Omelia nella notte di Natale (Venezia, 25 dicembre 2006)
25-12-2006

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

SANTA MESSA NELLA NOTTE DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE
Is 9, 1-3.5-6; dal Salmo 95; Tt 2,11-14; Lc 2, 1-14

OMELIA DEL PATRIARCA S. E. R. CARD. SCOLA

Venezia, 25 dicembre 2006

1. «Già splende il tuo presepe e la notte respira la sua luce» (Sant’Ambrogio, Inno di Natale). Con questa intensa immagine poetica, Sant’Ambrogio sintetizza il dono del Mistero che questa notte celebriamo. Da quell’umile mangiatoia si sprigiona una luce che illumina noi e tutti i nostri fratelli uomini, donandoci la possibilità di respirare a pieni polmoni l’alba di un’umanità rinnovata.

2. Da duemila anni il popolo cristiano, che vive in attesa del ritorno glorioso di Gesù (parusia), non cessa di far riferimento a quell’istante del tempo in cui il Signore del tempo volle essere adorato in un bimbo appena nato avvolto in fasce. Quell’istante del tempo diede significato ad ogni altro istante del passato, del presente e del futuro. L’apostolo Paolo lo fissa in quel fulminante versetto della Seconda Lettura: «Apparuit benignitas et humanitas Salvatoris nostri Dei», è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini.
Ed è proprio la celebrazione della venuta del Signore in mezzo a noi, la radice della nostra permanente attesa. Nascita e ritorno di Gesù Cristo, prima venuta nella carne e definitiva venuta in gloria, sono i pilastri sui quali siamo chiamati a costruire il ponte della nostra esistenza nel tempo.
Se ci limitassimo a celebrare un fatto accaduto a Betlemme duemila anni fa, il Natale resterebbe inesorabilmente ridotto a sentimentale rievocazione di un passato e condannato, ultimamente, alla sterilità. Lo sguardo commosso alla Vergine Madre, a Giuseppe il giusto, ai pastori che corrono a vedere ciò che è accaduto, agli angeli che annunciano gloria nei cieli e pace a tutto il genere umano, ai Magi che prostrandosi adorano il Bambin Gesù, non ci porterebbe fino all’incontro personale con Cristo. Allora sarebbe facile ridurre il Natale ad una favola rasserenante le fredde notti di inverno reali o metaforiche ma non per questo meno pungenti.
D’altra parte se l’attesa della venuta finale di Cristo Signore fosse sradicata dal fatto già realmente accaduto, quello della sua prima storica venuta la nostra fede, sarebbe un’utopia. Che garanzia avremmo mai del ritorno glorioso di Cristo quale compimento della storia di ciascuno e di tutta la famiglia umana? Se Colui che deve venire non fosse il Gesù storico che ha condiviso la vita degli uomini, che ha pianto per l’amico morto, che ha sfamato le folle, che ha insegnato con autorità, che ha scelto i dodici e creato un popolo nuovo, che si è consegnato alla morte per la nostra salvezza ed è risorto gloriosamente, donandoci lo Spirito che ci fa figli del Suo eterno Padre, la nostra attesa sarebbe al massimo la vaga nostalgia di un ignoto. E la pretesa di dare un volto a questo ignoto produrrebbe, come è già spesso avvenuto, la pericolosa illusione di creare impossibili ‘mondi perfetti’.
Né ricordo sentimentale né fuga utopica: da questo falso dilemma ci salva la Santa Chiesa con l’azione eucaristica di questa notte santa perché ci coinvolge qui ed ora con il Gesù di ieri e di sempre. Infatti l’odierna liturgia ripete con insistenza la parola che, più di ogni altra, dice il tempo di Dio, vale a dire la verità del tempo. E la parola è hodie: oggi è nato il nostro Salvatore.
Il presente, il qui ed ora della storia, è infatti il tempo del Signore, il tempo che scaturisce dal Suo Natale nella carne e ci conduce fino alla manifestazione generale della Sua gloria. Per questo il presente è il tempo della nostra decisione e della nostra responsabilità. L’attesa cristiana rimodula il significato del tempo: le radici del presente pescano la propria linfa vitale nel passato e si schiudono alla speranza certa della maturità dei frutti nel futuro.

3. Da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci partecipi della Vita stessa di Dio, il nome proprio della decisione e della responsabilità è amore. O meglio: l’obbedienza dell’amore. La vita terrena del Figlio di Dio ha inizio e si sviluppa all’insegna dell’obbedienza dell’amore. «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Anche Giuseppe dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea a Betlemme per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta» (Vangelo).
Maria e Giuseppe, che di Gesù hanno la responsabilità, devono sottoporsi alle disposizioni di un governatore imposto da una potenza straniera ed abbandonare la propria casa. Debbono obbedire, abbracciare con amore la circostanza che la Provvidenza offre loro.
«Diede alla luce il suo figlio primogenito ‘ e lo depose in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nell’albergo». Il Figlio di Dio obbedisce. Accetta di non avere casa per diventare la nostra casa. Paradosso e potenza generatrice dell’amore!
Il mistero profondo della nostra redenzione esprime la benevolenza della Trinità e l’obbedienza umana del Figlio che concorrono al vero e bell’amore. «Eius nam nativitas fons redemptionis omnibus est caritas» (La sua natività sorgente della redenzione e per ogni creatura amore senza limiti), Tommaso da Kempis, Cantici, XIII sec.).

4. Anche noi, in questa Santa Notte, siamo chiamati ad abbracciare l’obbedienza dell’amore. Obbedienza perché l’amore, quello vero, ha un suo ordine oggettivo, che non può essere capricciosamente modificato dalle nostre fragili volontà.
Così anzitutto l’essenza dell’amore è il per sempre. Celebrare l’avvento dell’amore a Natale ci spalanca a ricuperare più consapevolmente questo nucleo essenziale dell’esperienza affettiva impedendoci, per esempio, di identificare la stabilità, la fedeltà e l’apertura alla vita proprie del matrimonio con qualsivoglia forma di relazione.
La fedeltà dell’amore è anche il terreno su cui fiorisce il ‘prendersi cura’ della vita. L’amore fedele, infatti, che non muta col passare del tempo, abbraccia la vita di ogni uomo dal concepimento fino alla morte naturale.
L’umanità carica di amore del nostro Dio ci insegna inoltre che la persona, ogni persona, invoca piena ed espressa dignità. Dal Natale sgorga perentorio per noi uomini del Nord opulento del pianeta l’imperativo a scegliere stili di vita compatibili con la giustizia sociale e la salvaguardia del creato, che arrivino ad incidere non solo sulle nostre tasche o sui nostri consumi, ma che cambino in profondità le nostre relazioni. La provocazione del Natale è rivolta ai ‘poteri’ di questo mondo perché, come ci ha richiamato Benedetto XVI, lavorino alacremente alla ‘conversione’ del modello di sviluppo globale, affrontando le cause strutturali legate al sistema di governo dell’economia mondiale, che oggi ingiustamente destina la maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione.
L’amore vero è esigente, per questo è carico di bellezza.

5. «Vergine, Madre di Dio, Colui che il mondo non può contenere fatto uomo si chiuse nel tuo grembo: come hai fatto per i pastori e i Magi dona anche a noi il tuo Figlio Gesù». Così ci rivolgiamo in questa Notte Santa alla Vergine Nicopeia, la cui icona traduce in un’immagine a noi familiare quello che questa antichissima preghiera della Liturgia dice con le parole. Buon Natale!