Omelia nella S. Messa in occasione della Giornata per la vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa (Venezia - Basilica S. Marco, 1 febbraio 2015)
01-02-2015
S. Messa in occasione della Giornata per la vita consacrata
e dei Giubilei di professione religiosa
(Venezia – Basilica S. Marco, 1 febbraio 2015)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Care sorelle e cari fratelli,
con vera gioia e gratitudine mi rivolgo a voi che vivete e testimoniate nella Chiesa il dono della speciale consacrazione a Dio. Sono contento di essere con voi a ringraziare il Signore nel giorno degli anniversari delle vostre professioni.
A voi il grazie cordiale della nostra Chiesa; senza di voi, infatti, ci mancherebbe qualcosa di sostanziale che ci unisce in modo unico a Gesù, povero, casto e obbediente.
Saluto con affetto il delegato patriarcale per la cura pastorale degli Istituti di vita consacrata don Lucio Cilia, il segretario del C.I.S.M. padre Franco Desideri e la delegata dell’U.S.M.I. suor Virginiana Dalla Palma; esprimo a loro la gratitudine per l’impegno con cui – nell’anno dedicato alla vita consacrata e a cinquant’anni dal decreto conciliare Perfectae caritatis – si adoperano a favore della vita consacrata, sia a livello personale sia delle diverse comunità. Grazie per quanto state facendo.
Infine, su voi tutti – che testimoniate il dono della particolare consacrazione al Signore Gesù – e sulle vostre comunità chiedo che scenda abbondante la grazia della gioia.
Certamente castità, povertà, obbedienza sono essenzialmente – e sempre rimangono – doni del Signore e solo Lui li può concedere. E proprio perché doni si ricevono e, quindi, non sono “invenzioni” degli uomini; la consacrazione particolare a Dio – nelle sue varie forme – non è risultato di volontà e saperi umani.
Si tratta, piuttosto, di un dono che ha richiesto e quotidianamente richiede un sì rinnovato nella gioia, frutto di una libertà più grande e che, a sua volta, è effetto della conversione personale: è la lotta contro l’uomo vecchio che continuamente rinasce e abita in noi. Un sì pieno e gioioso, nel quale il dono di Dio – ossia la grazia – è essenziale ma sempre richiede la libertà dell’uomo.
Così, nell’odierna festa dei giubilei, intendiamo dire il nostro grazie al Signore per il sì che molti di voi, carissimi fratelli e sorelle, hanno pronunciato dieci, venticinque, cinquanta, sessant’anni fa.
Un sì frutto di un amore più grande, proclamato con timore ma anche con fiducia; il sì, di chi si consacra totalmente a Dio, presuppone la virtù cristiana della fede e, insieme, della fortezza che, alla fine, si esprimono in un sì detto nella quotidianità, giorno dopo giorno.
La bellezza di una vita di speciale consacrazione a Dio e la sua concreta possibilità si danno o vengono meno nel dono totale della persona, perché in questo sta la radice della fedeltà. E la fedeltà – come sappiamo – è il nome che l’amore assume nel tempo.
Il dono pieno e totale di sé: non è per un po’ di tempo, non è fino a quando me la sento… Non è un sì legato alla realizzazione personale; se così fosse, non saremmo più innanzi al vero dono e, quindi, alla sincera consegna di sé al Signore sull’esempio del sì di Maria, modello di ogni consacrazione al Signore.
Papa Francesco – nell’indire l’Anno della vita consacrata – individuava  alcuni punti: il primo era fare memoria grata dei 50 anni del Concilio Vaticano II e in modo particolare della Perfectae caritatis; il secondo, abbracciare il futuro con speranza; il terzo, infine, vivere il presente con passione.
Il Santo Padre ci chiedeva con forza che il comune denominatore – o la cifra dell’anno – fosse la gioia. La gioia intesa come espressione di una vita realmente evangelica, la gioia che si narra nella vita fraterna ed è fatta di rispetto, accoglienza, sostegno reciproco ma, soprattutto, perdono; cos’è una comunità religiosa se manca il rispetto, l’accoglienza, il sostegno reciproco ma soprattutto il perdono?
Il perdono è la vera novità cristiana e, non a caso, nel cristianesimo tutto inizia col perdono e a partire dal perdono. Il Cristo crocifisso non è, infatti, il perdono di Dio che si manifesta nella gioia dell’incontro con Lui risorto?
La testimonianza dell’evangelista Giovanni è chiara: “…venne Gesù … e disse loro: “Pace a voi!” … E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 19-23). 
 
E i discepoli gioirono al vedere il Signore”: questa è la gioia, frutto del vangelo, che ha la sua origine nel rapporto personale col Signore Gesù crocifisso e risorto.
Proprio in tal senso i Vescovi italiani citano nel messaggio ai consacrati e alle consacrate quanto Papa Francesco ha scritto nella sua Lettera a tutti i consacrati: “… “Dove ci sono i religiosi c’è gioia”. Ciò accade perché essi riconoscono su loro stessi, e in tutti i luoghi e i momenti della vita, l’opera di un Dio che ci salva con gioia. La stanchezza e la delusione sono esperienze frequenti in ciascuno di noi: benedetti coloro che ci aiutano a non ripiegarci su noi stessi e a non rinchiuderci in scelte comode e di corto respiro” (Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 19a Giornata mondiale della vita consacrata – 2 febbraio 2015).
