Omelia nella Messa "in Coena Domini" (Venezia, 20 marzo 2008)
20-03-2008

Basilica Patriarcale di San Marco Ev.

 

Messa in Coena Domini

 

Es 12,1-8.11-14; dal Salmo 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

 

 

Venezia, 20 marzo 2008

 

Omelia del Patriarca S. E. R. Angelo Card. Scola

 

1. La solenne azione liturgica cui stiamo partecipando ci introduce nei tre giorni centrali dell’intera storia umana perché attua «una misteriosa contemporaneità tra quel» Triduo originario vissuto da Gesù e «lo scorrere dei secoli» (cf Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia, 5).

Il protagonista è Gesù. Intorno a Lui, che occupa il centro della scena, i Suoi, raccolti alla mensa pasquale, prendono parte all’azione. Come noi ora. Al centro il Gesù eucaristico, intorno a Lui noi tutti, suoi commensali. Gesù, nel mistero eucaristico del suo Corpo donato e del suo Sangue versato per noi, rivela e insegna agli uomini il volto profondo e definitivo dell’amore: «avendo amato i suoi, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Quel fino alla fine non significa solo fino alla fine dei tempi, ma vuol soprattutto dire sino al grado sommo ed insuperabile della capacità di amare: fino a morire ‘ a dare la vita – per noi.

«Li amò sino alla fine» è la risposta anticipata, gratuita, la sola vera alle domande ultime che fioriscono dal profondo dell’esistente umano e storico. Esse irrompono dagli incalzanti avvenimenti del Santo Triduo pasquale ove è questione di morte e di vita, di dolore e di gioia, di odio e di amore.

2. «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto» (Es 12,5-6). Se nell’Antica Alleanza era l’uomo ad offrire il proprio sacrificio a Dio, nella Nuova e definitiva Alleanza è Dio stesso che, nell’Unigenito, si fa Agnello immolato in sacrificio per l’uomo. Gesù è simultaneamente sacerdote, vittima ed altare. Mysterium fidei! Evento inaudito, inconcepibile: il Figlio di Dio si dona a noi suoi uccisori. Il Suo corpo immolato e il Suo sangue versato diventano per noi cibo e bevanda di vita eterna. E non solo: Egli giunge fino all’inconcepibile offerta di mettere questo Suo singolare sacrificio in potere di coloro a cui si è donato. Afferma: «Fate questo» (1Cor 11,24), e non semplicemente ‘ricevete questo‘.

3. «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24b): la memoria cristiana non è mero ricordo, sguardo ad un fatto del passato perché non venga cancellato dal nostro cuore. [«Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14)], ma l’Eucaristia ha la capacità di rendere realmente presente l’evento salvifico nel qui e ora della storia.

L’Eucaristia è memoria oggettiva ed efficace che diventa la norma dell’esistenza cristiana. A tal punto che i cristiani altro non sono se non coloro che vivono facendo memoria del Signore.

Ma riconoscere chi è Lui significa conoscere sempre meglio chi siamo noi: redenti, salvati, liberati. Contro la smemoratezza sempre incombente in noi e nel nostro tempo che, cancellando chi siamo e dove andiamo, ci abbandona alla nostra condizione di europei sazi e disperati.

«Fate questo» descrive una immedesimazione progressiva e continua con Gesù, con il Suo modo di pensare, di agire e di amare, di vivere e di morire. Come ci ha ricordato il Papa: «Cristo è morto per tutti. Vivere per Lui significa lasciarci coinvolgere nel suo ‘essere per’» (Benedetto XVI, Spe salvi 28).

4. La lavanda dei piedi è l’estremo gesto di insegnamento che Gesù lascia ai suoi: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13, 15). Ancora una volta assistiamo al paradosso dell’amore: il più grande si umilia fino a servire il più piccolo. Pietro lo sente come inaccettabile: «Non mi laverai mai i piedi!» (Gv 13,8). Ma proprio questa ‘realtà rovesciata’ è la più diritta. Dobbiamo umilmente accogliere: quanto è drammatico lasciarsi amare..! Eppure questa sera impariamo a lasciar operare l’amore di Gesù in noi per imparare qualche cosa del vero amore.

5. «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!» (Es 12,11). Il passaggio pasquale «è la festa della grande emigrazione» scrive Filone Alessandrino, uno dei più antichi ed autorevoli studiosi della Bibbia. Il cristiano è un camminatore instancabile perché è disposto alla conversione. Ed è disposto al cambiamento di sé perché certo della meta. Il cristiano è un uomo di speranza.

Gesù, infatti, passando «da questo mondo al Padre» (Gv 13,1) ci trascina nel dinamismo della Sua risurrezione.

6. «Tantum ergo sacramentum veneremur cernui;/ et antiquum documentum novo cedat ritui;/ praestet fides supplementum sensuum defectui» canteremo fra poco adorando l’agnello immolato per la nostra salvezza [Adoriamo, dunque, prostrati, un sì grande sacramento; l’antica legge ceda alla nuova e la fede supplisca al difetto dei sensi].

Chiediamo alla Vergine un po’ della sua fede per poter stare davanti al Mistero di dolore e di amore che salva la nostra vita. Amen