Omelia nella S. Messa nella Cattedrale di Concordia Sagittaria a conclusione dei lavori di restauro e nella vigilia della solennità dei Ss. Pietro e Paolo (28 giugno 2013)
28-06-2013
S. Messa nella Cattedrale di S. Stefano Protomartire
di Concordia Sagittaria a conclusione dei lavori di restauro
e nella vigilia della solennità dei Ss. Pietro e Paolo (28 giugno 2013)
 
Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Ringrazio il Vescovo Giuseppe per il cortese invito a presiedere questa solenne celebrazione eucaristica – nella festa degli Apostoli Pietro e Paolo – in occasione della riapertura al culto di questa chiesa cattedrale, dopo gli importanti lavori di restauro eseguiti in questi mesi.
Un saluto cordiale al Vescovo Ovidio, al capitolo dei canonici, ai confratelli nel sacerdozio, ai diaconi, ai consacrati, ai religiosi e alle religiose, al Sindaco, alle autorità e a tutti i fedeli laici oggi presenti.
Riaprire la chiesa cattedrale al culto, dopo un intervento di ristrutturazione così significativo, è l’occasione – in quest’Anno della Fede – per lasciarsi ancora una volta interpellare proprio sulla fede: il ‘sì’ che ci unisce, in modo particolare, a Dio.
Secondo tale logica, Dio non è una questione filosofica o culturale ma è Colui che entra nella nostra vita e le dà un senso nuovo, insieme a nuove possibilità.
Giustamente è stato notato che, nella vita di una persona, ‘con’ Dio o ‘senza’ Dio tutto cambia. In realtà, se Dio esiste, una luce nuova pervade anche i momenti più oscuri dell’esistenza; vi sono, nella vita, momenti segnati da fatti, problemi e questioni umanamente insuperabili se si rimane unicamente sul piano delle forze e delle risorse umane.
La prima lettura, tratta dal terzo capitolo degli Atti degli Apostoli, ci spalanca dinanzi una porta: è la guarigione di un uomo storpio dalla nascita che chiede l’elemosina alla porta del Tempio denominata Bella.
Ad un primo sguardo, i protagonisti dell’episodio narrato da Luca sono lo storpio, Pietro e Giovanni. Ma, in realtà, il protagonista è un altro: è la grazia. La grazia che risana, dona vita e corregge le storture degli uomini.
Gli apostoli e le loro comunità, progressivamente, hanno inteso quale novità fossero la risurrezione di Cristo e il dono dello Spirito: sono doni in grado di condurre l’uomo oltre le sue risorse umane.
La ricchezza dei discepoli – qui di Pietro e di Giovanni – è data dalla consapevolezza di avere sempre, con loro, il Risorto e il suo Spirito.
Il terzo capitolo degli Atti degli Apostoli segue, immediatamente, la narrazione dell’evento di Pentecoste che costituisce l’effettivo inizio del libro degli Atti.
Il brano che abbiamo ascoltato – come prima lettura di questa eucaristia vigiliare – ci offre indicazioni sia sul piano teologico sia della prassi pastorale; indicazioni che, soprattutto oggi, urge riscoprire e ricuperare.
Pietro e Giovanni, innanzitutto, mostrano piena coscienza del fatto che la vera ricchezza della Chiesa è la presenza e l’azione in essa di Gesù e del suo Spirito; infatti Gesù, per l’azione dello Spirito, si rende presente attraverso l’opera  di Pietro e Giovanni.
Così possiamo dire che il Signore Gesù è la vera ricchezza della Chiesa! Non l’oro o l’argento quindi, ma semplicemente il Signore Gesù, il Risorto.
Richiamiamo, allora, il senso di un’affermazione che troviamo nella seconda lettera ai Corinzi, dove si legge: ‘Il Signore è lo Spirito‘ (2 Cor 3,17).
Quest’affermazione si comprende meglio a partire dalla risurrezione, dove Gesù è costituito Spirito datore di vita: E’ seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita‘ (cfr. 1 Cor 15, 44-45).
Qui si dischiude il significato ultimo dell’antica alleanza che si manifesta compiendosi, appunto, nella vicenda storica di Gesù Cristo, il Signore morto-risorto-datore dello Spirito.
