Omelia nella S. Messa con il mondo dell'Università per l'inizio dell'anno accademico (Chiesa dei Tolentini / Venezia, 6 novembre 2013)
06-11-2013
Messa con il mondo dell’Università per l’inizio dell’anno accademico
(Chiesa dei Tolentini / Venezia, 6 novembre 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
 
 
 
Autorità accademiche, docenti, studenti, personale tecnico ed amministrativo, cari confratelli,
abbiamo ascoltato un Vangelo in cui sembrano giustapporsi due momenti: il momento del discepolato, dove Gesù è il criterio di tutto e viene anche prima dei vincoli più sacri, più ultimi, che costituiscono l’uomo e la donna, e poi si parla della prudenza. Un uomo prima di costruire una torre si ferma, fa i suoi calcoli; un re valuta se, con le forze che ha a sua disposizione, può opporsi ad un altro re che gli viene contro. La pericope però si fonde, perché il discepolo è colui che nella fede segue il Signore, ma la fede ha sempre a che fare con la ragione.
Il Dio Amore è il Dio Logos. Il cristiano, il discepolo, è chiamato ad un amore sensato; la ragione e la fede, la grazia e la natura; la natura come realtà che deve essere innervata e portata ad essere se stessa attraverso la grazia e la risposta di fede.
Siamo al termine dell’Anno della Fede; chi opera in ambito culturale ha il dovere di interrogarsi sulla sua fede. La fede si presenta come un sapere, non come una superstizione, come una forza, non una debolezza, come un modo di rendersi presente, non di fuggire, un modo di farsi carico degli altri.
La fede non è presa di distanza da ciò che in noi c’è di umano, in nome di un fideismo e di un soprannaturalismo che fa pochissima strada’ Al contrario, se è vera fede, la fede si presenta sempre come amica dell’uomo e sa agire all’interno della storia dell’uomo.
La fede quindi è amica dell’uomo e si pone al servizio dell’uomo proprio nel momento in cui gli ricorda che non è assoluto, che non è la misura di tutte le cose. Allora l’uomo, con la fede, non costringe la ragione; piuttosto la invita a cogliersi come facoltà aperta innanzi alla totalità del reale, invitandola ad andare oltre quegli usi ristretti della ragione che hanno fatto la fortuna della ragione scientifica, che vive di un riduzionismo che non è male ma diventa male quando pretende di essere la totalità della ragione.
E’ proprio del metodo scientifico isolare l’oggetto; è proprio del metodo scientifico misurare l’oggetto e verificarlo, ma quando questa ragione scientifica pretende di essere la totalità della ragione, allora, non risponde neanche alle domande che stanno alla base del sapere scientifico.
Einstein diceva che la cosa più mirabile, più incomprensibile, dell’universo è la corrispondenza che c’è tra la razionalità soggettiva e la razionalità della natura; una domanda a cui né gli astrofisici, né i cosmologi, né i matematici possono rispondere.
Il dramma è ridurre la ragione ad un suo uso legittimo ma che diventa illegittimo quando pretende di essere la totalità della ragione umana. E allora anche in Università, in questo termine dell’Anno della Fede, siamo chiamati a far un esame di coscienza.
Chi si dedica al sapere – e il cristiano, quindi, in modo particolare – deve guardarsi dal rischio che la scienza, con la sua grande possibilità, con la sua grande efficacia, con la sua possibilità di umanizzare l’uomo, si separi dalle altre vie di razionalità, in particolare che una ragione scientifica diventi – come dicevo prima – la totalità della ragione e coincida con il tutto della ragione.
L’Università – ed il nome ci aiuta, ‘universo’ – nasce come luogo di scoperta di una profonda unità della conoscenza nella diversità dei metodi. Forse l’Università oggi si trova in una situazione diversa da quella che garantiva questa unità profonda della conoscenza nella diversità dei metodi. Ed ecco la frammentazione, la stanchezza, lo smarrimento, la frustrazione’
Come fare perché, allora, un soggiorno universitario da parte di chi è ‘discepolo’, è studente, ma anche da parte di chi spende tutta la vita in un’Università, e l’Università stessa possano tornare ad esprimere la ragione nella sua interezza?
Ci sono due livelli in tensione profonda tra loro: il livello istituzionale ed il livello personale. A livello istituzionale le discipline tendono naturalmente alla specializzazione ma la persona ha bisogno di unità, ha bisogno di sintesi. A livello istituzionale la ricerca tende alla conoscenza ma la persona non è appagata dalla conoscenza; è alla ricerca della sapienza, di un saper vivere, un vivere che non è puro sapere tecnicistico. La struttura privilegiata del livello istituzionale è la comunicazione – e  guai se non ci fosse, siamo nella società della comunicazione! – ma la persona ha bisogno di condivisione, ha bisogno di conoscere una compagnia umana.
E allora i tre termini tecnici essenziali, che appartengono all’Università al suo livello istituzionale – la specializzazione, la conoscenza, la comunicazione – vanno però riassunti ed integrati in una comprensione che riguardi la persona nella sua interezza e quindi connettersi con l’unità, con la sintesi, con la sapienza, con la condivisione.
C’è anche la spiritualità dell’uomo di scienza. Il sapere non tecnico, non tecnicista, ma unito alla vita, non si ferma alla struttura, al livello istituzionale, ma richiede un ‘io in azione’; richiede dei maestri testimoni.
La struttura universitaria ha bisogno, quindi, anche di ponti e di progettazioni ma ha bisogno soprattutto di maestri; ha bisogno soprattutto di testimoni. Oltre un discorso e un progetto che voglia costruire ponti intellettuali ci vuole una persona che mostri una ragione non separata dalla vita. Guai se non siamo competenti nel livello istituzionale, guai se non perseguiamo la specializzazione, la conoscenza, la comunicazione, ma guai se non riusciamo ad andare ad una sintesi umana, ad un’unità, ad una sapienza, ad una condivisione, ad una compagnia umana.
Questo, credo, è il compito dell’uomo di cultura al termine dell’Anno della Fede.