Omelia nella Messa del Crisma (Venezia, 20 marzo 2008)
20-03-2008

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EV.

 

MESSA DEL CRISMA

 

Is 61, 1-3.6.8-9; Sa/88; Ap 1,5-8; Lc 4, 16-21

 

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

 

Venezia, 20 marzo 2008

 

 

Eminenza,

 

Eccellenza,

 

Cari fratelli nel sacerdozio,

 

Religiose e religiosi,

 

Diaconi, accoliti e lettori,

 

Amatissimi figli,

 

 

1. «Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato»: L’Oggi cui fa riferimento Gesù nella sinagoga di Nazaret, dove era cresciuto e dove quindi era ben conosciuto, riecheggia efficacemente lungo i secoli nell’Hodie eucaristico che la Chiesa Santa non cessa di celebrare giorno dopo giorno per la salvezza degli uomini.

 

La salvezza, perennemente offerta al presente degli uomini – «oggi» – ci ha raggiunti storicamente il giorno del nostro Battesimo, del quale ognuno di noi è diventato cosciente nel preciso momento, che ogni cristiano serio deve individuare nella propria vita, del suo personale incontro con Cristo. Ciascuno di noi può affermare con assoluta certezza di aver gustato, in quel momento, in prima persona, come diremo tra poco benedicendo gli oli, «la gioia di rinascere e vivere nella Chiesa».

 

Tra i frutti del rinnovamento liturgico provvidenzialmente promosso dal Concilio Vaticano II, la celebrazione della Messa del Crisma si può considerare uno dei più importanti. In essa brilla in modo particolarmente efficace la natura e la missione delle Chiese particolari. Si vede che  «in esse e a partire da esse, formate ad immagine della Chiesa universale, esiste la Chiesa cattolica una e unica» (cfr. Lumen gentium 23).

 

La vostra nutrita presenza ne è preziosa conferma.

 

 

2. L’odierna Eucaristia diventa in tal modo un frutto sovrabbondante dell’incarnazione del Figlio di Dio, espressione del Suo permanente e personale compromettersi con la vita concreta dei suoi seguaci. Per questo la presente, singolare celebrazione liturgica per la benedizione degli oli, è un’azione in cui noi che vi prendiamo parte siamo afferrati, a partire da precise circostanze storiche, dalla potenza sacramentale di Cristo. In questo modo Egli fa di noi, qui ed ora, un solo corpo ed un solo spirito, un’offerta viva gradita al Padre.

 

In questa logica sacramentale vorrei leggere con voi due circostanze speciali di cui il Padre ha fatto dono alla nostra Chiesa particolare.

 

 

3. La prima è la Visita Pastorale. Consentitemi, ancora una volta, di spendere qualche parola su questo gesto di cura pastorale che vede la nostra comunità ecclesiale decisamente impegnata ormai da qualche anno. Occorre, infatti, combattere la tentazione di ridurre la Visita Pastorale ad un evento più o meno straordinario, i cui frutti siano lasciati al caso e quindi destinati a spegnersi rapidamente.

 

La scelta operata fin dall’inizio, con la raccolta delle testimonianze e l’Assemblea ecclesiale, è stata quella di concentrare la nostra attenzione sui fattori fondamentali della vita di una comunità cristiana. Infatti, le quattro finalità della Visita Pastorale, che si ispirano al celebre passaggio di Atti 2, 42 ‘ rigenerare il popolo cristiano, educarsi al pensiero di Cristo, al gratuito e a vivere le dimensioni del mondo ‘ non fanno che mettere a tema l’esistenza cristiana in quanto tale, così come si attua nel permanente nascere e vivere di ogni comunità ecclesiale.

 

Con la Visita Pastorale non ci preme anzitutto rispondere ad urgenze o preoccupazioni particolari; ma ridire a tutti, partendo il più possibile dalla situazione concreta di ciascuno, le coordinate essenziali del nostro essere cristiani per gustare la gioia che la Chiesa rinasca, come diceva Romano Guardini, dalle anime. Che essa viva oggi nelle nostre persone.

 

Abbiamo chiesto ad ogni parrocchia ed aggregazione di raccontare al Patriarca e ai suoi collaboratori come queste quattro finalità vengono vissute, nel tessuto quotidiano dell’esistenza, dai cristiani della comunità. Uomini e donne di ogni generazione che amano, lavorano e si riposano, che, in una parola, condividono con tutti gli uomini l’avventura dell’esistenza.

