Omelia nella S. Messa del pellegrinaggio mariano diocesano a Tessera (Chiesa S. Maria Assunta / Aeroporto Marco Polo, 9 novembre 2013)
09-11-2013
Pellegrinaggio mariano diocesano a Tessera
(Chiesa S. Maria Assunta / Aeroporto Marco Polo, 9 novembre 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Permettetemi, innanzitutto, un cordiale ringraziamento al Presidente Marchi e al Direttore Bonato che hanno accolto e appoggiato con entusiasmo questo pellegrinaggio ‘anomalo’ che ha anche un senso particolare essendo l’ultimo pellegrinaggio dell’Anno della Fede.
L’Anno della Fede vuol essere tutto fuorché un punto fermo, una conclusione; vuol essere una ripartenza. E allora l’aeroporto diventa emblema di questo voler andare – come Papa Francesco ci dice – al di fuori del sagrato, la dove vivono gli uomini, e proporre il Vangelo senza arrossire, con rispetto di tutti ma proponendo quella visione che nasce dal Gesù di Nazareth, il Salvatore dell’uomo.
Oggi celebriamo anche la dedicazione della chiesa e non possiamo dimenticare una cosa: l’Anno della Fede era stato indetto da Benedetto XVI per ricordare il grande evento del Concilio. E il Concilio – in una delle sue costituzioni più importanti, quella sulla Chiesa – ci propone, ci indica, all’ottavo capitolo della Lumen Gentium, Maria come immagine della Chiesa.
Maria è la personificazione della Chiesa e dovremmo essere un pochino più attenti a riflettere sul fatto che gli Atti degli Apostoli ci danno un’immagine di Chiesa alla quale noi dobbiamo tornare di più, soprattutto quando la vita si fa frenetica e che cosa c’è di più frenetico della vita di un aeroporto con gli orari, i flussi di persone, le lingue differenti, l’andare verso qualcosa… Ecco, che cosa è più utile ad un cristiano nella frenetica vita di tutti i giorni? Ecco, allora, l’icona della Chiesa che gli Atti degli Apostoli ci consegnano all’inizio: una Chiesa che prega, una Chiesa orante.
Dobbiamo ritornare anche, al termine di questo Anno della Fede, a quante volte Gesù nel Vangelo ci propone la preghiera, addirittura la compassione di Gesù di fronte alle folle che Egli vede smarrite; quante volte noi non consideriamo questa dimensione delle persone che incontriamo, lo smarrimento.
Gesù, di fronte alle folle che sono smarrite, dice: pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe. Gesù ha compassione delle folle e chiede al Padre dei pastori, dei testimoni, dei maestri che prima di tutto vivano quello che annunciano. E allora ieri è stata una data importante per la nostra Chiesa perché abbiamo benedetto cinque nuovi accoliti che saranno – a Dio piacendo – nuovi pastori, sacerdoti nella nostra Chiesa.
Maria, allora, si pone come immagine della Chiesa e gli Atti degli Apostoli ci propongono Maria che prega. Bisogna riscoprire questa dimensione della preghiera. Maria avverte di non appartenere più a se stessa, ma ritrova se stessa in un progetto che va oltre le sue risorse umane.  L’evangelista Luca dice due volte nel capitolo secondo del suo Vangelo che Maria ‘custodiva tutte queste cose nel suo cuore’ (Lc 2, 51). Maria, colei che con passo frettoloso si reca dalla cugina Elisabetta e porta Gesù che è nel grembo, di fronte ai pastori e di fronte alla risposta di Gesù dodicenne al tempio, in silenzio confronta le parole dei pastori e la parola del Figlio (‘Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?’ – Lc 2, 49) nel suo cuore.
L’invito che io faccio – soprattutto in questo luogo di scambi, di puntualità, di frenesia e anche di fretta – è ritornare in noi stessi, avere dentro di noi un santuario in cui c’è l’incontro con Dio. Dio ci ricorda che non siamo onnipotenti. Il rapporto con Dio ci costituisce in quell’umiltà che ci vede graditi agli altri, quell’umiltà che diventa rispetto e molte volte risoluzione di tanti problemi che un io un po’ invadente – ognuno di noi ce l’ha’ – può complicare.
Maria diventa allora quella donna compiuta che entra nella storia della salvezza pregando, conservando quindi il rapporto con Dio e diventando strumento utile a Dio, perché chi prega ritrova se stesso. Quante volte – l’ho già detto, ma lo ripeto ancora – nel Vangelo ci sono delle affermazioni che non si possono dimostrare: si vivono.
La persona che prega scopre di avere le mani sul timone, sul volante, sulla cloche della propria vita. Quante volte, dopo una preghiera, ci riscopriamo più pacati? Quante volte, dopo una preghiera, incominciamo a vedere una luce diversa?
Maria è stata, nella sua vita, colei che ha vissuto l’incontro con Dio nel colloquio con il suo Signore parlandogli della vita di tutti i giorni. Quella vita, per Maria, ha coinciso anche con il Calvario. Abbiamo tutti nella mente, soprattutto alcuni dei miei confratelli qui presenti, quel recente evento drammatico a cui abbiamo, direttamente o indirettamente, assistito: la morte di un ragazzo di vent’anni. Il dover parlare con la sua mamma, con il fratello, con le nonne’
Maria vive in rapporto con Dio e, allora, trova la forza di stare in piedi, ritta in piedi, di fronte alla croce. Gli apostoli non c’erano; c’era solo uno, Giovanni, gli altri non c’erano. Maria ai piedi della croce, quindi, ci dice con il suo atteggiamento che il rapporto con Dio ci rende presenti, non ci fa scappare di fronte alle difficoltà, anche drammatiche. Quanti genitori toccati da notizie devastanti come quella che ha toccato mamma Marina una settimana fa… E allora Maria è la donna che, guardando a Dio, parlando con Dio, ha gli occhi sull’umanità e guarda ogni uomo, guarda ciascuno di noi.
Il termine dell’Anno della Fede – che è la ripartenza della nostra Chiesa verso una testimonianza di fede vissuta – nasce, ripetiamocelo, scegliendo la preghiera. Cambierebbe la vita di ciascuno di noi se semplicemente compissimo questo gesto: puntare la sveglia dieci minuti prima della levata solita e trovare dieci minuti per parlare con il Signore, prima di uscire di casa. Questo è il mio augurio semplice, e soprattutto lo faccio, questo augurio, a chi ha una vita impegnata, frenetica, carica di doveri e di decisioni difficili da assumere, soprattutto quando dalle sue decisioni dipende la vita di tanti.
Grazie ancora al Presidente Marchi, grazie ancora al direttore Valerio Bonato, che ci hanno voluto ospitare dando l’occasione di chiudere in modo nuovo, ma vivo, questo Anno della Fede.