Omelia nella S. Messa al termine dell’iniziativa e degli incontri del Timone a Bassano del Grappa con la Scuola di Cultura Cattolica (Bassano del Grappa / Chiesa parrocchiale di S. Francesco, 7 maggio 2023)
07-05-2023

S. Messa al termine dell’iniziativa e degli incontri del Timone a Bassano del Grappa con la Scuola di Cultura Cattolica

(Bassano del Grappa / Chiesa parr. di S. Francesco, 7 maggio 2023)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

  

 

Ringrazio gli organizzatori per l’invito a celebrare l’Eucaristia, momento culminante degli incontri che, in questi giorni, hanno avuto come tema “La santa inquietudine”.

La frase di Gesù “Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2) che troviamo nel Vangelo di questa V domenica del tempo di Pasqua (Gv 14,1-12), ci proietta nella dimensione della trascendenza e ci indica non una realtà storica o penultima, ma definitiva, escatologica; una realtà che, comunque, ci è donata fin d’ora.

Gesù, rispondendo alla domanda di Tommaso, dice: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Qui l’apostolo Tommaso interviene anche a nome degli altri e le sue parole sono ineccepibili secondo la logica umana: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5). È come se una persona ci avvicinasse per strada, chiedendoci: mi può indicare la via? La nostra risposta sarebbe: ma, per dove? Dove deve andare?

Gesù afferma: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Si manifesta, quindi, come il Maestro e il Signore, invitando i discepoli a convertirsi: se vuoi giungere alla meta, fidati di me. L’invito che rivolge a Tommaso è, dunque, di fidarsi e affidarsi a lui, di riconoscere che Lui stesso è la via, la verità e la vita. In altre parole: inizia a percorrere la via e raggiungerai la meta perché Gesù non è soltanto la via ma, anche, la verità e la vita.

La frase di Gesù la si può intendere: “Io sono la via alla verità e alla vita” ma anche come “Io sono la via perché sono la verità e la vita” (cfr. B. Maggioni, Il racconto di Giovanni, Cittadella, Assisi 2016, p. 276); la frase, lo comprendiamo bene, assume un significato ancor più denso e pregnante.

Gesù è la pienezza ed è proprio questo che noi, suoi discepoli, fatichiamo a comprendere e ad accettare; di fronte a Lui, perciò, abbiamo sempre e di nuovo bisogno di conversione. Un discepolo non è più grande del suo maestro, ma c’è chi pretende d’insegnarGli – e ricordiamo bene la risposta di Gesù a Pietro – come si fa ad essere Gesù Cristo.

Sì, Gesù è tutto, il vero ed unico pienamente cattolico. Lui è l’inizio della fede cristiana e, allo stesso tempo, ne è il centro e il culmine. Ricordiamo come la lettera agli Ebrei si conclude dicendo: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,1-2). Possiamo, allora, comprendere il senso delle parole che Gesù rivolge anche a noi, oggi, suoi discepoli: “Io sono la via, la verità e la vita”. Sì, è la via perché in Lui sono già date la verità e la vita.

La prima lettura (At 6,1-7) ci presenta la Chiesa degli inizi, una Chiesa in espansione e che si misura con nuove urgenze ed esigenze al punto di costituire un nuovo ministero ecclesiale; è l’immagine di una Chiesa radicata nella storia e chiamata a vivere ed operare concretamente.

In questa storia la Chiesa incontra necessità nuove, culture e linguaggi differenti – si parla di Ebrei e di Greci -; la Chiesa deve organizzarsi al meglio per venire incontro a varie realtà. E così avviene, dato che la lettura degli Atti si conclude in questo modo: “…la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede” (At 6,7).

“Verità” e “storia”: desidero fermarmi su tale binomio, anche alla luce di ciò di cui avete trattato in questi giorni.

Viviamo in un contesto culturale e sociale che attribuisce grandissima importanza alla storia; dalla metà del secolo scorso ad oggi siamo passati da una visione “statica” ad una “dinamica”, con forte sensibilità per l’evoluzione storica.

