Omelia nella S. Messa celebrata in occasione del pellegrinaggio in San Marco del clero di Bergamo (Venezia, 4 giugno 2008)
04-06-2008

Basilica Patriarcale di San Marco Evangelista

 

 

Messa Votiva di San Marco Evangelista

 

At 13, 26-33; dal Salmo 88; Mc 16, 15-20

 

 

Pellegrinaggio del Clero diocesano di Bergamo

 

 

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia

 

 

Venezia, 4 giugno 2008

 

 

 

Eccellenze Reverendissime,

 

Cari Sacerdoti,

 

 

1. Siete venuti pellegrini da Bergamo in questa Basilica patriarcale, nel 50° anniversario dell’elezione del Patriarca Roncalli alla sede di Pietro e nel 45° del suo transito, volendo ripercorrere tutte le strade che la Provvidenza ha fatto compiere ad Angelo Giuseppe per condurlo un giorno fino a Roma sul soglio di Pietro. Nell’articolato itinerario annuale della vostra memoria non poteva mancare Venezia, la sede in cui il Beato Giovanni XXIII ha esercitato il suo fecondo ministero episcopale.

 

Per Voi sacerdoti della Chiesa di Bergamo ove il Beato Roncalli è nato e cresciuto, venire a Venezia manifesta il desiderio di paragonarsi con i tratti significativi della personalità cristiana e sacerdotale di Giovanni XXIII. L’amore del Beato Roncalli per San Marco, patrono di Venezia e delle genti venete, e per questa Basilica dà ragione della scelta di celebrare la Messa Votiva dell’Evangelista. È il modo migliore per ringraziare il Signore del grande dono del Beato Giovanni XXIII alla Sua Chiesa.

 

 

2. «O Dio, che hai glorificato il tuo evangelista Marco con il dono della predicazione apostolica». Queste parole della preghiera di Colletta riecheggiano il contenuto delle Letture che abbiamo ascoltato. «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15): così l’evangelista Marco sintetizza il mandato che il Risorto affida ai suoi discepoli. Ed essi, come ci ha ricordato il Libro degli Atti, non mancano di obbedire al comando del Signore: «e noi vi annunziamo la buona novella» (At 13, 32).

 

Il dono della predicazione. Se ascoltata con attenzione, questa formula può risultare un po’ strana. La predicazione viene definita come un dono. Ma non è soprattutto un compito per noi sacerdoti? Eppure la liturgia parla con chiarezza di dono: predicationis gratia, non parla nemmeno di munus, che può essere tradotto contemporaneamente come dono e compito.

 

Così, senza passaggi intermedi né tentennamenti, siamo condotti al cuore del mistero di ogni vita sacerdotale e, in particolare, siamo aiutati a cogliere la coscienza che Roncalli aveva del proprio ministero. Secondo il Beato Patriarca il ministero esige un’unità profonda tra due poli indisgiungibili.

 

Da una parte la coscienza di essere «presi a servizio». La vocazione infatti prima e più che la decisione di servire sorge dall’essere presi a servizio da parte di un Altro. Siamo stati chiamati, è il Signore che ci ha scelti. Ecco perché la predicazione ‘ come emblema di tutto il ministero sacerdotale ‘ è parte costitutiva della chiamata, è un dono.

 

Cosa significa vivere il sacerdozio come mandato? Nessuno si manda da sé, neppure il Figlio e lo Spirito. Così noi, ogni mattina, dobbiamo iniziare la giornata recuperando la coscienza che il Signore ci ha scelto. E ogni mattina dobbiamo personalmente rispondere di nuovo al Signore di , siamo chiamati a lasciarci di nuovo prendere a servizio. La memoria viva del Risorto che ci sceglie e ci invia dovrebbe esprimersi in ogni gesto ed in ogni istante della nostra vita sacerdotale. Qui sta l’unica radice imperitura della testimonianza.

 

Ma nello stesso tempo e in modo inscindibile l’unità del cuore del pastore fa riferimento ad un altro polo. Lo esprime bene il Patriarca Roncalli nel suo diario, il 17 maggio 1953, poco dopo l’ingresso solenne in Diocesi, durante gli esercizi spirituali: «Ciò che mi prende è la gravità delle mie responsabilità di pastore: non sono più di me, ma delle anime dei miei fedeli». La vocazione del sacerdote, più di ogni altra vocazione, si compie nella missione. La missione non è qualcosa di aggiunto alla fisionomia del cristiano: è il volto concreto della chiamata che il Padre ha voluto per lui. «Sono delle anime dei miei fedeli», afferma Papa Giovanni. Qui vocazione e missione – come in Cristo Gesù, l’apostolo, il mandato per eccellenza (cfr Eb 3, 1) – tendono a coincidere. Non è proprio possibile considerare il nostro ministero alla stregua di un mestiere.

