Omelia nella messa solenne per l'ordinazione episcopale di mons. Beniamino Pizziol (Venezia, 24 febbraio 2008)
24-02-2008

Arcibasilica Patriarcale di San Marco

Ordinazione Episcopale di S.E. Mons. Beniamino Pizziol

 

Vescovo Titolare di Cittanova e Ausiliare di Venezia

 

 

Omelia del Patriarca S. E. R. Card. Angelo Scola

 

 

Venezia, 24 febbraio 2008

 

 

1. «Gesù ebbe sete così ardente della fede della donna che accese in lei la fiamma del Tuo amore, o Padre»: così ci farà pregare tra poco il Prefazio. È il senso profondo del Santo Evangelo che abbiamo appena ascoltato: nel Figlio che si è fatto uomo per gli uomini il Padre rivela, per mezzo dello Spirito Santo, il Suo amore appassionato per ciascuno di noi.

 

«Dammi da bere». Non è un espediente retorico, quello di Gesù, ma una domanda reale. La sete di Gesù è sete ardente della nostra fede e del nostro amore, della fede e dell’amore di ogni uomo e di ogni donna.

 

Carissimo Don Beniamino,

Eminenza ed Eccellenze Reverendissime,

Autorità tutte,

Fratelli nel sacerdozio, diaconi, religiose e religiosi,

Carissimi figlie e figli in Cristo Signore,

in un primo momento anche noi – convocati numerosissimi nella nostra splendida Basilica Cattedrale, nelle sue adiacenze, per televisione e per radio ‘ restiamo, come la Samaritana, quasi increduli: «Come mai tu chiedi da bere a me?» (Gv 4, 9), ma la domanda sottilmente provocatoria della donna che non Lo conosceva si trasforma per noi, che invece Gli siamo familiari, in addolorata gratitudine per l’abisso della Sua misericordia. Dio che è Dio ha sete di me? L’Amore perfetto, eterno ed infinito, viene a mendicare un amore così fragile e piccolo come il mio, come il nostro?

2. Immedesimiamoci, fratelli e sorelle carissimi, qui ed ora, con il cuore e con la mente, nell’episodio raccontato dal Santo Vangelo, perché ci aiuti a comprendere un poco questa sete di Gesù che vuol farci partecipare all’esperienza del vero amore, del bell’amore.

«Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?» (Gv 4, 9). Donna e per giunta samaritana: un doppio pesante fattore di discriminazione, ma Gesù rompe ogni umano preconcetto, ogni separazione culturale, religiosa e sociale. L’iniziativa amante del Figlio di Dio incarnato verso ogni singolo uomo non si lascia fermare da nulla. Niente nell’uomo o nella società impedisce a Gesù di avere una sete ardente di incontrarci di persona.

Alla reazione un po’ insolente della donna Gesù risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». La sete di Gesù è sete del nostro compimento, è proposta di salvezza: Egli vuole colmare il cuore della donna di acqua viva, cioè del dono dello Spirito di amore.

Così facendo Gesù dilata la curiosità della Samaritana – «da dove hai dunque quest’acqua viva?» – e, con l’incalzare del dialogo, trasforma questa curiosità in pieno desiderio, che si fa domanda: «Dammi di quest’acqua».

L’acqua della fede e dell’amore che Gesù vuol donarci sgorga dalle profonde viscere di misericordia del Padre e, passando attraverso tutte le falde in cui si sono depositate le scorie della nostra vita, ci purifica. Perché il desiderio si compia alla donna è chiesto di cambiar vita: «Va’ a chiamare tuo marito». Gesù esige il cambiamento perché sa di poterlo concedere, trasformando in un uomo nuovo colui che è disposto ad accoglierLo come il Salvatore.

«So che deve venire il Messia‘ ‘Sono io, che ti parloLa donna lasciò la brocca e andò». L’incontro di amore salvifico avviene. La gioia e la fretta ne sono espressione. La conversione della donna è già cominciata.

3. Carissimo Don Beniamino, attraverso la Chiesa, convocata per questa solenne celebrazione, è Gesù stesso che si rivolge un’altra volta a te, ma in modo assai più stringente e personale. Egli ti dice: «Dammi da bere». Fin dall’infanzia Gesù ti va invitando alla fede e all’amore. Lo ha fatto nel santo Battesimo, attraverso l’educazione familiare e poi in quella seminaristica, con l’ordinazione sacerdotale e con lo svolgimento alacre del ministero presbiterale a servizio del nostro Patriarcato. Oggi il Signore te lo chiede di nuovo. Intende amarti più intensamente e ti chiede di darGli una risposta pronta, carica di gioia e di fretta santa come quella della Samaritana.

