Omelia nella messa per i Giubilei sacerdotali (Venezia, 5 giugno 2008)
05-06-2008

Giornata dei Giubilei 2008

 

Madonna della Salute, 5 giugno 2008

 

 

Ci siamo raccolti anche quest’anno, insieme al nostro Patriarca, davanti all’icona della Madonna della Salute, per ringraziare il Signore alla fine dell’anno pastorale e per celebrare i nostri giubilei sacerdotali.

 

E’ un momento bello di comunione e di fraternità, certamente abitato dallo Spirito di Gesù e benedetto dalla presenza materna di Maria. Il presbiterio è una famiglia che non ci siamo scelti noi, ma che ci ha dato il Signore nel giorno della nostra ordinazione: accoglierci reciprocamente nella concelebrazione dell’Eucaristia è l’espressione più alta della nostra comunione nella fede e nella carità.

 

 

Sostiamo brevemente nella luce della Parola di Dio, in particolare sul testo paolino. Esso è tratto dalla seconda lettera a Timoteo, il discepolo che Paolo aveva lasciato a Efeso come capo della comunità: una lettera che potrebbe essere chiamata il testamento dell’apostolo.

 

Paolo è in prigione in attesa dell’ultimo processo, con il vivo presentimento della morte ormai vicina. Nonostante questa situazione egli incoraggia il giovane discepolo. II suo coraggio è fondato sul fatto che, pur essendo lui in catene, la parola di Dio non è incatenata, anzi, proprio per queste circostanze avverse essa continua a correre portando salvezza.

 

Questo mi richiama quanto l’apostolo scriveva nella lettera ai Filippesi. Anche in quella circostanza Paolo era in prigione e si esprimeva così: ‘Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del Vangelo, al punto che in tutto il pretorio si sa che sono in catene per Cristo; il tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno. Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa,ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del Vangelo; quelli invece predicano Cristo per spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purcin ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. ‘ (Fil 1,12-18).

 

Dove sta la sorgente di tanta forza?

 

La sorgente della serenità dell’apostolo e della sua perseveranza nella prova sta nella certezza dell’evangelo della risurrezione da lui proclamato. ‘Tu dunque, figlio mio’ricordati che Gesù Cristo è stato risuscitato dai morti’.

 

La persona di Gesù, morto e risorto, è ‘il cuore’ della vita e della missione di Paolo. Il Crocifisso, risuscitato dalla potenza del Padre, è il suo vivente riferimento. Paolo lo ha incontrato sulla via di Damasco: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?… Chi sei tu, o Signore?..Io sono Gesù che tu perseguiti‘.

 

Quell’esperienza diventa il ‘fulcro’ della sua vita e la sorgente inesauribile della sua fiducia e del suo coraggio.

 

Egli sa che la potenza del Padre, che ha risuscitato Gesù dai morti, è capace di sconfiggere ogni ostacolo. La sua sicurezza sta nel fatto che, nonostante sia incatenato come un malfattore qualunque, la Parola di salvezza da lui annunziata non si ferma, ma anche attraverso le asprezze della sua situazione, continua a correre e a tracciare strade di salvezza sempre nuove.

 

Gesù di Nazaret, il Risorto, è il tu, vivo e reale, per il quale Paolo soffre e lotta.

 

 

Certo, nel testo che stiamo meditando, Paolo non è più ‘il leone ruggente’ delle grandi lettere: ormai è vecchio e sofferente; ma la sua passione per Cristo è sempre bruciante e la sua fede sicura.

 

Scrive: ‘Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede..’.

 

Quante volte, nelle sue difficoltà e solitudini, avrebbe potuto mettere in questione proprio la sua fede nella persona di Gesù: ‘Ma se sei stato proprio tu a chiamarmi, perché ora mi lasci solo? Non hai tu vinto la morte: perché mi lasci soccombere, io che lavoro per te? Tu sei figlio di Davide, perciò sei ‘carne’ come lo sono io: sai cosa significa la fatica; tu sai  come a un certo punto si possa pensare di non poterne più..Gesù, tu che mi hai chiamato, mi lasci solo?’. Quante volte avrebbe potuto pensare così, e invece no e proclama la sua fede: ‘Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno”. E aggiunge poi: ‘Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato… Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno: a lui la gloria nei secoli dei secoli . Amen’ (2  Tim 4,6-19).

