Omelia nella S. Messa in occasione dell’inizio dell’Anno dedicato alla vita consacrata (Venezia - Basilica della Salute, 15 novembre 2014)
15-11-2014
S. Messa in occasione dell’inizio dell’Anno dedicato alla vita consacrata
(Venezia – Basilica della Salute, 15 novembre 2014)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
Un benvenuto a tutti voi, religiose e religiosi, e un saluto particolare a mons. Lucio Cilia, delegato del Patriarca per il grande dono della vita religiosa.
Siamo ad un anno circa dall’annuncio d’indizione da parte di Papa Francesco che, da religioso, indicava tre obiettivi per questo anno di grazia: fare memoria grata dei 50 anni del Concilio Vaticano II e della Perfectae caritatis, abbracciare il futuro con speranza e vivere il presente con passione.
Vi indico e sottolineo questi tre atteggiamenti: una memoria grata, guardare al futuro con speranza e vivere il tempo presente con passione. Vi chiedo anche che il collante – il comune denominatore – sia la gioia: la gioia di una vita radicalmente evangelica, la gioia della vita fraterna che è fatta anche di perdono, la gioia della missione.
Abbiate come esempio Maria, la prima consacrata, il sì di Maria, un sì pieno, mai ritratto. La vita fraterna è la casa di Nazaret: andate a rileggere la seconda lettura dell’ufficio della Santa Famiglia, l’omelia del beato Paolo VI a Nazaret. La gioia della missione è Maria che, con passo frettoloso, si reca portando Gesù in grembo a trovare la cugina Elisabetta.
Il carisma della vita religiosa arricchisce la Chiesa e si svolge nella Chiesa. E dipende dal riconoscimento della Chiesa. La persona consacrata nei voti guarda a Maria, che è la prima consacrata. Noi veneziani celebriamo la grande festa della Salute proprio il giorno della presentazione al tempio: la Vergine Maria è l’arca dell’alleanza, il luogo della presenza dello Spirito.
Quest’anno della vita consacrata ci deve innanzitutto far riscoprire quanto siamo essenziali e importanti nella vita della Chiesa. Il mondo non stima le cose della Chiesa: le giudica, ne sorride e questo in modo particolare per ciò che riguarda la vita religiosa. Voi siete importanti nella Chiesa e vorrei che, al termine di questo anno della vita religiosa, ci fosse uno sguardo di fede più acuto sul dono che Dio vi ha dato.
Se noi potessimo vedere con lo sguardo di Dio quant’è importante la persona che si consacra totalmente a Dio, noi rimarremmo privi di parola. Ma noi stimiamo la vita religiosa? Noi siamo una risorsa della Chiesa. I religiosi, voi, siete una risorsa della Chiesa. E l’anno della vita consacrata non è solo l’anno dei religiosi: è l’anno della Chiesa.
Maria è il membro eletto della Chiesa alla quale la Chiesa guarda come modello. E Maria è anche – nel suo sì a Dio – l’emblema della Chiesa, l’icona della Chiesa: Maria, Chiesa, verginità consacrata sono realtà tra loro legate in modo particolarissimo. E questo comporta, per chi vive la consacrazione, l’assunzione – al di là dell’istituto di appartenenza – di una spiritualità connotata in termini ecclesiali.
Come Maria – che in sé identifica il mistero della Chiesa – la persona consacrata è l’immagine di un sì totale e gratuito a Dio. E, in tal modo, la persona consacrata accondiscende a servire Gesù nella gioia e, per questo, si impegna a vivere la spiritualità mariana, ossia il sì totale, il dono totale di sé. E’ qui che si gioca la vita religiosa: non il dono, ma il dono totale. Qui c’è la possibilità unica di vivere la vita di consacrazione.
