Omelia nella S. Messa in occasione del sesto centenario della morte del Beato Daniele D'Ungrispach (Murano, 14 maggio 2012)
14-05-2012

 

S. Messa in occasione del sesto centenario della morte del Beato Daniele D’Ungrispach

 

(Basilica Ss. Maria Assunta, Donato e Cipriano / Murano, 14 maggio 2012)

 

Omelia di mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia

 

 

Carissime Eccellenze – mons. De Antoni e mons. Pellegrini -, a voi un grazie particolare perché con le vostre presenze arricchite il momento della celebrazione in onore del Beato Daniele D’Ungrispach legato, oltre che a questa isola di Murano, anche alle città di Gorizia e Pordenone.

 

Il mio ringraziamento, quindi, va ai presbiteri e ai diaconi di Venezia, di Gorizia, di Pordenone-Concordia, ai consacrati, alle consacrate e ai fedeli laici. Un saluto cordiale, poi, alle autorità civile e militar ei, in particolare, ai sindaci di Gorizia e Pordenone, al rappresentante del sindaco di Venezia e, infine, al Comitato dei festeggiamenti. 

 

La celebrazione del VI° Centenario della morte del beato Daniele D’Ungrispach (1411-2011) ci dà occasione di parlare di un fedele cristiano laico che nella sua vita seppe esprimere una forma, uno stile e delle scelte che lo proiettano ben al di là delle forme, dello stile e delle scelte proprie di un fedele cristiano laico del quattordicesimo secolo.

 

Giustamente è stato annotato che la vicenda umana di Daniele D’Ungrispach – mercante germano in Venezia – ha di per sé qualcosa di non comune per un uomo del Medioevo. Il beato Daniele fu, quindi, precorritore del suo tempo? Certo! Fu anticipatore della sua epoca, come spesso si ama dire? Nessuno lo può negare!

 

Personalmente, però, mi pare più opportuno dire che fu, semplicemente, un uomo puntuale nel rispondere alla grazia di Dio che ha tempi e momenti che superano le consuetudini di una determinata epoca. Un santo, infatti, è chi, al di là del tempo e del contesto in cui vive, nella sua persona è risposta libera, pronta e gioiosa al Signore che lo chiama e alla sua grazia.

 

Così, nella sua vicenda personale, in Daniele si assommarono linee, traiettorie e prospettive che paiono muovere verso mete fra loro divergenti e difficilmente omologabili. Linee, traiettorie e prospettive che non sembrerebbero indirizzarsi verso un centro unitario. Ma nel beato Daniele tali linee e prospettive – di difficile comprensione e gestione se si rimane su un piano e una logica meramente umani -, aprendosi a una logica più ampia, quella di Dio, si integrano e compiono in modo mirabile. Si può, quindi, parlare di una sintesi superiore che non è il risultato di una azione umana.

 

Tale prima considerazione conduce a ciò che è fondamentale in ogni discorso sulla santità che, per esser tale, sa di doverla considerare non solo secondo la prospettiva storica, psicologica o sociologica ma della grazia, ossia la prospettiva di Dio.

 

Qui, come tutte le altre volte in cui si tratta della grazia di Dio e della libertà umana, dobbiamo parlare dei santi più che della santità. La santità, infatti, potrebbe ingenerare l’idea di una qual certa astrazione, facendo perdere il contatto con la concretezza. I santi, poi, sono gli unici veri specialisti in materia. Sono gli unici che possono vantare una vera e propria competenza in materia e dirci, quindi, che cosa, in realtà, sia veramente la santità. Essi sanno raccontare e parlarci della santità anche se – in genere – quasi mai hanno conseguito licenze o dottorati in teologia, spiritualità o in ambiti collaterali.

 

Certo, si può, ovviamente, parlare anche di ‘santità’ con l’avvertenza, però, di non lasciarsi rinchiudere in un discorso astratto parlando della santità come di un ‘modello universale’, come qualcosa di ‘generale’ che, alla fine, cade ineluttabilmente in una trattazione teoretica, astratta, ‘estrapolata’, ‘staccata’ dalla realtà e che prescinde o, addirittura, prende le distanze dai lineamenti concreti dei santi e dai loro volti segnati da una storia personale, unica, irripetibile.

 

La liturgia della Chiesa – che è luogo manifestativo della fede, lex orandi lex credendi – ci indica la strada. Infatti il primo giorno di novembre la Chiesa celebra la solennità di tutti i Santi: in una sola festa riunisce il ricordo di tutti i santi e, quindi, non la festa della santità intesa genericamente ma dei santi, di tutti i santi.

 

Come Gesù è una persona viva, concreta, reale e non una dottrina o scelta etica o astrazione filosofica, così, allo stesso modo, i santi, i suoi amici più intimi, sono, a loro volta – e non potrebbe essere altrimenti – persone che hanno volti concreti e reali, caratterizzati da lineamenti unici e irripetibili, appunto, personalissimi.

