S. Messa nella chiesa parrocchiale dei Ss. Francesco e Chiara
(Marghera, 4 ottobre 2014)
Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Francesco: qual è il suo segreto? Perché anch’io vorrei essere come lui, perché una comunità che porta il nome di Francesco vorrebbe essere francescana… Quest’uomo, che ci viene oggi incontro, è separato da noi da ben otto secoli eppure è così attuale, è così “fresco” e lo sento mio contemporaneo. Qual è il suo segreto? Perché anch’io voglio essere come lui o, almeno, gli vorrei assomigliare in qualche piccola parte. Il segreto di Francesco ce lo dice Francesco stesso; nel suo testamento parla, infatti, di una conversione. Possiamo, anzi, dire che Francesco ebbe una serie di conversioni ma lui parla, in particolare, di una conversione che vorrei avessimo tutti di fronte agli occhi.
Ad un certo punto dice che non poteva accostare i lebbrosi, non li poteva avvicinare… All’epoca il lebbroso veniva chiuso in un recinto, il lebbrosario, si celebrava Messa e gli si diceva: vedi, tu appartieni al corpo spirituale della Chiesa, ma ormai non appartieni più all’umanità. Ecco, Francesco vince la repulsione personale e la decisione culturale dell’epoca nei confronti di questa malattia misteriosa perché veniva dall’Oriente ed era vista come un giudizio di Dio sulla persona e voleva dire che quella persona, per il mondo, era oramai morta e si pregava solo per la sua anima. Francesco vince, allora, la repulsione personale e culturale nei confronti di questi fratelli segnati da questo male e va a vivere con loro.
Ricordate la prima lettera di san Giovanni? Come puoi dire di amare Dio, che non vedi, se non ami il fratello che vedi? E ricordate il Padre Nostro? Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori… Francesco incontra Dio nell’umanità dolente, diventa il fratello universale di ogni uomo, diventa l’uomo capace di gioire, di dare gioia, letizia, di costruire la fraternità universale tanto che i suoi frati, all’inizio, venivano chiamati non l’ordine dei frati minori ma “la fraternità”. E’ l’incontro con Cristo nell’umanità sofferente che apre Francesco a quella fratellanza universale e a quell’essere amico di ogni uomo.
Il segreto di Francesco è un segreto teologico e cristologico. E, insieme ai lebbrosi, ci sarà anche l’incontro con il Crocifisso. Se vogliamo essere una comunità francescana, se vogliamo essere una comunità capace di fraternità, se vogliamo instaurare rapporti buoni con gli uomini, con le donne, con il nostro tempo, se vogliamo essere persone libere e serene, allora non dobbiamo iniziare una “recitazione sociologica” ma dobbiamo andare a Cristo. Perché, vedete, ad un certo punto, Francesco capisce di appartenere a Lui ed appartenere a Lui vuol dire non appartenere più a se stessi. E non appartenere più a se stessi vuol dire essere liberi ed essere liberi vuol dire essere capaci di povertà.
Se non andiamo alla radice francescana, cioè se non andiamo al carisma di Francesco, noi difficilmente riusciremo a vivere la caratteristica francescana: l’incontro con il Signore, la povertà, la libertà, la semplicità, il mettersi in gioco, il non rimanere arroccati sulle proprie posizioni da difendere. Tutto questo è il risultato di un contatto vero con Gesù Cristo; essere francescani vuol dire avere un rapporto personale con il Signore. In Gesù, nel Cristo, nel corpo piagato di Cristo, Francesco vede l’amore del Padre per l’umanità.
Francesco – che non era un teologo, non voleva essere un teologo, ed anzi si giudicava un idiota dal punto di vista culturale – ha avuto la percezione dell’incontro con Dio attraverso l’umanità di Cristo. Circa tre anni prima di morire, a Greccio, ebbe l’idea del presepio: l’umanità di Gesù, quell’umanità che lui vedeva riflessa nel povero, nel mendicante, nel lebbroso… E allora riscopriamo la figura autenticamente vera di Francesco; così Francesco diventerà capace di vivere nella nostra comunità e ci renderà accoglienti, liberi e poveri perché apparterremo al Signore. Questo è il pensiero che vi voglio lasciare nella sera di san Francesco.
Ringrazio don Marco per le parole di presentazione e soprattutto per l’invito. E insieme a don Marco ringrazio anche don Ottavio che, per ventidue anni, è stato vostro parroco. Ringrazio anche la comunità francescana che si è resa presente qui con tanti fratelli che ci ricordano come Francesco “viva” nella vita e nella comunità dei suoi frati.
Voglio, però, ringraziare in modo particolare il gruppo giovanile della parrocchia dei Ss. Francesco e Chiara. E’ vero, come diceva don Marco, che Chiara fa un po’ la parte minore però lei è contenta che, nel giorno di S. Francesco, mettiamo al centro questo suo concittadino ed amico, colui che l’ha portata a fondare quelle che adesso noi chiamiamo le Clarisse, le povere donne, le dame povere di Assisi. Ringrazio il gruppo giovanile perché ieri – nella grande chiesa francescana di Mestre, il Sacro Cuore – ci ha fatto rivivere in modo molto alto, anche dal punto di vista del profilo artistico, la figura di Francesco.
Avete recitato bene! Avete saputo usare bene dei costumi, del ballo, del canto e molti di voi hanno recitato veramente in modo splendido. Ci avete fatto rivivere una pagina importante della nostra storia cristiana e, soprattutto, ci avete detto che una fede che vuol essere amica dell’umanità, trova quei mezzi umani: il canto, il ballo, il suono, le luci, le coreografie… Una fede che vuol essere amica dell’uomo trova tutti quegli aspetti umani per dire che il Vangelo è bello; non è solo vero e non genera solo impegno, perché noi uomini abbiamo bisogno del bello, il bello ci eleva, ci innalza e soprattutto è un’immagine particolare della creatività.
Il bello è bello, e non perché ha un mercato! Mi chiedo tra l’altro – lo dico submissa voce, in silenzio – quante cose moderne rimarranno tra qualche decennio come capolavori… Il bello si impone semplicemente perché è bello. Dite ad una persona: perché ti piace il tuo ragazzo, la tua ragazza, tua moglie, tuo marito? Perché è bello! Ma perché è bello? Perché è bello! Ecco, ieri ci avete detto che il Vangelo si traduce anche nella bellezza. E questo credo che sia un modo di evangelizzare, soprattutto un modo di evangelizzare i coetanei, i giovani, anche se il bello – diciamoci la verità – non ha stagione della vita.
Auguri e buona festa a tutti! Grazie ancora dell’invito e continuate a trovare sempre nella vostra comunità quelle note francescane che vi possono contraddistinguere tra le altre comunità parrocchiali e, soprattutto, vi possono aiutare ad essere una luce importante in questo quartiere.