non è conscio del suo male ed allora bisogna guardare all’uomo anche in quelle esigenze di cui non ha consapevolezza.
Esistono, infatti, le opere di misericordia spirituali: consigliare, insegnare, insegnare Gesù, consigliare chi è nel dubbio, perdonare, sopportare, pregare’ Un evangelizzatore di strada non può uscire senza aver molto pregato. In questo è una scuola ferma, un punto di non ritorno, quello che Madre Teresa di Calcutta voleva dalle sue novizie: prima di uscire per le strade di Bombay e di Calcutta bisogna aver pregato, bisogna aver guardato il Signore ed avergli chiesto a lungo di avere il suo sguardo, la sua parola, la sua voce.
Chi è l’evangelizzatore di strada? E’ colui che ha un rapporto forte con Dio, è colui che è radicato fondamentalmente, in modo imprescindibile, nel suo rapporto con il Signore. E considera il Signore così essenziale che non può non proporlo agli altri. Ecco il dono grande del battesimo, il dono impegnativo del battesimo, la responsabilità del battesimo.
L’evangelizzatore di strada – che vuole risplendere come luce nella notte – ripropone e riproduce in sé il mandato del Signore Gesù. Le letture di oggi in qualche modo ci richiamano, sia pure in modo frammentario ed episodico, a quella che è la spiritualità di chi è mandato.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato che, per il Signore, non c’è preferenza di persona: tutte le persone che il Signore ci mette dinnanzi attendono un nostro sorriso, una nostra parola, un nostro atto di coraggio. Paolo ci ricorda che il Vangelo è stata la passione della sua vita e poi ci dice una cosa importante: ‘Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato’.’ (2 Tm 4, 16).
L’evangelizzatore di strada conosce anche i momenti del rifiuto, dell’abbandono e della solitudine. E in quei momenti sa di essere più vicino al Signore, sa di realizzare l’atteggiamento più cristiano che possa portare l’uomo e cioè continuare a donare anche quando è rifiutato; è l’atteggiamento di Gesù in croce che dona salvezza anche a chi lo irride, a chi lo bestemmia.
Si ripropone qui il mandato missionario: andate in tutto il mondo! Al termine della sua vita Paolo dice: ‘Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede’ (2 Tm 4, 6). L’evangelizzatore di strada è colui che, quando incontra una persona, gli dona la pace ed accetta e attende che quella pace sia accolta, mettendo in conto il rifiuto anche frequente. E questo rifiuto subìto diventa così il contributo personale – il contributo dell’evangelizzatore – all’evangelizzazione.
L’evangelizzatore di strada ha posto ed anzi continua, ogni volta, a far suo – a prezzo di violenza su se stesso – l’inizio della lettera paolina ai Romani: ‘Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1, 16). Per ogni uomo e, ritornando alla prima lettura della liturgia della Parola di oggi, senza preferenze. Il Vangelo, infine, ci ricorda come l’uomo che appare giusto, in realtà, è lontano da Dio e l’uomo che sembra ‘il’ peccatore, è colui che, invece, ha già iniziato un cammino di conversione.
Chiediamo al Signore – mentre riceviamo il mandato – di avere il suo sguardo, di avere il suo cuore, di avere la sua forza.
Al termine della S. Messa, poco prima della benedizione finale, il Patriarca ha infine aggiunto:
 
Vi assicuro che prospetterò e trasmetterò ad altri il vostro modo di pregare, il vostro modo di restare di fronte all’Eucaristia, il vostro modo di ricevere l’Eucaristia, perché dice un rapporto reale con un ‘Qualcuno’ che è percepito come amico ma anche come Salvatore. La gioia non è il frutto del ‘tutto va bene’ ma è il frutto di una fedeltà percepita e di una relazione autentica con Colui che, solo, può darci la vera felicità. E in Lui ogni altra felicità nasce, si corrobora, si compie e ritorna a Lui. Questa è la gioia del cristiano.