Omelia nella S. Messa in occasione della XXXIII Festa diocesana della Famiglia (Venezia, 20 gennaio 2013)
20-01-2013

S. Messa in occasione della XXXIII Festa diocesana della Famiglia

 

(Venezia, Basilica cattedrale di San Marco – Domenica 20 gennaio 2013)

 

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi, per la trentatreesima volta – la mia prima volta – ci incontriamo nel giorno della Festa della Famiglia. Riflettiamo insieme su questo bene. All’origine della famiglia, fondata sul sacramento del matrimonio, ci sono l’uomo e la donna. Il sacramento del matrimonio è segno reale, efficace dell’amore di Cristo sposo per la Chiesa sposa.

La prima lettura che abbiamo ascoltato – tratta dal profeta Isaia – ci presenta Dio di fronte al suo popolo: Dio è lo sposo, Israele è la sposa. È significativo che quando la fede cristiana deve presentare il legame Cristo-Chiesa o Dio-popolo, si serva dell’immagine degli sposi.

Abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Come lo sposo gioisce per la sposa, Dio gioisce per Israele. E pochi versetti prima il profeta Isaia ci aveva detto: «La tua terra (sarà chiamata) Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo» (Is 62,4). Quando Dio deve parlare del suo rapporto con l’umanità, quando Gesù deve presentare il suo rapporto con la Chiesa, si parla in modo sponsale.

 

Il Vangelo ci dice anche un’altra cosa: Gesù ha scelto di iniziare il suo ministero pubblico – la sua opera salvifica pubblica – in occasione di un matrimonio, durante una festa nuziale. Anzi, a leggere bene il brano evangelico di Giovanni, a Cana si comprende come per l’evangelista la vera figura dello sposo sia Gesù. Costretto da Maria, prima discepola e ‘figura’ della Chiesa, egli si manifesta ai discepoli. Maria e i discepoli sono il segno e la realtà della Chiesa: Gesù ne è lo sposo.

Non c’è, quindi, secondo il giudizio di Dio, realtà più idonea ad esprimere il suo rapporto salvifico con l’umanità che l’unione sponsale dell’uomo con la donna: da qui ecco il sacramento del matrimonio.

In realtà, la famiglia (la famiglia cristiana) – che nasce dall’amore di un uomo (papà) e di una donna (mamma) – è il primo luogo dove i bambini imparano l’amore. Laddove si realizza l’immagine, nel sacramento, di Dio che ama il suo popolo e di Cristo che si dona alla sua Chiesa, in quell’amore tra l’uomo e la donna, i bambini (i figli) imparano che cosa è l’amore. Siamo educati dall’amore.

E come ci viene insegnato l’amore? Facendoci sentire amati. L’amore non si improvvisa: l’amore non si impara attraverso delle dispense, dei video, dei libri, dei convegni’ L’amore si impara mostrando ai nostri bambini cosa vuole dire amarsi tutti i giorni. Saprà amare nella vita solo chi è stato amato, solo chi è stato accolto nell’amare e, quindi, solo chi ha imparato cosa vuole dire amare vedendo due persone che si donano, giorno dopo giorno, gratuitamente.

La famiglia è il luogo della gratuità. Tutti gli altri ambiti del vivere ci domandano – giustamente – di essere fedeli, capaci, responsabili, attivi, produttivi, giusti… Nella famiglia – concretamente e con il loro modo di essere, con il loro stile di vita – papà e mamma ci dicono cos’è la gratuità, che cos’è l’amore.

Nulla in famiglia viene pagato, nulla in famiglia è oggetto di scambio, nulla in famiglia è rapporto commutativo: tutto si fa perché la legge che vige è quella dello stare con l’altro, di essergli presente, di aver tempo per lui. I due genitori sono la fonte originaria e la struttura portante di questo amore che educa al dono di sé.

La Scrittura ce lo insegna già nell’Antico Testamento – il tempo in cui si preparava la pienezza dell’amore -, facendo intravvedere questa legge del dono che si tradurrà in benedizione. Ad esempio  nel libro del Siracide si dice: chi onora il padre e la madre avrà gioia nei figli; chi glorifica il padre vivrà a lungo; figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia e non contristarlo anche se perdesse il senno…

Benedetto XVI ci ricorda che la famiglia è un bene necessario per i popoli, è un fondamento indispensabile per la convivenza, è un bene insostituibile per i figli che devono essere, appunto, frutto dell’amore, del dono totale e generoso dei genitori. Bisogna dire la bellezza della famiglia.

Non lasciatevi privare, almeno in qualche aspetto della vita, della gioia delle scelte definitive. Se tutto diventa rimandabile, se tutto può essere superato, non c’è la gioia dell’amore che si manifesta nella conquista difficile. Certe vite sono demotivate, talvolta anche tristi e annoiate, perché hanno perso il gusto delle decisioni definitive.

Tante cose nella vita sono e debbono rimanere mutevoli, ma altre ci aiutano indicandoci che è possibile andare oltre la difficoltà del momento presente: la gioia di dire all’altro il proprio amore superando i momenti difficili, la gioia di dire all’altro il proprio amore nel perdono, la gioia di dire all’altro il proprio amore facendosi carico di qualche peso che l’altro dovrebbe portare e che, in quel momento, non riesce o non si sente in grado di portare. Non toglietevi la gioia delle scelte definitive.

Gli sposi rimangono sempre tali, anche nelle differenti stagioni della vita. Imparate – carissimi sposi – a vivere, a scoprire e a gustare le differenti stagioni della vita. Tante insoddisfazioni, tante stanchezze e tante difficoltà matrimoniali nascono da questa incapacità di scoprire una nuova stagione della vita. Nella vita di coppia – nella vita matrimoniale – c’è l’innamoramento, c’è la passione, c’è la generazione, c’è l’impegno ad educare i figli ma viene anche – ed è una benedizione se si è preparati – l’autunno della vita, in attesa della pienezza della vita: la tenerezza, la vicinanza, lo stare insieme dei coniugi anziani.

Ricordo due persone a me molto care. ‘Dove vai?’. ‘Vado a vedere dov’è la mamma’. ‘Ma perché vuoi spostare la poltrona?’. ‘Perché così vedo meglio la mamma’. Scopriamo il gusto delle stagioni della vita.

I nostri ‘sì’ – detti per sempre – ci rendono simili al ‘sì’ del Signore, il ‘sì’ eucaristico, Gesù che dà il suo corpo e il suo sangue fino alla fine. Il sacramento del matrimonio è segno di questo ‘sì’ indefettibile di Cristo per la Chiesa e l’Eucaristia è la realizzazione più grande del sacramento del matrimonio. Al matrimonio appartiene quella fedeltà che Cristo ha consegnato una volta per sempre sulla croce, nel pane spezzato, nel vino effuso. Siate – nella fedeltà al vostro ‘sì’ – Eucaristie fedeli, reali, viventi.

Oggi manca – per la prima volta dopo tanti anni – un piccolo prete carico di energia, di un carattere forte, che aveva speso la sua vita sacerdotale – non solo, ma particolarmente -, per annunciare nella nostra Chiesa la bellezza del Vangelo del matrimonio.

Chiediamo a don Silvio – che dal Paradiso ci vede – di pregare e di fare in modo che nella nostra Chiesa, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, si realizzi la pastorale familiare parrocchiale. Chiediamo a don Silvio, a cui tanto stava a cuore la vita sponsale della nostra Chiesa, che domandi al Signore, con quella sua caparbietà e costanza, questo dono per la sua e nostra Chiesa.