Omelia nella S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (Commemorazione dei fedeli defunti - 2 novembre 2014)
02-11-2014
Commemorazione dei fedeli defunti
S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia[1]
E’ questo il giorno dell’incontro con noi stessi, attraverso quelle persone che hanno rappresentato qualcosa di significativo, talvolta di irripetibile, nella nostra vita e che ora non ci sono più o, almeno, non sono più di fronte al nostro sguardo.
“I nostri cari sono in cielo”: che cosa vuol dire quest’espressione cristiana? Ricordiamo tutti quell’astronauta che, girando attorno alla Terra, si premurò subito di dire: non ho incontrato Dio… “I nostri cari sono in cielo”: è un modo per dire che i nostri cari sono fissi nell’amore di Dio. Il ricordo della persona defunta rimane, in chi l’ha conosciuta, fintanto che quelle persone che l’hanno conosciuta vivono… Molte volte i nostri camposanti ci ricordano proprio questo. Le zone più antiche – le tombe che datano 50, 100, 200 anni… – sono spesso anche le più dimenticate, se non c’è una cura istituzionale legata anche alle possibilità economiche del Comune o della realtà che presiede ai cimiteri. La persona rimane – e la sua tomba è custodita, tenuta ordinata e pulita, col segno dei fiori e del lume che brilla – fintanto che qualcuno che ha amato quella persona continua a vivere.
Ritorniamo al discorso su Dio: l’amore di Dio è eterno, ecco perché ciascuno di noi continuerà a vivere per l’eternità nell’amore di Colui che è eterno. Essere discepolo vuol dire riconoscere la prerogativa dell’amore eterno di Dio, un amore che è fedele, non dimentica, non è distratto, non ha o non subisce condizionamenti dal tempo e dalla storia. Essere di Dio: noi apparteniamo all’eternità, perché Dio è eterno e perché Dio ci ama di un amore eterno. Questa è la grande e consolante verità cristiana.
Ma il Vangelo non è una serie di affermazioni consolatorie tanto che, infatti, ci sono anche le pagine difficili del Vangelo… “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38); “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo – ma intanto lo distruggono… – e dopo questo non possono fare più nulla” (Lc 12,4); “Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno” (Lc 5,37); “Beati voi, che ora piangete” (Lc 6,21), le beatitudini…
Il Vangelo ha delle pagine alte e difficili, non è una serie di affermazioni consolatorie che servono per farci andare a casa “tranquillizzati”. E allora prendiamo sul serio anche le pagine consolanti (e non consolatorie!) del Vangelo: noi apparteniamo a Dio, Dio ci ama di un amore eterno, noi rimaniamo e rimarremo in quell’amore per l’eternità, l’amore di Dio ci sosterrà per sempre.
Oggi però è anche la giornata del suffragio e il suffragio consiste in una serie di gesti e atteggiamenti legati alla fede e all’amore. Noi, in forza della comunione dei santi (ieri abbiamo celebrato la solennità di Ognissanti) e al di là della nostra personale individualità e delle nostre responsabilità proprie e specifiche, apparteniamo però ad un corpo: sant’Agostino parlava del Cristo totale. Noi siamo parte dell’unico corpo di Cristo e questa comunione, questa appartenenza, supera la barriera del tempo e dello spazio, supera il traguardo umano della vita terrena e va per l’eternità.
Entrare nell’eternità: si entra nell’eternità grazie alla misericordia e al perdono di Dio.. Ma la misericordia e il perdono di dio si misurano sulla libertà dell’uomo. L’uomo non è un burattino nelle mani di Dio, non è una marionetta; è libero e questa libertà è sostenuta sempre da Dio, dal suo amore, dalla sua provvidenza, dalla sua misericordia, dalla sua tenerezza. Ma è sempre libertà.
Signore, ho peccato: voglio cambiare! Al di là della colpa rimessa e perché io dica in modo chiaro che il mio dolore è vero e non sto recitando una parte di fronte a te, io ti dico che sono disposto a fare quello che è in mio potere di compiere per ridurre il male che ho fatto. Questo è il senso della penitenza che il sacerdote ci dà, quando ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. E’ un cammino nel quale ristabiliamo – per quanto ci è possibile – la giustizia, l’amore e la verità che abbiamo offeso col nostro peccato.
Capita, molte volte, che si entri nella vita eterna avendo ancora da scontare dei “residui” di pena legati alla colpa rimessa e allora ecco il suffragio: accedere all’amore di Do, alla misericordia di Dio attraverso la nostra preghiera, la celebrazione eucaristica, l’elemosina, quegli atti di carità che possano aiutare chi, ormai, per sé non può più fare nulla. Noi possiamo aiutare i nostri fratelli defunti e quando parliamo dei nostri “poveri defunti” indichiamo proprio la loro situazione: loro, per sé, non possono più fare nulla e attendono solo l’aiuto della Chiesa, il suffragio. Ma loro possono fare per noi…
Ecco perché la Chiesa tiene unite le due feste liturgiche: la solennità dei Santi con la comunione e l’unità che esiste tra i santi, il partecipare al tesoro comune della ricchezza di Cristo, avvalorato dalla santità di tanti uomini e donne, canonizzate e non canonizzate; la commemorazione dei defunti, l’idea della communio sanctorum.
Comunichiamo tra di noi oltre il tempo, comunichiamo con Cristo, comunichiamo con le “cose sante”, prima di tutto la celebrazione eucaristica. Il grande suffragio, il grande dono, che noi possiamo fare oggi è proprio celebrare l’eucaristia e poi partecipare – secondo le indicazioni della Chiesa – ai gesti di suffragio: visitando una chiesa e i cimiteri, recitando la preghiera che ci ha insegnato Gesù e la professione di fede (il Credo), pregando per quella anima o quelle anime che vorremmo presentare al Signore, si dona loro il refrigerio.
Ad una condizione, però: il suffragio è consegnare, più direttamente, all’amore di Dio un’anima e questo è un atto di amore. Ma l’atto di amore primo è quello di separarsi da ogni legame con la menzogna, con l’ingiustizia, con la carenza di amore. Gli adempimenti del suffragio non servirebbero a nulla se non ci fosse in noi la volontà di un amore grande, di un amore pieno, di un amore totale. Il suffragio è legato alla nostra conversione personale.


[1] Questo testo riporta la trascrizione dell’omelia pronunciata dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del “parlato” che l’ha contraddistinta.