Omelia nella S. Messa con i Vescovi del Triveneto per il centenario della nascita di Albino Luciani / Giovanni Paolo I (Venezia, 30 ottobre 2012)
30-10-2012

S. Messa nel centenario della nascita di Albino Luciani / Giovanni Paolo I

 

(Venezia / Basilica S. Marco, 30 ottobre 2012)

 

Omelia di mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia

 

 

 

            Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene‘ (Gv 21,17) è la risposta di Pietro a Gesù che gli aveva domandato se Lo amava più degli altri. Queste parole – ‘Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene’- ci pare d’ascoltarle, segnate dalla caratteristica dolce cadenza veneta, sulle labbra di Albino Luciani che, seppure per soli trentatré giorni, fu il successore dell’Apostolo Pietro, col nome di Giovanni Paolo I.

 

Non è facile tratteggiare il profilo di una persona chiamata a svolgere il ministero ecclesiale – prima come vescovo e poi come papa – in un periodo tempestoso come furono gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Il Vescovo Luciani, a Venezia, fu chiamato ad affrontare questioni delicate riguardanti la vita ecclesiale e civile, che da tempo covavano come fuoco sotto la cenere.

 

            Ma chi era questo figlio della terra veneta che divenne patriarca di Venezia e Sommo Pontefice della Chiesa cattolica? Albino Luciani fu un sincero e onesto lavoratore della vigna del Signore, uomo profondamente obbediente a Dio e al Suo progetto, chiamato a compiti e decisioni davvero ardue.

 

Del resto, annunziare il Vangelo senza rinnegarlo, stare di fronte al mondo senza temerlo e senza scendere a compromessi, presiedere a una comunità cristiana ferita nella comunione, senza cedere alla tentazione di conquistarsi una facile notorietà, significa caricarsi della propria parte di sofferenza. 

 

A Venezia il ricordo del patriarca Luciani è ancora vivo nel popolo di Dio e, col passare del tempo, l’affetto si unisce alla crescente stima per la sua santità: è quanto, con piacere, ho potuto constatare di persona fino ad ora.                                                                                                                   

 

            Nel suo messaggio d’inizio pontificato, uno dei suoi ultimi discorsi, Giovanni Paolo I esprime in modo compiuto il suo pensiero sulla Chiesa vista come corpo vivo, come realtà comunionale ed evangelizzatrice, offrendoci una sintesi di teologia, di spiritualità e di pastorale. La data del 27 agosto 1978 – giorno successivo all’elezione – segna tanto l’inizio del ministero petrino quanto l’ultimo tratto della sua vita terrena.                                      

 

Il passo a cui mi riferisco è preso dal messaggio urbi et orbi, il discorso con cui il Pontefice si rivolge alla città e al mondo. In esso vi troviamo: il pensiero di Luciani sulla Chiesa, la sua consapevolezza d’esserne Sommo Pontefice e il senso della missione a cui non può sottrarsi.

 

Propongo il punto in cui Egli si riferisce alla situazione della Chiesa. Siamo nei agitati anni Settanta e Luciani s’esprime in questi termini: ‘Chiamiamo anzitutto i figli della Chiesa a prendere coscienza sempre maggiore della loro responsabilità’ Superando le tensioni interne, che qua e là si sono potute creare, vincendo le tentazioni dell’uniformarsi ai gusti e ai consumi del mondo, come ai titillamenti del facile applauso, uniti nell’unico vincolo dell’amore che deve informare la vita intima della Chiesa come anche le forme esterne della sua disciplina, i fedeli – sottolineava infine – devono essere pronti a dare testimonianza della propria fede davanti al mondo’(Messaggio urbi et orbi, 27 agosto 1978).

 

Egli parla agli uomini e alle donne di Chiesa chiamandoli, semplicemente, figli e insieme domanda di prendere coscienza della loro responsabilità e superare, così, le tensioni interne ponendoli in guardia dalla tentazione di uniformarsi al mondo, non ricercando il facile applauso ed esortandoli con forza affinché diano reale testimonianza della propria fede davanti al mondo. Il fermo richiamo a prendere le distanze dalla tentazione d’uniformarsi al mondo spiega quello che fu il suo costante stile di prete, di vescovo e, possiamo dire, di Sommo Pontefice.

 

Siamo di fronte non a un generico appello all’unità ma all’effettiva comunione ecclesiale costruita attorno a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E non ci si stanca di proporre scelte evangeliche, prendendo le distanze da mediazioni che svuotano il Vangelo e portano il cristiano ad essere il ‘notaio’ di quanto, di volta in volta, gli viene proposto. Ma così facendo si svuota il buon annuncio del Vangelo: le fatiche e le fragilità degli uomini infatti, da sole, non sono ancora la croce di Cristo. Certo, il tessuto ultimo della realtà – cosmologico e antropologico – è Gesù Cristo, l’unico che può dar senso e valore ad ogni cosa, incominciando dalla realtà umana, portandola al suo compimento; questo è il senso del capitolo 25 del Vangelo di Matteo.

 

Ritornando al messaggio d’inizio pontificato, non si può non evidenziare l’appello alla responsabilità, la volontà di conversione, superando le tensioni interne alla Chiesa e, attraverso la vigilanza, l’impegno a resistere alla tentazione di uniformarsi al mondo.

 

Per quanto riguarda la breve ma densa apparizione di Luciani sulla cattedra di Pietro – tra l’agosto e il settembre del 1978 – mi limito a due osservazioni…

(Il resto dell’omelia, nel suo testo integrale, è riportato nel file in calce)