Ogni membro umile e grato del popolo di Dio, ogni ministro del Signore ‘ ne siamo ben consapevoli ‘ sa di essere anzitutto, sempre e in modo insuperabile, un discepolo. Uno che segue, che non teme di sminuirsi dicendogli . Dice , obbedisce, perché è ben consapevole dell’abissale distanza tra l’Amore perfetto che chiama ed il nostro fragile amore che gli fa eco.

Non ci sorprende che, soprattutto di fronte alle circostanze presenti, sorga in noi, in particolar modo nel Vescovo, la stessa turbata domanda di Mosè nel deserto: «Che farò io per questo popolo?» (Prima Lettura). Ed è bene che sia così.

A risponderti, come fece con Mosè, è il Signore stesso: «Passa davanti al popolo’ e va’! Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà» (Prima Lettura). La fonte dell’acqua viva non siamo noi, ma come dice San Bernardo, è Gesù l’acquedotto che attraverso i divini misteri ha reso a noi comprensibile, vivibile ed immaginabile Dio stesso, impedendoci di trasformarlo in un idolo (cf Discorso De Aquaeductu 5, Opera omnia [1968] 282-283).

Il ministero del Vescovo che, per l’ordinazione sacramentale e la comunione gerarchica con il collegio episcopale presieduto dal successore di Pietro (cfr. Lumen gentium 22), stai per ricevere, non ha altro fondamento che Gesù Cristo stesso. È Lui che, oggi, alla presenza del popolo di Dio e tramite il nostro ministero, ti dice: «Passa davanti al popolo e va’!». È Lui, soprattutto, che ti assicura: «Ecco, io starò davanti a te». Con questa promessa del Signore potrai sempre stare nella pace. Infatti «la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Seconda Lettura). Per questo, con sapiente umiltà, hai scelto come motto: ‘Deus caritas est‘.

4. Eccellenza carissima, per grazia dello Spirito sei chiamato ad agire in persona Christi capitis in qualità di Vescovo, cioè nella pienezza del sacramento dell’Ordine. Attraverso il tuo ministero il Dio Uno e Trino, l’Amore perfetto, verrà incontro agli uomini e farà loro conoscere la Sua ardente sete di fede e di amore.

Prima di essere ordinato, «secondo l’antica tradizione dei santi padri, sarai «interrogato in presenza del popolo sul proposito di custodire la fede e di esercitare il ministero» (cfr. Impegni dell’eletto). Predicare con fedeltà e perseveranza il Vangelo di Cristo, custodire puro e integro il deposito della fede, edificare il Corpo di Cristo perseverando nell’unità con tutto il Collegio episcopale sotto l’autorità del Papa, prendersi cura del popolo santo di Dio e guidarlo sulla via della salvezza, essere sempre accogliente e misericordioso verso i poveri e tutti i bisognosi, andare in cerca delle pecore smarrite, pregare senza mai stancarsi per il popolo santo, esercitare il ministero del sommo sacerdozio’, ma questa dettagliata descrizione della missione del Vescovo che il Rito dell’Ordinazione prevede si aprirà con un’affermazione il cui peso che non deve sfuggire a te, a me e a ciascuno di noi: «Vuoi fratello carissimo adempiere fino alla morte il ministero a noi affidato dagli Apostoli che ora noi trasmettiamo a te

L’accettazione di un simile compito, quello del ministero episcopale, sarebbe un fardello troppo gravoso per un uomo se non fosse accompagnata dalla persuasiva promessa della grazia alla libertà: «Vuoi fratello carissimo’»  «Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio». Con l’aiuto di Dio, il tuo non poggia più sulle sabbie mobili della umana fragile fedeltà, ma su quella di Gesù Cristo, il Testimone fedele, Colui che mai viene meno. Ti è chiesto di ridire umilmente il tuo a Cristo dall’interno di ogni circostanza e di ogni rapporto, perché il Dio vivo è amore (Deus caritas est).