La seconda indicazione, invece, è di tipo pastorale; Pietro, prima di tutto, esorta l’uomo che domanda l’obolo a guardare verso di Lui e verso Giovanni; per il cristiano il povero non è solo occasione per compiere un opera buona e fare un po’ di bene.
Pietro, al contrario, vuol guardare in volto la persona, attingerne il mondo interiore, il bisogno di salvezza, la solitudine esistenziale di chi, da solo, sarebbe condannato a rimanere, per sempre, ripiegato su di sé: ‘Guarda verso di noi‘ (At 3,4).
La carità e la giustizia si nutrono di un rapporto personale con l’altro; tutto ha inizio dallo sguardo, dal modo di guardare e, se si tratta di persone, dal guardarle negli occhi per scoprirne l’io profondo.
Il miracolo, qui, è il risultato dell’incontro tra coloro che già credono nel Signore (Pietro e Giovanni) e chi, invece, ancora non crede in Lui perché non lo conosce (lo storpio); il miracolo, comunque, viene sempre da Dio, è segno della Sua misericordia e della Sua paterna presenza nella vita degli uomini.
Lo storpio sta per fare l’incontro che cambierà la sua vita, non a partire da una conoscenza intellettuale ma attraverso l’esperienza sconvolgente di chi avverte la grazia della salute entrare nel suo corpo fino a quel momento malato, sofferente e ripiegato su di sé.
Si tratta di una salvezza profondamente umana, di una salvezza che raggiunge, anzi si origina – particolare di non poco conto – dalla carne, dal corporeo. Questo è il realismo cristiano che Tertulliano esprime e racchiude nella frase ‘caro salutis est cardo‘.
Ma ascoltiamo nuovamente il passo degli Atti che la Chiesa ci propone in questa liturgia: ‘[Lo storpio], vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!». Lo prese per la mano destra e lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio‘ (At 3, 3-8).
            La fede cristiana, la vita del discepolo e la comunità ecclesiale – soprattutto in quest’Anno della Fede – devono ricuperare la coscienza della Chiesa delle origini, ossia la consapevolezza d’essere la comunità del Signore Risorto, dove il dono dello Spirito – incessantemente – ‘dice’ e ‘dà’ Cristo e la sua salvezza.
            Una Chiesa agile, affrancata e, per questa sua libertà, capace di correre e percorrere le vie dello Spirito.
            Pietro e Giovanni ci indicano la strada del rapporto umano con il nostro prossimo: l’umanità degli evangelizzatori e dei missionari – dopo l’incarnazione – è, ordinariamente, il mezzo primo e principale di cui si serve la grazia di Dio.
            Ecco perché nel Vangelo Gesù, prima di confermare il primato a all’apostolo Pietro, per ben tre volte insiste nel chiedere se lo ama. 
            Una cattedrale restaurata – con tutte le espressioni artistiche che essa contiene – diventa catechesi vivente perché la fede si esprime, in particolare, attraverso il bello che, nella sua gratuità, diventa strumento adatto per ‘dire’ Colui che è la stessa gratuità.
           Una cattedrale, inoltre, è espressione di un legame storico con le generazioni che ci hanno preceduto e, forse, meglio di noi hanno saputo ‘dire’ e ‘dare’ Gesù Cristo alle loro epoche.
La solennità liturgica dei santi Pietro e Paolo ci ripropone, con forza, una fede che, per essere tale, deve essere una vera e propria plantatio fidei.
La fede richiede sempre di essere donata perché solo nel dono cresce, si conserva, si irrobustisce.
La cattedrale è luogo di preghiera, luogo di annuncio della parola e catechesi, luogo eucaristico e, quindi, spazio in cui matura la vita di carità. Ma una cattedrale è anche luogo della fede che si manifesta attraverso il bello.
Il bello si esprime in forme, spazi, linee prospettiche, rifrazioni di luci, suoni e colori. Ed è del tutto logico che un popolo voglia testimoniare la sua fede non solo in termini di verità e bontà ma anche di bellezza.
La restaurata – e oggi ufficialmente riaperta – cattedrale di Concordia Sagittaria ci aiuta, appunto, a vivere la fede rendendo grazie a Dio attraverso un suo attributo: la Bellezza.