 

I santi, quindi, sono, nelle loro persone il risultato di un incontro, l’incontro con l’amore personale di Dio a cui risponde l’amore personale dell’uomo. Così è nelle pieghe della quotidianità di Francesco, di Teresa, di Benedetto, del Toniolo che incontriamo la loro santità e non viceversa.

 

La figura del beato Daniele D’Ungrispach colpisce, perché sorprende trovare, soprattutto nel quattordicesimo secolo, un laico cristiano – ossia un battezzato – che dopo aver raggiunto traguardi importanti nel mondo (successo nei commerci e cariche pubbliche di grande rilievo) abbia mantenuto vivo in sé il desiderio del raccoglimento, della preghiera, del silenzio e, particolarmente, il desiderio di ritirarsi dal mondo, mantenendo al contempo sempre vivissima la sua vocazione laicale.

 

Daniele nacque a Cormòns, non lontano da Gorizia, nella valle del Vipacco, da famiglia nobile e facoltosissima; abitava a Pordenone e qui Daniele – seppure appartenente alla nobiltà – si decise per i commerci della seta, della lana e dei pellami. La piazza ove esercitò di più la sua attività fu, ovviamente, Venezia. E proprio nei suoi frequenti spostamenti che lo condussero nei territori della Serenissima incominciò, forse casualmente, a frequentare i monaci di san Mattia, nell’isola di Murano. Qui aveva trovato un luogo sicuro, in cui, con libertà, poteva vivere nel silenzio, pregando e rimanendo, a tutti gli effetti, laico.

 

 Mentre con gioia ci apprestiamo a ricordare il cinquantesimo anniversario della solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, che nei suoi documenti ci ha presentato in modo mirabile la dottrina sul laico cristiano, non possiamo che auspicare l’affermarsi, anche oggi, di tanti fedeli – uomini e donne – che sappiano riproporre al nostro tempo, con mitezza e forza,  la ricchezza umana e cristiana del beato Daniele.  

 

Nel 1364 Daniele sposò Orsina Ricchieri da cui ebbe una figlia, Lucia. Fu sposo e padre esemplare. Trascorse anche un periodo di prigionia a Verona e gli abitanti di Pordenone, a lui legati da sentimenti di stima, si adoperarono in ogni modo per liberarlo; egli visse la vicenda con serenità e fortezza.

 

A Pordenone, nel 1384, fu podestà della città mentre quattordici anni dopo, nel 1398, divenne  giudice e procuratore della Chiesa di san Marco; esercitò anche l’ufficio di mediatore nella contesa tra la città di Pordenone e il patriarca di Aquileia e ricoprì, ancora, incarichi pubblici vent’anni dopo il primo mandato di podestà.

 

Sappiamo che, dall’anno 1392, a Daniele fu concesso d’esser annoverato tra i ‘familiari’ del monastero di San Mattia di Murano, rimanendo però – come detto,  fino alla morte – laico senza emettere voti e senza obbligo della clausura. Continuò, fino alla morte, ad esercitare la mercatura non per guadagno personale ma per aiutare i poveri e sostenere i monaci.

 

Nel mese di settembre del 1411, dopo che ebbe fatto testamento, fu ucciso da sconosciuti, all’interno della sua cella del monastero, probabilmente a scopo di rapina.

 

In questa sua convinta e fedele adesione alla condizione laicale, nonostante il suo vivo desiderio di preghiera, di silenzio, di nascondimento, propri di coloro che vogliono dedicarsi alla vita religiosa, il beato Daniele D’Ungrispach, diventa – soprattutto oggi – figura attualissima.

 

 Egli, infatti, nella sua persona esprime la mirabile sintesi fra la vocazione contemplativa di Maria e quella attiva di Marta, così come ci attesta il Vangelo (cfr. Lc 10, 38-42) ma che troviamo ribadito pure nella tradizione cristiana: pensiamo, ad esempio, all’hora et labora di san Benedetto.

 

Ma, soprattutto, in occasione di questo VI° centenario dalla morte del beato Daniele guardiamo a lui come a una figura che può esser presa ad esempio anche oggi dal nostro laicato che vuole essere sempre più soggetto vivo e attivo nella comunità ecclesiale.

 

La grande lezione del beato Daniele D’Ungrispach è che il fedele cristiano laico, impegnato nel mondo – vita pubblica, commercio, impegno familiare – può, nonostante tutto, mantenere vivo il primato di Dio e desiderare spazi, momenti, luoghi e tempi per realizzare concretamente, nella vita, tale primato.

 

Il breve passo della piccola Regola d’oro di San Romualdo, il fondatore della famiglia camaldolese che sorge sul tronco monastico benedettino e a cui apparteneva il monastero di San Mattia, a Murano, ci aiuta a comprendere meglio l’animo del beato Daniele D’Ungrispach. Ecco le parole di san Romualdo: ‘Siedi nella cella come nel paradiso. Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle’ Svuotati di te stesso e siedi come una piccola creatura, contenta della grazia di Dio‘ (S. Romualdo).

 

Il beato Daniele D’Ungrispach ottenga anche per il nostro tempo, con la sua intercessione, santi e coraggiosi laici cristiani.