Ambrogio, vescovo di Milano nel IV secolo, ammoniva in uno dei suoi scritti: facciamo attenzione che la nostra caduta non diventi la ferita della Chiesa. Infatti, se la Chiesa in sé non può essere ferita, lo può essere in noi, nelle sue membra. La Chiesa in sé è immacolata, anche se costituita da peccatori. Ambrogio parlava della Chiesa immacolata che proviene dai peccatori. Ma questo richiede che tutti i membri della Chiesa diventino, da peccatori, immacolati.
C’è stato un momento in cui la Chiesa era veramente santa ma non era la comunità delle origini: andate a rileggere la prima lettera ai Corinzi e siamo nel 57/58 dopo Cristo, a distanza di 25 anni dalla risurrezione… C’è stato un momento in cui la Chiesa è stata veramente santa, quando la Chiesa si identificava in Maria e Gesù portato nel grembo. Lì c’è la Chiesa: Maria è la chiesa nascente, è il sì totale a Dio, il sì libero dal peccato. Ecco perché l’anno della vita religiosa dev’essere un anno in cui noi cerchiamo la purificazione: i voti sono pronunciati per essere vissuti giorno dopo giorno, istante dopo istante.
Andiamo a leggere i diari delle grandi anime religiose; abbiamo avuto la gioia, poche settimane fa, di accogliere l’urna con i resti mortali di santa Teresina di Lisieux. L’ultimo anno e mezzo della vita di santa Teresina: la purificazione. San Giovanni della Croce, gli ultimi giorni della vita di Ignazio di Loyola, il termine della vita di don Bosco: la purificazione. I voti sono pronunciati per essere vissuti. E si rimane ammirati di fronte alla vita di certi religiosi e di certe religiose; un modo radicale, vero, libero, pieno, silenzioso nel dire sì e nel seguire Gesù povero, vergine e obbediente al Padre.
Questo anno delle vita consacrata è dato alla Chiesa e a voi per ringraziare Dio del dono che avete ricevuto, perché vi ha amato di un amore più grande. Rileggete la messa per le vocazioni religiose e poi la Lumen gentium: Dio chiama tutti alla santità, ma chiama alcuni a seguirlo più da vicino. Purifichiamo il nostro modo di seguire Gesù. E Maria sia il modello di questo anno: beata perché ha creduto, beata perché ha costruito la sua vita sulla parola di Dio. E solo perché ha creduto ha generato il figlio di Dio. Nella Chiesa, e solo nella Chiesa, troviamo Gesù.
C’è un altro pensiero che vi vorrei lasciare all’inizio di quest’anno della vita consacrata: la Chiesa è il segno efficace di Gesù. La Chiesa è la sposa, Cristo è lo sposo. Non si dà mai – nella storia della Chiesa – l’idea di un’opposizione tra la Chiesa e Cristo; sarebbe come dividere lo sposo e la sposa, come ammettere il divorzio…
Non è possibile accettare Cristo sposo, sorgente della vita, e rigettare la Chiesa sposa, madre e maestra, che trasmette questa vita di salvezza. Appartiene ancora all’antica riflessione dei Padri l’immagine della Chiesa come una rete gettata in mare. Pensiamo allora alla pesca miracolosa e, dopo una notte di lavoro infruttuoso, a quella rete gettata dalla parte di Pietro con gli apostoli che si adoperano nel portarla a riva: questa è l’immagine della Chiesa. Solo con Cristo, solo nell’obbedienza di Pietro a Cristo, la Chiesa torna ad essere feconda.
Io vorrei che ci fosse un impegno, un sì totale a Cristo, dei vostri istituti di appartenenza perché questo è il modo di chiedere a Dio le vocazioni. La prima preghiera è vivere bene il carisma dell’istituto. E lo scopo di questa “fruttuosità” è gettare la grazia del Signore nella nostra vita attraverso semplicemente un sì, il sì obbediente di Pietro che dice: Signore, io sono pescatore, so come si pesca, ho provato tutta la notte, ma se tu me lo dici io mi fido di te…
La Chiesa ci dona Gesù, la Chiesa è la comunità di Gesù in cui si attua la salvezza. E allora quel simbolo della barca e della pesca miracolosa è particolarmente eloquente e deve tornare a parlare alla nostra vita personale. Sant’Ambrogio mette sulle labbra di Cristo queste parole: tu stai con me se stai nella Chiesa. Non sogniamo una Chiesa fatta a nostra immagine e somiglianza; siamo noi che dobbiamo diventare immagine della Chiesa. Ogni alternativa, ogni frattura nel rapporto con la Chiesa, è qualcosa di impensabile.