5. Carissimi figlie e figli del Patriarcato, l’ordinazione episcopale di Monsignor Beniamino ed il suo ministero in qualità di Vescovo Ausiliare di Venezia chiede molto anche a ciascuno di noi. È un’occasione privilegiata. Questo dono, infatti, ci aiuta a penetrare più da vicino il mistero della nostra Chiesa, del nostro popolo in cammino. Impegnati nella Visita Pastorale avvertiamo ogni giorno di più la necessità di una rigenerazione sacramentale di noi tutti, compiuta alla luce della Parola di Dio attraverso l’educazione al pensiero di Cristo, alla gratuità e a vivere le dimensioni del mondo.

L’odierna solenne Eucaristia, in cui, come perla preziosa, è incastonata l’ordinazione episcopale del Vescovo ausiliare, mette in evidenza il fattore primo di questa rigenerazione. È l’unità della nostra Chiesa, condizione necessaria di benefica pluriformità. E questa unità è garantita dalla radice apostolica e quindi episcopale del popolo cristiano. Noi siamo il popolo che è nato, attraverso una catena ininterrotta di testimoni, dalla volontà di Gesù che volle scegliere quei Dodici per assicurare la Sua presenza sacramentale lungo la storia. Per questo quando gli verrà consegnato l’anello, il nuovo Vescovo riceverà dal Patriarca questo monito: «Custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo» (Consegna dell’anello).

Lo Spirito Santo, attraverso il ministero sacramentale dei Vescovi, successori degli apostoli, garantisce ad ogni battezzato la filiazione divina e l’appartenenza al Corpo di Cristo. In questo modo ogni fedele, di qualsiasi età e stato di vita, è chiamato in prima persona a collaborare al rapporto di amore che Dio vuol stabilire con tutti gli uomini. La Chiesa infatti non esiste per se stessa, ma per lasciar trasparire sul suo volto la misericordia liberante del Figlio di Dio morto e risorto per la salvezza di tutti.

Carissima Eccellenza, il tuo ministero episcopale deve essere al servizio dell’unità bella di questa Chiesa. Tu sei figlio di questa benedetta terra veneziana e cercherai pertanto di esercitare il tuo ministero avendo cura di incarnarlo nelle condizioni geografiche, storiche e culturali del nostro Patriarcato. È un complesso e ricco mosaico di zone geografiche con caratteristiche peculiari assai marcate la cui unità dinamica richiede un’attenzione continua e paziente, compito precipuo del Vescovo. Venezia lagunare, Mestre e Marghera, il Litorale che da Cavallino-Treporti giunge, attraverso Eraclea e Jesolo, fino a Caorle, e la Riviera del Brenta che ruota intorno a Mira, presentano tratti distintivi talmente diversi tra loro da richiedere interventi articolati e stabili tesi a rendere da una parte più esplicita e concreta l’unica comunione ecclesiale e dall’altra a promuovere un impegno qualificato e specifico, soprattutto da parte dei fedeli laici, nell’edificazione di una vita buona all’interno dell’odierna società plurale. In tal modo, dall’esercizio del tuo ben preciso compito episcopale, riceverà beneficio anche la società civile del nostro Patriarcato, come già testimonia la nutrita presenza delle Autorità questa sera.

6. Con l’Orazione di Colletta di questa Terza Domenica di Quaresima abbiamo pregato: «O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore; concedi al Tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del Tuo amore».

Eccellenza carissima, quali altre parole meglio di queste possono esprimere i sentimenti che ora abbiamo nel cuore? Come dirti altrimenti il nostro augurio?

Noi sappiamo bene che Cristo, l’acqua viva, ha voluto fare del grembo purissimo di Maria Santissima la Sua fonte. Così lo ricordano alcune venerabili immagini della Vergine con il titolo di Madonna dalle mani forate presenti in questa Basilica. Testimoniano il culto prestato a Maria in Costantinopoli sotto il titolo di Zoodochos Pegé, cioè Madonna della fonte di vita[1].

Alla Vergine dalle mani forate noi affidiamo, carissimo Beniamino, la tua nuova missione invocando su di te e su tutto il popolo cristiano la Sua materna, incessante protezione. Amen.

 


[1] A. Niero, Quelle mani forate. Quattro statue della Vergine, a Venezia, presentano il palmo delle mani forato, in «Gente Veneta» 31 (2005) n. 21, 30; Id., Esemplari costantinopolitani a Venezia della Zoodochos Pegé o Madonna dalle mani forate, in G. Trovabene (a cura di), Florilegium Artium. Scritti in memoria di Renato Polacco, Miscellanea. Collana della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia 8, Il Poligrafo, Padova 2006, 131-135.