 

E’ bello contemplare questo vecchio missionario, prossimo alla morte – e lui lo sa – che avrebbe tanti motivi per essere deluso e scoraggiato, e invece vibra ancora di amore appassionato per quel Gesù che un giorno lontano gli è apparso, gli ha trafitto il cuore e cambiata la vita per sempre.

 

Per Paolo la sua fede cristiana non era primariamente una dottrina, anche la più nobile e alta ‘ anche se noi possiamo elaborare una dottrina paolina – ma l’incontro con una persona: l’adorabile persona di Gesù di Nazaret, che gli ha cambiato la vita, gratuitamente, per puro amore: ‘Mi ha amato e ha dato se stesso per me’ Io so a chi ho creduto’.

 

Questo è il tesoro nascosto, la perla preziosa della sua vita.

 

 

Confratelli, tale incontro è anche il dono supremo che il Padre ha consegnato a noi nel battesimo e, in modo unico e singolare, nell’ordinazione presbiterale: un tesoro vivo, da custodire non come un deposito inerte, ma come un ‘Tu’ vivo, che è davanti a noi, ma anche in noi e che in ogni momento ci interpella.

 

 

A questo punto non posso non pensare all’Eucaristia che ogni giorno viene messa nelle nostre mani: essa è presenza reale del Risorto. E’ il più grande dono che Dio Padre potesse farci. Dandoci il Figlio, Dio ci dà tutto. Non può darci di più.

 

L’Eucaristia però è una sfida, la sfida della fede; è lo spartiacque decisivo della nostra vita di preti e della qualità del nostro rapporto con Dio. ‘In cruce latebat sola deitas, at hic latet simul et humanitas..Fac me tibi semper magis credere..’.

 

Proprio in riferimento all’Eucaristia i nostri Giubilei sono qualche cosa di grande, per cui tutta la nostra Chiesa deve ringraziare il Signore.

Il rischio è l’abitudine. Neanche la stanchezza che, nella nudità della fede, può realizzare il momento dell’amore più grande. E’ l’abitudine il vero rischio, che fa della celebrazione eucaristica un rito, mentre è fuoco che brucia.

 

 

Celebrare i nostri Giubilei e contare gli anni del nostro sacerdozio ministeriale, è confrontarci con questo grande dono di Dio fatto alla nostra persona, sentendo che la Chiesa ha bisogno della nostra fede, perché il mondo ha bisogno della nostra Eucaristia. L’Eucaristia protegge la Chiesa, protegge il mondo.

 

 

Vorrei chiudere con un pensiero breve e solo allusivo al Vangelo. Dice Gesù: ‘Il primo comandamento è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questo’.

 

‘Amerai’ è l’espressione più riassuntiva ed esaustiva dell’intera vita di Paolo: egli ha amato con tutte le sue forze quel Dio che gli ha rivelato Gesù, ha amato follemente il Risorto che gli è apparso per grazia sulla via di Damasco e, per amore suo, si è letteralmente bruciato nel dono di sé ai fratelli, per annunziare loro il vangelo.

 

San Paolo ha amato che più di così non si poteva: per questo è un uomo riuscito, un uomo ‘in piedi’ anche di fronte alla morte, come abbiamo sentito nella lettera-testamento. Un uomo che ha esperimentato una tale pienezza di vita in quello che faceva, da dire: ‘Guai a me se non predicassi il vangelo. Tutto io faccio per il vangelo‘ (cfr 1 Cor 9,16.23). e così ha potuto scrivere: ‘Per me vivere è Cristo e morire un guadagno’ (Fil 1,21).