A maggior ragione le persone consacrate, se vogliono cercare Cristo e se vogliono stare con Lui, devono cercarlo nella Chiesa e stare con la Chiesa; stare con la Chiesa, così, è semplicemente stare con Cristo. L’impegno che ogni persona consacrata deve prendere a fondamento della propria vita è questo: bada che nessuno tenti di separarti dalla Chiesa, perderesti infatti Cristo. Questo lo dico perché certe volte si avverte la pesantezza della vita comune e la vita comune non è sempre fraterna, eppure è vita di Chiesa. Pensiamo a Gesù e ai suoi apostoli: lo hanno sempre capito? Lo hanno sempre seguito? Di fronte a questo pensiero dobbiamo ritornare in noi.
La cosa più grande che possiamo fare, in questo anno, è convertirci a una vita religiosa più radicale. Convertirci è il bene che noi facciamo alla Chiesa; è il bene che facciamo a noi stessi, che facciamo al mondo. Quel qualcuno che tenta di gettare in noi la sfiducia nei confronti della nostra vita religiosa… forse quel qualcuno è il nostro io, il nostro orgoglio, il nostro voler disporre di noi stessi avendo di mira il fare più che il dono di noi stessi. Guardiamo, allora, al concreto della nostra vita. Una vita fatta di povertà, di essenzialità, di verginità che è un amore più grande verso il Signore, di obbedienza che è la volontà di essere simili a Lui e obbedienti al Padre: queste sono le espressioni vere e concrete di un cuore libero.
L’abito, la vita comune, i voti… di che cosa sono segno? Sono il segno di un’appartenenza. La consacrazione è, semplicemente, l’appartenenza a lui. Sono segni di un sì, il segno di un amore caparbio. L’appartenere a Lui, il sì detto a Lui, l’amore più grande per Lui – detti nella Chiesa e a partire dalla Chiesa – rivestono un significato particolare di cui vedremo la grandezza solamente in Paradiso. Quanto è stato importante la consacrazione di una persona nella storia del mondo lo capiremo davvero solo in Paradiso. E, prima ancora di fare qualcosa, già l’atto della consacrazione è un annuncio efficace del regno di Dio.
Assumiamo la logica di Gesù: la Chiesa non è una nostra invenzione, è una sua invenzione; non è una nostra scelta, è la sua scelta. È la sposa per cui Gesù sposo continua a donarsi attraverso lo Spirito Santo che è il dono che ci fa la croce. Esaminiamoci, allora. E riscopriamo in questo anno il senso della consacrazione a Gesù, la grandezza di questo atto.
La Perfectae caritatis parla di fedeltà al Signore, fedeltà alla chiesa, fedeltà al proprio carisma, fedeltà al mondo di oggi. E san Giovanni Paolo II alla vita consacrata chiedeva di assumere il momento presente – con le sue luci e le sue ombre, anche con le sue fatiche – come il kairos, come una grazia (la grazia del momento presente), un’occasione di crescita in profondità e, quindi, di una crescita nella speranza.
Concludo con un pensiero di Papa Francesco che, in un suo discorso del 27 settembre 2013 ai catechisti, raccomandava di uscire dall’autoreferenzialità: “…chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica…” (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al congresso internazionale dei catechisti, 27 settembre 2013). Abbiamo di fronte a noi la grazia dell’anno della vita consacrata. Partiamo bene, guardando a Lui e guardando a Maria, la prima consacrata.