Duomo di San Lorenzo
Festa di San Michele Arcangelo
Dan 7, 9-10.13-14; Sal 137; Apc 12, 7-12; Gv 1, 47-51.
Mestre, 29 settembre 2008
Omelia di S.E.R. Angelo Card. Scola, Patriarca di Venezia
1. ‘Nella santa città del cielo’ gli angeli non hanno nomi particolari… Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall’ufficio che esercitano. Così Michele significa: Chi è come Dio?’ (San Gregorio Magno, Omelie sui vangeli, 34, 8-9; PL 76, 1250-1251).
‘Chi è come Dio?‘. Nel nome del nostro patrono è contenuta una provocazione per l’agire dell’uomo di ogni tempo, anche per noi quindi. Potremmo parlare di una provocazione rivolta all’uomo perché sia se stesso. È proprio ovvio per l’uomo essere se stesso? ‘Io, sono io?‘ Basti pensare alle tragedie provocate dalle violente utopie del secolo scorso, ma anche alle guerre di oggi e alla fame che attanaglia molta parte dell’umanità, o al martirio cui sono esposti non pochi cristiani.
Ma il nome di San Michele – Chi è come Dio? ‘ è quello di un patrono, cioè di uno che aiuta l’uomo ad essere se stesso in modo giusto. Anche gli Arcangeli sono Angeli custodi. La nostra festa quindi apre una sfida positiva sul nostro tempo, quella che il Santo Padre nel suo recente discorso al Collège des Bernardins di Parigi esprimeva così: «Per molti Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto’ ma anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum ‘ cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati». (Benedetto XVI, 12 settembre 2008). «Uno sconosciuto è mio amico./ Per Lui il mio cuore è pieno di nostalgia/ Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?» (Pär Lagerkvist).
2. Nella visione del profeta Daniele è descritto il giudizio di Dio sul mondo. E qui gli angeli svolgono un compito prezioso, quello dei testimoni. Il vegliardo, l’Eterno, è appunto attorniato da schiere di angeli, che attestano la veridicità del giudizio di Dio. Anzitutto attestano l’origine di questa giustizia. La giustizia è la fede nel Figlio dell’uomo. A Dio viene presentato un figlio d’uomo, [ che proviene dalla sfera celeste, cioè dalla dimora di Dio. Ormai il Messia, superata la condizione umana a cui era stato sempre legato dalla precedenti interpretazioni vetero-testamentarie appartiene alla sfera stessa di Dio ]. Da Dio egli riceve «potere, gloria, regno» (Dn 7,14), un «potere eterno, che non tramonta mai» ed universale, per cui «tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano» (ibidem). Nella confessione di Natanaele, riportata dal Vangelo di Giovanni, è pienamente illuminata l’identità del Vincitore cui fa riferimento la profezia di Daniele: «Rabbì, tu sei il Figlio dell’uomo, tu sei il re d’Israele!» (Gv 1,49).
E lo conferma il brano dell’Apocalisse: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo» (Ap 12,10): nel mistero della incarnazione, passione, morte e resurrezione del Figlio di Dio la storia, ambito privilegiato del manifestarsi dell’eterno nel tempo, è diventata il luogo della salvezza. Dio onnipotente si svela nell’impotenza del Crocifisso risorto.
3. Gesù risponde alla professione di Natanaele: «In verità in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51).
Gesù parla di un movimento di salita e discesa degli angeli. Il testo richiama la scala di Giacobbe. Giacobbe, che lottò con l”angelo del Signore’. L’angelo non riuscì a sopraffare Giacobbe, tuttavia all’alba, quando termina la lotta, gli mostra la sua superiorità col semplice toccargli l’anca che lo segnerà per sempre. Commenta il grande Guardini: «Qui si mostra’ ‘debolezza’ di Dio. Egli è debole nello spazio della storia, perché ha voluto che l’uomo sia libero’Se dovevano esserci libertà e storia, Dio doveva essere misteriosamente debole nel loro ambito e finché la prova fosse durata. Una volta che il tempo sarà passato e sarà presente l’eternità’ allora Egli sarà di nuovo ‘forte’, tutto in tutto’ Questa ‘debolezza’ [di Dio ] ha trovato il suo adempimento pieno, quando Dio si fece uomo e gli uomini poterono fare con lui quello che fecero’» (G. Guardini, L’Angelo, Brescia 1994, Morcelliana, 17-18). Il potere del bene viene dall’abbassamento di Dio nel Crocifisso Risorto. Vi può essere una compagnia più intensa di questa?
