Omelia nella S. Messa con il Comitato tecnico-scientifico UCID (Padova - Fondazione Opera Immacolata Concezione, 22 novembre 2013)
22-11-2013
 
S. Messa al Comitato tecnico-scientifico UCID
(Padova – Fondaz. Opera Immacolata Concezione, 22 novembre 2013)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
 
Eminenza, cari confratelli nel sacerdozio, amici dell’Ucid e dell’Opera Immacolata Concezione,
         è certamente provvidenziale ritrovarci insieme per celebrare l’Eucaristia al termine dell’Anno della Fede indetto da Papa Benedetto XVI e portato a compimento da Papa Francesco.
La celebrazione avviene nel contesto di questa sessione di lavoro da voi dedicata al tema ‘La fede espressa con le opere: creare comunità per formare la famiglia umana universale’.
         Riflettevo in questi giorni su alcune parole dell’enciclica Lumen fidei che possono ben connotare questo momento: ‘Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita’ (Papa Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, n. 39). Auspico davvero che questa sia la vostra, la nostra, esperienza comune. La fede, infatti, cambia la vita del credente, genera nuove relazioni e ‘buone opere’ e, così facendo, arricchisce tutti. Plasma continuamente le persone e le relazioni, forma e irrobustisce ogni comunità umana.
Allo sguardo del non credente l’uomo di fede può forse apparire come colui che, proprio perché ‘crede’, deve limitarsi nel suo essere uomo e privarsi di qualcosa che lo costituisce nella sua umanità, come se il ‘sì’ della fede lo menomasse. Chi crede, in realtà, riceve doni che non riguardano solo la vita eterna ma anche quella terrena. La risposta di Gesù all’apostolo Pietro è, a tal proposito, eloquente: ‘Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna’ (Mt 19, 29-30).
La fede, insomma, non solo non ci limita e non ci priva di qualcosa ma, al contrario, ci arricchisce e dona risorse e possibilità nuove, qualcosa che prima non avevamo. La fede cristiana ha – lo sappiamo bene – un fondamento e un culmine: il Signore Gesù morto, risorto e vivente alla destra del Padre. E la fede della Chiesa – il sì dell’uomo a Dio, in Gesù Cristo – nasce dagli incontri dei discepoli col Risorto.
Essi fanno subito esperienza della Chiesa missionaria poiché sono mandati da Lui in tutto il mondo per annunziare il Vangelo. Gli incontri col Signore risorto pongono i discepoli già nel futuro che, però, non ancora è dato loro in modo compiuto e così l’evento escatologico, oltre il quale non si può andare, non è da intendersi come una fuga in avanti che disattende il tempo presente con l’impegno da esso richiesto.
Nell’attesa del compimento ultimo nel Regno di Dio tutta l’esistenza cristiana si gioca, infatti, nell’articolazione del già e del non ancora; si vive nella realtà di una storia già salvata ma non ancora compiutamente tale, come un giorno sarà nell’eternità o domenica senza tramonto.
Il credente, in attesa del futuro compimento, è perciò chiamato a vivere la fede ordinando ad essa ogni realtà immersa nel già e nel non ancora e che viene sicuramente posta – è la certezza della fede – sotto il segno reale della salvezza, ossia il Signore risorto. Tutto ciò è fondamentale per la nostra storia e rende possibile una fede realmente amica dell’uomo, proteso verso la pienezza del dono mentre, ancora, è in cammino.
E qui entra opportunamente in gioco la dottrina sociale della Chiesa che offre lo sguardo credente sulle realtà che – a buona ragione – possiamo denominare penultime, ossia quelle realtà che si pongono – per usare la terminologia di cui finora ci siamo serviti – tra il già e il non ancora. La dottrina sociale della Chiesa offre uno sguardo sulla realtà che è, ad un tempo, di fede e di ragione perché si occupa dell’uomo affermandone e promuovendone le differenti dimensioni.
L’uomo è persona, è relazione: in lui non è possibile disgiungere il senso verticale (Dio) da quello orizzontale (prossimo). La dottrina sociale della Chiesa – con i suoi principi fondanti: il primato della persona, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune, la destinazione universale dei beni, ecc. – sollecita e tiene deste quindi, per il bene della persona e di tutte le persone, queste differenti dimensioni antropologiche.
Così la fede va considerata come lo sguardo di Dio che si posa sui molti ambiti della vita personale, sociale e teologale; la speranza è invitata a superare ogni visione riduzionistica della realtà mirando a conseguire, fin d’ora, la giustizia nella sua completezza; la carità è chiamata a proporre, in modo adeguato e quindi nelle opere (anche differenti e multiformi) che ogni tempo sollecita, sia la reale e compiuta fraternità cristiana tra gli uomini (perché siano appunto, ‘famiglia universale’) sia la cura nei confronti del creato e la piena risposta d’amore al Dio dell’amore.
La ‘traduzione’ di tutto ciò è ben presente non solo nell’impegno, nella sensibilità e nelle istanze che caratterizzano l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti ma anche, in modo vivo e originale, nella splendida realtà che ci ospita, l’Opera Immacolata Concezione: nel suo attuale motto ‘La longevità come risorsa’, nelle attività e nei servizi offerti, dimostra come il futuro della società passi attraverso il dono reciproco e lo scambio delle differenti ricchezze che ogni generazione e ogni momento della vita (anche la vecchiaia) ha in sé.
E’ sempre più importante, infatti, riscoprire la creaturalità della vita e, così, cogliere e vivere bene lo specifico di ogni stagione della vita, quello che la stagione precedente o successiva non hanno potuto o non potranno dare. Assistiamo spesso, invece, a bambini e ragazzi che bruciano l’adolescenza per voler diventare presto adulti o adulti che, in modo improprio, cercano di restare eternamente giovani e così via… In tal senso, come credenti, bisogna soffermarsi e riflettere molto di più sulla realtà della risurrezione come ‘continuazione’ e compimento della nostra vita.
         Affido il vostro impegno e i lavori di questi giorni, cari amici dell’Ucid e dell’Opera Immacolata Concezione, al beato Giuseppe Toniolo, veneto, docente universitario, economista e luminosa figura di laico cristiano che, con il suo impegno a favore dell’uomo e dell’organizzazione della polis, segnò la vita ecclesiale e civile della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX.
Il suo pensiero sociale, oltre ad essere anticipatore di tempi futuri, fu utilissimo per elaborare una visione antropologica in grado di confrontarsi e dialogare, senza complessi d’inferiorità, con la cultura degli ultimi decenni dell’Ottocento e dei primi del Novecento poco disposta a dare credito al mondo cattolico e con una società che, progressivamente, si distaccava dalla Chiesa. Con il suo insegnamento e le sue azioni ha posto sempre l’uomo all’inizio non solo cronologico ma ‘valoriale’ di ogni scelta culturale, sociale, finanziaria, economica o relativa al mondo del lavoro.
Guardando a Giuseppe Toniolo anche noi – nelle mutate e attuali condizioni storiche – siamo, dunque, invitati a ritrovare il coraggio, la saggezza e la forza per essere testimoni di una ‘vita buona’ secondo il Vangelo nella nostra società. E la dottrina sociale della Chiesa diventi sempre più luce che illumina il nostro cammino e il nostro tempo, spesso caratterizzato e provato da strutture sociali che si pongono a prescindere dall’uomo e talvolta addirittura in opposizione a lui.