 

Presi a servizio per la missione: ecco il cuore della vita sacerdotale che batteva nel petto del Beato Roncalli. Ma in questo, come in tante altri tratti della sua ricchissima personalità, il Beato Giovanni XXIII è un fedele rappresentante della miglior tradizione del cattolicesimo bergamasco e lombardo.

 

 

3. Dove reimparare ogni giorno questo nucleo incandescente della nostra vocazione sacerdotale? Il Libro ed il Calice è la risposta del Beato Roncalli: la celebrazione dell’Eucaristia, ove la mensa del pane è illuminata dalla proclamazione della Parola di Dio. L’Eucaristia è certo il luogo proprio della predicazione apostolica, l’ambito in cui questa si offre al popolo cristiano in modo compiuto perché è – come dice Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis – «Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo» (SCr 14). Celebrando in persona Christi noi veniamo coinvolti nella donazione che Egli fa di Sé al Padre e agli uomini. Diventiamo noi stessi memoriale e offerta. Memoria della nostra elezione che non viene mai meno; offerta della nostra vita per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo.

 

L’uomo post-moderno ad un tempo assetato e smarrito può incontrare in ministri siffatti una autentica compagnia (cum-panis) verso il proprio destino. L’Eucaristia fa di noi uomini della comunione. quella comunione con Cristo e con i fratelli che ci costituisce perché ci precede. La comunione implica, costi quel che costi, una stima previa verso tutti. Dalla consapevolezza, quotidianamente ripresa e custodita, dell’origine sacramentale della nostra comunione, scaturisce questa inaudita possibilità, donata ad ogni rapporto tra cristiani, ma chiamata a brillare di luce speciale nel presbiterio. Mi riferisco alla carità e per noi alla carità sacerdotale.

 

Su che cosa può fondarsi una posizione umana così radicale per cui la comunione è più forte di tutte le opinioni, più forte di tutte le incomprensioni, più forte persino delle umiliazioni? Può fondarsi solo sul riconoscimento che chiunque mi è dato, mi è dato dal Padre per il mio bene oggettivo. Quindi mi corrisponde profondamente, al di là di ogni diversità, anche profonda. Come faremmo altrimenti a seguire il comando di Gesù: amate i vostri nemici? O l’invito di Paolo ad essere nel dolore lieti? Dove il popolo può vedere questa novità che alimenta la speranza e documenta nel presente il trionfo del Crocifisso Risorto se non nella comunione organica dei presbiteri? Non ci sono pre-condizioni a questa stima a meno di umiliare la carità, senza la quale nulla ha valore. Il Beato Patriarca lo dice con la consueta concretezza nel diario del 6 marzo 1954: «Trovo che si può forse ottenere di più: ma ciò sarà più facile colla cooperazione di tutti che colle critiche. Chi non ha difetti fra noi? E ciascuno non ha un carattere suo? E il pensiero d’averlo non dovrebbe incoraggiarci a tollerare il carattere altrui?».

 

 

4. Carissime Eccellenze e carissimi sacerdoti, il Vostro pellegrinaggio è motivo di conforto e di letizia per la Chiesa veneziana e per il suo Patriarca.

 

La memoria del Beato Roncalli rimane salda in terra veneta. Ma l’affetto che il popolo bergamasco gli riserva genera in tutti noi un po’ di santa invidia e ci incoraggia ad essere più decisi nella sequela di Giovanni XXIII. A proposito del suo amore per Bergamo, che trasuda da tutti i suoi scritti, Roncalli annota nelle sue agende l’8 marzo 1953: «A Bergamo (‘) La mia persona scomparve nella semplicità, ma apparve vivido e sincero e commovente l’affetto dei Bergamaschi per il loro concittadino tanto onorato dalla S. Sede. Non nobis, Domine [Sal 113B,1]».

 

«Non nobis, Domine». Anche noi, in questa splendida giornata veneziana, possiamo ripetere il versetto del Salmo perché è la chiave del nostro pellegrinaggio di gratitudine: «Non nobis, Domine». Amen.