S. Messa nella commemorazione di San Pio da Pietrelcina
(Chiesa S. Carlo / Cappuccini, Mestre, 21 settembre 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
A quarantacinque anni dalla morte, a quattordici dalla beatificazione e a dodici dalla canonizzazione, che cosa meglio identifica la persona e la vita di Padre Pio da Pietrelcina? La risposta è, ovviamente, la santità che – come sappiamo – si misura sulla carità della persona. Non sarà importante, alla fine della nostra vita, che cosa abbiamo fatto e che posti abbiamo ricoperto ma come abbiamo fatto tutte queste cose di fronte a Dio.
Ma c’è una risposta che in modo più specifico caratterizza la santità di padre Pio: la virtù dell’obbedienza. Lo ha voluto ribadire in modo esplicito Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione quando, citando dall’epistolario del frate (si tratta di uno scritto in cui egli risponde ad un suo superiore), ha ricordato come s’esprimeva padre Pio: ‘Opero solo per ubbidirvi, avendomi fatto conoscere il buon Dio l’unica cosa più accetta e per me unico mezzo di sperar salute e cantar vittoria’‘ (Epist. I, 807).
La croce è l’obbedienza propria di Cristo, l’obbedienza da cui nasce la salvezza del mondo. Padre Pio è stato ubbidiente alla strada che Dio gli aveva preparato: egli ha, semplicemente, accettato di percorrerla, passo dopo passo, non domandandosi come mai o perché fosse così faticosa, in certi tratti così ingiusta e fatta anche di delazioni e calunnie.
Ancora Giovanni Paolo II – sempre nell’omelia della beatificazione – riferisce che un giorno fu lo stesso Signore a consolare il frate dicendogli queste parole: ‘Sotto la croce s’impara ad amare’ (cfr. Ep I. 339). La vita di Francesco Forgione è come una medaglia in cui, in modo indissociabile, si trovano congiunte le due facce: una è quella dell’amore per Dio e l’altra quella dell’amore verso i fratelli. La logica (e la dinamica) di questo amore è, chiaramente, quella di un amore purificante che poi si riversa sui fratelli.
Se la sorgente e il crogiolo purificatore dell’amore erano la croce di Cristo, questa sorgente e questo crogiolo formarono un tutt’uno col corpo stesso di padre Pio; ne sono testimoni le stigmate che, per cinquant’anni, bruciarono nel corpo martoriato di questo frate che, fino alla vigilia della morte, ‘provò’ i dolori di Cristo in croce di cui le stigmate sono l’espressione visibile. I carismi ‘veri’, non presunti, e ‘altissimi’ – che accompagnarono il ministero sacerdotale di padre Pio – nascono da questa partecipazione fontale ed esperienziale alla passione di Cristo. E la grande realizzazione del frate di Pietrelcina, la Casa Sollievo della Sofferenza, è proprio la dimostrazione che i ‘miracoli ordinari’ passano attraverso la nostra carità.
Ma, in modo tutto particolare, la vita di padre Pio ci richiama – nell’attuale contesto di efficientismo diffuso e di visibilità ostentata come è la società dell’immagine e della comunicazione – che si può anche rimanere tutta la vita in un convento, praticamente non uscendone mai come lui fece, eppure essere noti in tutto il mondo e, soprattutto, essere ben conosciuti a Dio.
Lo disse con forza Giovanni Paolo II il giorno della beatificazione: ‘L’eco che riguarda questa beatificazione ha suscitato in Italia e nel mondo è segno che la fama di padre Pio, figlio dell’Italia e di Francesco d’Assisi, ha raggiunto un orizzonte che abbraccia tutti i continenti‘ (Giovanni Paolo II, Omelia della Beatificazione di Padre Pio, n.7).
E, ancora, Padre Pio ricorda che più dell’efficientismo ciò che conta nella vita è l’efficacia di chi consegna la sua vita alla preghiera e vive la penitenza, che è un altro modo di pregare e di contemplare il Signore Gesù a partire dalla croce, fonte di ogni grazia e ogni dono. Una teologia della croce è, quindi, quella che ci propone Padre Pio, nella certezza della gloria della risurrezione. Possiamo dire che tutto, in Padre Pio, si risolve in una parola: l’obbedienza.