Ci soffermiamo, ora, sulla gioia e chiediamoci: è proprio vero che noi, le nostre comunità, le nostre opere sono espressioni di gioia? Prima di tutto, dobbiamo ribadire ciò che Papa Francesco ha sottolineato: la gioia già appartiene alla vita cristiana.
E riprendiamo alcuni passi dell’Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia(Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 1).
Un pensiero, questo, che non è riservato a una élite – ossia a un gruppo particolare – ma che è rivolto a tutti i battezzati e che deve “risuonare” in modo in coloro che sono chiamati a seguire il Signore Gesù più da vicino.
Sì, la gioia diventa una formidabile domanda per un esame di coscienza personale e delle nostre comunità d’appartenenza, in occasione di questo Anno della vita consacrata e, in modo tutto particolare, nel giorno dei giubilei.
Papa Francesco, sempre in Evangelii Gaudium, così s’esprime: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 3).
Pensiamo qui a Zaccheo, a Levi e, anche, alla stessa Samaritana ma gli esempi potrebbero continuare.
Ora, è necessario – per non cadere in fraintendimenti che possono segnarci negativamente nella vita spirituale e, addirittura, bloccarla alla radice – rispondere alla domanda: ma cos’è la gioia per il Vangelo? E ancora: quale è la sua radice profonda ed intima? E, infine, in cosa si distingue da quella del mondo?
Si tratta, semplicemente, di guardare in modo più radicale all’Evangelo cristiano che, prima d’essere un libro, è la persona di Gesù Cristo; insomma, il discepolo sa di dover guardare a Lui e sa che il suo parlare deve essere “Sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37).
Solo Gesù, solo Lui, solo la sua persona, è il buon-annuncio cristiano e lo è in tutto quello che ha detto e fatto; in altri termini lo è in tutta la sua vita.
Non si abita la gioia cristiana attraverso percorsi psicologici e pedagogici, oppure percorrendo strade che promettono la personale autorealizzazione. La gioia cristiana – a cui di frequente si riferisce il Santo Padre – è il frutto d’un incontro, d’una compagnia che genera, in noi, la sapienza di Dio che è sempre suo dono.
Il dono è qualcosa che ci viene dato gratuitamente, altrimenti non sarebbe dono; potremmo dire che è un’abitudine data in modo stabile – appunto, in modo abituale – e che ci dona il gusto o sapore di Dio e di tutto ciò che appartiene al mondo di Dio.
In questa prospettiva si comprende, allora, come il dono della sapienza – dal latino sàpere ossia sapore – ci permetta di vivere la carità, ossia la virtù divina per eccellenza. Secondo tale contesto e tale logica siamo chiamati ad comprendere e, sempre più, a far abitare in noi la gioia secondo lo specifico del Vangelo.
La gioia cristiana è frutto di uno sguardo che coglie la totalità del reale e che sa andare oltre la superficialità che riguarda me, che riguarda le persone, le situazioni, le relazioni e tutte le cose di tutti i giorni.
La gioia cristiana, quindi, è il modo nuovo di vivere la realtà,  momento dopo momento; realtà in cui siamo immersi e che ci segnano profondamente, sia fisicamente (la salute e l’età) che psicologicamente (realizzazione personale e frustrazioni) e che riguarda, anche, la vita delle nostre comunità d appartenenza.
La gioia che noi annunciamo e portiamo al mondo, però, non prescinde dalla croce, anzi, prende origine da essa. La croce – che è l’Evento problematico o addirittura “inaccettabile” per chi manca di fede –  al contrario, in quanto è croce pasquale di Cristo, è evento che dona la vera gioia, quella che non è legati a particolari eventi della vita o a sue particolari stagioni ma è la gioia che nessuno e niente potrà mai toglierci.
Questo “nessuno” e questo “niente”, infatti, non possono farci veramente male. E la gioia cristiana – dono pasquale del Risorto – permane salda pure al termine della vita terrena, quando ci troveremo a vivere gli ultimi istanti che precedono la morte.
E questo perché la risurrezione non consiste nell’evitare la morte ma ne è il vero, pieno, reale, completo intrinseco superamento, ossia il ricollocare la storia oltre se stessa, nei cieli nuovi e nella terra nuova dove abita la giustizia.
Così, anche nell’ultimo istante di vita terrena, il futuro che ci dona Cristo nella risurrezione è un futuro pieno, totalizzante, vero e reale, poiché Cristo nella risurrezione esprime il significato vero e pieno di quella storia di cui Lui è fondamento, principio, fine, l’alfa e l’omega di tutte le cose. Così facciamo nostra nel tempo la gioia cristiana.
Concludo con le parole che Papa Francesco scrive al termine della sua “Lettera a tutti i consacrati”: “Sia questo Anno un’opportunità per accogliere cordialmente e con gioia la vita consacrata come un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il corpo di Cristo e non solo delle famiglie religiose. «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa»” (Papa Francesco, Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, 28 novembre 2014).