Omelia nella S. Messa alla tomba di S. Pietro nel corso della "visita ad limina" (Roma, 23 aprile 2007)
23-04-2007

VISITA AD LIMINA
ROMA, 23 APRILE 2007

SANTA MESSA ALLA TOMBA DI SAN PIETRO
At 5, 27b-32.40b-42; Sal 88; Gv 21, 15-19

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. La triplice domanda che il Risorto rivolse a Pietro in quel luminoso mattino di grazia non cessa di commuovere i cristiani che da ogni parte del mondo arrivano qui, sulla tomba del Principe degli Apostoli, in pellegrinaggio: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?».
La stessa domanda però acquista un tono del tutto particolare per quanti, come noi, sono stati chiamati, per grazia immeritata, ad essere successori degli apostoli. Nonostante la nostra umana fragilità il ministero episcopale che ci è stato conferito ha lo straordinario potere di garantire sacramentalmente la contemporaneità del Crocifisso Risorto alla libertà degli uomini e delle donne di ogni tempo.
San Lorenzo Giustiniani commenta il dialogo tra il Risorto e Pietro in questo modo: «Veramente in nessun esercizio la sposa si può occupare più convenientemente che nel cercare il bene delle anime. Perché nulla piace di più, né è più soave per il Verbo di questo sacrificio. Per questo quando domandò a Pietro: ‘Mi ami?’, e questi rispose: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene’, immediatamente gli intimò: ‘Pascola le mie pecore’. Nulla di più caro poté raccomandare a chi amava ardentemente di ciò per cui volle inabissarsi e morire» .
Il vero, il bell’amore trova la sua verifica oggettiva nella missione. E la missione apostolica che ci è stata affidata trova la sua radice nell’amore di Cristo Sposo per la Chiesa, Sua sposa. Alla Sposa, come dice San Lorenzo, è chiesto sacrificio proprio da Colui che per primo l’Amore condusse a consegnare, in obbedienza, la propria vita al sacrificio della croce.

2. Convenuti in questo luogo sacro dalle Chiese del Nord-Est, avendo nel cuore, in un certo modo, tutto il nostro popolo, la domanda del Risorto: «Mi ami tu?» provoca in noi un sussulto di coscienza che ci porteremo dentro lungo tutta la settimana, in particolare nell’incontro personale con Benedetto XVI. Il Cristo che ci interroga sull’amore ci invita a non separare la nostra missione episcopale dal nostro amoroso personale coinvolgimento con Lui. Il nostro ministero episcopale si gioca sempre nella risposta libera all’invito di Gesù: «Seguimi». Seguire il Risorto e pascere il Suo gregge sono la stessa cosa. Per questo la carità pastorale è la chiave dell’unità di vita dei ministri e l’espressione culmine della santità sacerdotale.
La sequela richiede dal chiamato obbedienza, e una ben precisa obbedienza: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (Prima Lettura). Il frangente storico che stiamo attraversando colora queste parole di un realismo venato dalla prova, ma ogni esercizio dell’autorità nella vita della Chiesa troverà sempre la sua origine in questo mistero radicale di obbedienza. Più che mai insegnare, santificare, governare il popolo di Dio non è possibile senza obbedire costantemente, ad ogni prezzo, al comando del Signore.
L’obbedienza di chi è chiamato a guidare una Chiesa è spesso fraintesa e confusa, anche per i nostri limiti, con volontà di dominio, con attaccamento a vecchie forme di sudditanza che nulla hanno a che fare con la libertà cristiana. Ma noi, come Pietro insieme agli apostoli dinanzi al sommo sacerdote, non possiamo tacere: «di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono» (Prima Lettura).

3. La nostra preghiera corale presso la Tomba di Pietro, in questa mattina pasquale, diventa una eco lieta di un’esistenza apostolica: «Ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo». Amen.