4. «Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra» (Ap 12, 8-9). Con le tinte forti della visione apocalittica l’apostolo Giovanni dipinge l’eterna lotta tra il bene e il male. Una lotta ben nota, in un certo senso familiare, a ciascuno di noi come all’uomo di tutti i tempi. Il bene non è un principio astratto. Ultimamente ha un nome e un volto, quello di Gesù, il Vincitore, Colui che ci ha riscattato con il prezzo del suo sangue. Da quel momento noi non dobbiamo più temere nulla – «Chi accuserà gli eletti di Dio?» (Rm 8, 33)- scrive San Paolo – e, come ancora ci suggerisce l’Apostolo, possiamo sperare di compiere, mediante l’offerta della nostra vita (martirio), ciò che manca ai patimenti di Cristo.
A documento della potenza del bene che ha nell’arcangelo San Michele l’araldo, Mestre ha voluto dedicare una Mostra di alto livello, accompagnata da un’importante sequenza di attività collaterali. Noi tutti ci auguriamo che essa sia visitata da un pubblico internazionale. Vediamo in questa iniziativa, che coniuga con intelligente sapienza la dimensione religiosa e quella civile della Festa del Santo patrono, un segno assai positivo per il futuro dell’arcipelago Venezia.
Quasi ogni giorno Venezia si impone all’attenzione del mondo. I motivi di tanta attualità ci sono più che noti, quello che importa rilevare è la necessità, per noi veneziani di terra e di mare, di lavorare alacremente per la nuova fisionomia che la città domanda. Sappiamo tutti assai bene che essa non potrà nascere ignorando la storia e nello stesso tempo affiora da più parti stanchezza e giusta reazione contro l’uso strumentale di questa storia. La sua forza non sta certo nel continuo ricorso ad una memoria paludata che più o meno surrettiziamente abbia come scopo di impedire l’innesto del nuovo sull’antico magari per difendere interessi di parte.
La tradizione è un’esperienza vitale che sa far spazio al nuovo riformulando l’antico.
Le comunità cristiane di Mestre, come è ben emerso dalla Visita Pastorale, stanno prendendo coscienza della loro vocazione in proposito. A partire dal doppio compito della parrocchia di San Lorenzo – che mentre si adopera per dare vita ad un ben identificabile soggetto comunitario, è ben consapevole di parlare, attraverso la centralità del suo Duomo, a tutta Venezia – le parrocchie, le associazioni, i movimenti e i gruppi, nonché le non poche istituzioni caritative, culturali, educative sanno di dover tendere ad una articolata unità, con chiarezza circa la loro vocazione specifica. Quella di mostrare la bellezza della sequela di Cristo per offrire una proposta di vita piena all’uomo di oggi, fanno risuonare l’invito di Gesù: «Vieni e vedi» (Gv 1,39). Dal Battesimo fino al delicato momento dell’incontro col Padre, la comunità cristiana, fatta da uomini e donne ‘presi a servizio’ da Cristo per il Regno di Dio, rinnova la sua totale disponibilità al ‘Quaerere Deum» (cercare Dio) di cui ognuno di noi ha bisogno ogni giorno più del pane. Per questo la Chiesa non cesserà di individuare, nella nostra società plurale, soprattutto attraverso i fedeli laici, tutte le modalità concesse per partecipare all’edificazione di quella vita buona e di quel buon governo cui il Magistero sociale della Chiesa non si stanca di richiamarci.
Rinnoviamo pertanto questa sera, come cristiani e come cittadini, la nostra stima verso ogni autorità costituita. Stima che cerca di mettere sempre prima la proposta della eventuale, necessaria e prudente critica, che in ogni caso si vuole costruttiva.
L’arcipelago Venezia come del resto tutto il paese non ha bisogno di contese, di corse per attribuirsi meriti, di dialettiche esasperate tra le parti. Senza nasconderci le turbolenze del momento presente il nostro popolo chiede di poter vivere per quanto possibile una pace alacre tesa alla cura di ogni persona a cominciare da chi è debole ed indifeso. In quest’ottica mi permetto un inciso. Invito tutte le parti interessate a monitorare attentamente la ‘questione Marghera’ prestando speciale cura al primato, continuamente ribadito dagli insegnamenti della Chiesa, del soggetto del lavoro su ogni altra pur necessaria sua dimensione. In questo contesto sono certo che nessuno resterà insensibile al grido dei lavoratori della SIRMA.
5. Affidiamo le nostre persone all’Arcangelo che lotta per il trionfo del bene, affidiamole ai nostri angeli custodi nella certezza che, come scrive Sant’Agostino: «Gli spiriti immortali e beati amano con grande misericordia noi, mortali e miseri, desiderando che diventiamo beati e immortali». Amen