S. Messa del giorno di Pasqua
Omelia di S.E. Francesco Moraglia, patriarca
(8 aprile 2012, Basilica S. Marco – Venezia)
L’evangelista Giovanni, nella sua testimonianza sulla Pasqua, presenta una realtà che ci riporta al momento originario dell’evento pasquale, ai primi istanti della risurrezione di Cristo così come sono stati vissuti dai discepoli; in tal modo veniamo a conoscere come la buona notizia della risurrezione si è fatta strada nella comunità.
La redazione del vangelo di Giovanni – noto anche come quarto vangelo – è di molto successiva a quella di Matteo, di Marco e di Luca ma i contenuti dell’evento pasquale che qui Giovanni ci propone, appartengono al momento iniziale; ci riportano ad esso. Giovanni, infatti, narra proprio gli eventi imprevisti e imprevedibili che si sono verificati presso la tomba di Gesù, alle prime luci dell’alba del giorno dopo il sabato.
Certamente qui cogliamo anche un contesto che rimanda alla liturgia che, fin dall’inizio, ha ritmato la vita della comunità primitiva; vi è infatti una menzione della domenica, la piccola Pasqua della settimana, indicata, appunto, come il giorno dopo il sabato.
Dal testo percepiamo che la risurrezione irrompe nella vita dei discepoli come notizia inattesa. Così è per i dodici – momentaneamente in undici, per la defezione di Giuda – e così è per il gruppo delle donne che seguivano Gesù tra le quali, in posizione di spicco, anche Maria di Magdala che di buon mattino s’era incamminata verso il sepolcro.
Ancora una volta, le donne mostrano più generosità, più dedizione, più attaccamento al Signore Gesù degli uomini. Ciò che ha segnato gli avvenimenti della passione caratterizza anche la risurrezione.
La risurrezione – secondo il nuovo Testamento – s’impone, ai discepoli, dall’esterno. In un certo senso, possiamo dire, ‘li costringe’.
Quante volte, e a ragione, diciamo che la vita cristiana consiste nel lasciarsi condurre, nel lasciarsi portare oltre i propri progetti; un vero e proprio lasciarsi innalzare, come ricorda la Scrittura, su ‘ali d’aquila’ (Is. 40, 31).
Non di rado ci capita di perdere di vista tale fatto oppure non gli prestiamo la dovuta attenzione e le scuse sono tante e tante volte meschine’ E, allora, altre cose prendono il sopravvento sulla nostra vita, dimentichiamo che la logica della risurrezione riguarda la nostra vita; è questo lasciarsi afferrare, lasciarsi condurre, dal Risorto che diventa poi progetto di vita spirituale.
Gli eventi narrati nel vangelo non lasciano spazio a equivoci. Maria di Magdala, che piange al di fuori del sepolcro, è invitata ad andare oltre le sue lacrime; Pietro e Giovanni devono, di corsa, precipitarsi al sepolcro e constatare quanto neppure avrebbero pensato; i due discepoli di Emmaus sono rimproverati dallo stesso Signore per la loro stoltezza di cuore e incapacità di credere alla risurrezione.
La risurrezione si presenta, in tal modo, come evento di grazia che irrompe nella storia e cambia degli uomini rozzi e delle donne spaventate; la risurrezione irrompe in loro e trasforma questi uomini e queste donne nella Chiesa, la comunità del Risorto.
Così il cristianesimo – attraverso l’evento della risurrezione e come fede nella risurrezione – non è l’esito di un ‘cammino umano’ e neppure un’ ‘invenzione’ umana.
La rivelazione cristiana, piuttosto, ci ricorda che l’uomo è implicato nel cammino di fede con la totalità del suo essere e, in questo cammino, tutte le facoltà sono coinvolte, chiamate in causa, accompagnate dalla misericordia di Dio.
Dio non è una tesi filosofica, è il Padre della misericordia. Dio è colui che ricerca sempre l’uomo. A noi lasciarci trovare un po’ di più.
L’evangelo di oggi evidenzia proprio le implicanze che accompagnano l’atto di fede; il testo di Giovanni, infatti, indugia sulla costatazione degli oggetti (bende e sudario) presenti all’interno del sepolcro e la loro posizione: ‘Giunse anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma ripiegato in un luogo a parte ‘ (Gv 20, 6-7).
Il vangelo rimarca come l’esperienza, il rendersi conto, il vedere, il correre al sepolcro fa parte del credere.
L’adesione di fede, che riguarda ciò che ‘va oltre’ la pura constatazione dei fatti, condurrà prima Giovanni e poi Pietro a cogliere, in quei fatti, i segni della risurrezione. Decisivo rimane il saperli leggere e la Scrittura è aiuto imprescindibile. ‘Non avevano ancora creduto alle Scritture’, il rimprovero di Gesù ai due discepoli di Emmaus farà dire loro, quando quel pellegrino si sarà dileguato: ‘Ma non ci ardeva il cuore quando ci spiegava le Scritture?’.
Il Risorto – è necessario ribadirlo – non è un prodotto della comunità che inventa, che esterna desideri o proietta, al di fuori di sé, immagini precedentemente introitate. L’evento della risurrezione è, piuttosto, l’intervento di Dio che continua la realtà e la logica dell’incarnazione, continuandone il mistero fino all’innalzamento in croce e – secondo la teologia di Giovanni – all’innalzamento nella risurrezione.
Come la salvezza del mondo non si dà attraverso un gesto espressione di potenza umana, ad esempio, un bel discorso colto (quanti ne sentiamo’ e alla fine lasciano il tempo che c’era!) oppure una proposta etica universale o, ancora, un nuovo piano educativo… Niente di tutto questo: Gesù salva il mondo dalla croce.
Il male, alla fine, è qualcosa che colpisce l’uomo, nell’anima e nel corpo, e lo allontana da Dio ponendolo in una situazione di miseria e impotenza radicali da cui egli – con le sue sole forze umane, i bei discorsi, i programmai etici, i piani educativi’ – non può sollevarsi.
La vicenda della Pasqua di morte e risurrezione di Gesù dice, in modo inequivocabile, che il male non è solamente errore o imperfezione ma qualcosa di ben altro che avviluppa e imprigiona l’uomo che – da solo – con i suoi discorsi, le sue proposte etiche o i progetti pedagogici non è in grado d’uscirne fuori.
Era necessario, quindi, che il Verbo di Dio percorresse – questo è il cuore della rivelazione cristiana – tutti gli strati dell’abisso del male e, nel dono totale della sua umanità, inaugurasse nella croce il mondo nuovo, l’umanità che appartiene totalmente a Dio e che solo Dio poteva rigenerare nella risurrezione.
Nella risurrezione, il Padre approva quel suo Figlio – il suo Unigenito – che l’umanità prigioniera del male e del peccato aveva rifiutato condannandolo all’ignominia e all’assurdità della croce. Sì, perché, alla fine, il male è ignominia e assurdità e la croce, nella sua ignominia e assurdità, dimostra l’ignominia e l’assurdità del male che hanno prodotto la croce.
La Pasqua cristiana è quindi il dono che Dio – in Cristo – fa attraverso la Chiesa ad ogni uomo, a ciascun uomo, a tutti gli uomini.
L’augurio semplice, ma essenziale, è riscoprire il mistero della Pasqua nella nostra vita. Auguri a tutti, buona Pasqua a tutti!