Lo stato di perdurante e diffusa crisi trova anche qui la sua radice: il passaggio da una cultura “veritativa”, con un concetto di verità stabile e condiviso, ad una cultura che è essenzialmente “storica”, anzi, “storicista” e basata, ora, sulla verifica dei fatti e, ancor di più, sul puro fare.

Da una verità dell’essere (verum et ens conventuntur) che guida e governa giudizi e comportamenti umani, si è passati ad una verità intesa più come constatazione dei fatti e verifica degli stessi (verum et factum conventuntur), arrivando quindi ad una verità che è il mero prodotto del fare, un io verifico, produco e ottengo. Ci troviamo, perciò, dinanzi ad una situazione nuova, che, oltretutto, negli ultimi decenni deve sempre più confrontarsi e fare i conti con la tecnoscienza.

Queste “visioni”, che non sono sempre facilmente distinguibili, portano con sé dei rischi. Nel primo caso ci si potrebbe chiudere totalmente alla verità e alle novità (al divenire), rischiando l’immobilismo, nel secondo invece ci si espone al rischio del soggettivismo, nel senso che il soggetto “crea” la realtà, senza riferimento all’Altro, cioè a Dio.

Non esiste più un Assoluto ma esistono solamente dati, in continua evoluzione, mentre l’intelligenza stessa diventa incapace di cogliere la realtà e ogni situazione viene vista e considerata al di fuori di un riferimento o criterio di verità.

Siamo, insomma, pienamente dentro al relativismo che è la “cifra” del nostro tempo e della nostra attualità. Questo relativismo influenza prima di tutto la visione della vita dell’uomo, arrivando a negare di conoscere (o concepire) Dio; l’idea e la realtà stessa di Dio hanno smesso di essere qualcosa che può applicarsi ai casi concreti e particolari della vita.

Sta nascendo un relativismo religioso analogo al relativismo delle scienze e che porta a lotte, a scissioni, al non-senso, con una spiccata conflittualità in nome di una fede male intesa e di una religione divenuta affermazione soggettiva e non riconoscimento e accoglimento del Dio che è origine della bontà, della verità, della giustizia e, anche, della pace, aiutando tutta l’umanità a camminare insieme.

C’è poi il relativismo che riguarda l’agire dell’uomo, l’etica. Se non esiste più un criterio di verità ma solo “fatti” o il “fare”, tutto, allora, finisce in un vago senso culturale e sociale e cade nel puro individualismo. Si rifiuta così una legge oggettiva che aiuti a trovare dei punti di comunione.

La coscienza non è più in grado di dare giudizi secondo verità ma diventa, essa stessa, creatrice di valori e passa da strumento e facoltà – che traduce in atto la verità percepita – a principio autonomo che costituisce l’agire. Il venir meno e il superamento della legge naturale comporta poi l’inevitabile perdita di un riferimento fondamentale.

Il cristiano si trova come in mezzo, stretto e drammaticamente conteso tra due “visioni”, quella veritativa dell’essere e quella storicista del divenire.

Forse la concezione teologica cristiana, per il passato, non è stata sempre sufficientemente attenta alle culture emergenti, ma è altrettanto vero che bisogna tenere sempre desta una visione sanamente critica rispetto alla mentalità storicista e soggettivista.

Il cristiano è immerso in questa cultura ed anzi è all’interno di un cammino storico reale e, di conseguenza, non sarebbe ascoltato se non si muovesse nel contesto della modernità che esalta la libertà, l’originalità e la mobilità di persone e cose. D’altra parte, soffocheremmo la visione cristiana e la dimensione teologica dell’agire se non si riconoscessero limiti alla mentalità storicista e relativista lasciandosi prendere da tale cultura in modo acritico.

Ogni volta che il cristiano dice “Io credo” assume una decisione e accetta valori e considerazioni, adotta risoluzioni che vanno intese come allineamento alla verità / affermazione di verità e che, nello stesso tempo, diventa qualcosa che porta a riconoscere Dio e l’uomo (creato ad immagine e somiglianza di Dio) insieme al mondo che, a sua volta, richiama il Logos / la ragione di Dio.

Non basta, però, dire “Io credo” fideisticamente; bisogna riconoscere Dio, riconoscere Cristo che è il Logos incarnato, il senso del mondo, il creatore, la sapienza del creato che ci circonda. E tutto questo va fatto in termini di ragione, evitando ogni tipo di fondamentalismo e confessionalismo.

L’ “io credo” del cristiano comporta importanti riflessi – a favore della verità – nella vita sociale, per l’affermazione dei diritti della persona ed origina nuove e vere relazioni umane; il Dio trino ed unico è comunione e, quindi, trasmette ed ispira comunione, relazionalità, solidarietà ma anche sussidiarietà nel riconoscimento dell’altro; lo stesso bene comune – da perseguire nella vita politica, sociale, economica e culturale – è, in fondo, l’immagine e la proiezione della creazione così come voluta da Dio.

È necessario, quindi, superare una visione “statica”, forse presente in talune mentalità e, nello stesso tempo, considerare il rischio vero e reale di oggi, ossia quello del relativismo e dell’agnosticismo.

Non c’è opposizione tra verità e storia, non c’è opposizione tra norma oggettiva e coscienza, non c’è opposizione tra legge naturale e persona, non c’è opposizione soprattutto tra l’uomo e Dio.

Il divenire dell’uomo e della storia avviene in modo creativo e libero, non statico, e realizzando / attuando quella personale comunione con Dio – – segno e dono importante – e, soprattutto, avvalendosi della ragione che, con le altre facoltà, permette all’uomo di essere immagine di quel Dio che ha voluto l’uomo libero, pensante, cosciente, laborioso.

Tutto questo conduce al vero progresso e a rispondere alla sfida attuale e quotidiana che è portata all’uomo e che riguarda direttamente l’uomo perché, in questa sfida, è in gioco l’umanità stessa.

Per il cristiano c’è sempre una scelta da compiere e che si ripropone ad ogni persona e ad ogni generazione che si succede, come già agli inizi della storia della salvezza col popolo d’Israele chiamato a decidere e a prendere seriamente le distanze dalle altre divinità politeiste (da Moloch ai Baal o dal Dio “sensuale” della regina e sacerdotessa Gezabele ai tempi del profeta Elia).

Concludo, infine, citando il noto “Discorso del biglietto” con cui John Henry Newman, era l’anno 1879, accolse la nomina a Cardinale parlando di se stesso ma soprattutto inquadrando con lucidità e lungimiranza, ed anche con sorprendente attualità, il complicato rapporto tra cattolicesimo e liberalismo che rappresenta una questione ricorrente perché esprime ciò che caratterizza strutturalmente l’atto di fede cristiano, almeno secondo la confessione cattolica.

“Per trenta, quaranta, cinquant’anni – disse Newman in quell’occasione – ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione… è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro… la religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo e miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia” (citazione tratta da Rocco Pezzimenti, Il discorso del biglietto di John Henry Newman, Roma 2014 pagg. 70-71).

Il Cardinale Newman terminava il suo discorso invitando a non aver paura di fronte alle nuove prove e ai pericoli che il cristianesimo – che ogni cristiano in ogni tempo – si trova a dover affrontare perché “la vittoria della parola di Dio, della santa Chiesa, del nostro Re Onnipotente” è qualcosa di certo.  “Ciò che invece è incerto (…), e rappresenta solitamente una grande sorpresa per tutti, è il modo in cui di volta in volta la Provvidenza protegge e salva i suoi eletti” (op. cit. pag. 73).

Ritornano, allora, le parole di Gesù nel Vangelo odierno: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via… Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,1.3-4.6).