 

Questo racconto testimoniale ha avuto la forma dell’incontro, la stessa che il Signore ha scelto per farsi conoscere dagli uomini: Egli è venuto in forma umana ed ha incontrato i suoi contemporanei, annunciando ai poveri e ai prigionieri la letizia della redenzione, ai ciechi il dono della vista, a tutti la grazia del perdono. Non a caso Gesù nella Sinagoga di Nazaret si è appropriato di questo programma enunciato dal profeta Isaia nella Prima Lettura. E ad ogni incontro sono seguite le indicazioni del Patriarca e dei suoi collaboratori come un aiuto concreto ad ogni comunità perché documenti a tutti, con più decisione, la sua natura di popolo cristiano mandato nel mondo.

 

Ringrazio il Signore che in ognuna delle più di 50 parrocchie dei Vicariati ormai già visitati, in svariati modi e forme, ma sempre nello stile dello scambio di comunione, la Visita Pastorale si è rivelata un’occasione privilegiata di crescita comune nella consapevolezza lieta del nostro essere la Chiesa in Venezia.

 

E ringrazio in modo del tutto particolare voi, carissimi sacerdoti, che nei vari incontri comunitari e soprattutto nel colloquio personale con me di ciascuno di voi che precede la Sosta, mi siete confortanti testimoni della gioia che sorprese Zaccheo per la gratuita iniziativa di Gesù.

 

 

4. Un’altra significativa circostanza che riceve una luce del tutto speciale dalla Messa crismale di quest’anno è il dono, che il Signore ha voluto fare alla nostra Chiesa, di un Vescovo Ausiliare. Un dono che, come sempre nella storia del rapporto tra Dio e gli uomini, implica per ciascuno di noi un compito.

 

In occasione dell’Ordinazione di S.E. Mons. Beniamino Pizziol ho avuto modo di riferirmi al significato della vocazione e della missione del Vescovo Ausiliare. Oggi vorrei con Voi riflettere brevemente su come questo dono fatto al Patriarcato debba far crescere in ciascuno di noi la coscienza della nostra comune appartenenza al presbiterio in vista del bene del popolo a noi affidato.

 

Un Vescovo è tale in forza dell’ordinazione episcopale che lo rende membro del collegio dei successori degli Apostoli. Si vede in tal modo che il principio di autorità nella Chiesa ‘ il ministero episcopale ‘ possiede, a immagine della Trinità Santa, una forma comunionale. Essa è appunto espressa dall’essenziale appartenenza del Vescovo al collegio episcopale, cum Petro et sub Petro. Per descrivere questa realtà il Concilio Vaticano II adotta una formula originale. La Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium parla di communio hierarchica (cfr. LG 21-22). Con essa vuole esprimere il fatto che la Chiesa è Ecclesia de Trinitate (LG, 1). Questa genesi comunionale dell’autorità nella Chiesa, da una parte mette al riparo il Vescovo da ogni personalismo, e dall’altra impedisce che la Chiesa si concepisca come padrona della sua propria origine (tentazione sociologica).

 

Che cosa dice a ciascuno di noi – è la domanda che mi sta più a cuore ‘ il richiamo alla communio hierarchica che il dono del Vescovo ausiliare porta con sé?

 

Anzitutto il fatto che la comunione, come forma costitutiva della vita della Chiesa, proviene esclusivamente dal dono sacramentale di Gesù Cristo. Questo la rende ad un tempo necessaria ed insuperabile. Parlando della Chiesa tutta, dal dono del Battesimo-Eucaristia e nel caso del Vescovo e dei presbiteri anche dal dono dell’Ordinazione. Il triduo pasquale, che segue la penitenza quaresimale il cui culmine è il sacramento della Riconciliazione, lo evidenzia molto bene. Così la comunione, come abbiamo ripetutamente ricordato in questi anni, ci precede e ci costituisce: non è né un optional, né una scelta virtuosa. Canteremo tra poco convinti: «Simul ergo cum in unum congregamur/ ne nos mente dividamur, caveamus./ Cessent iurgia maligna, cessent lites/ et in medio nostri sit Christus Deus».

 

In secondo luogo, questa comunione sacramentale si esprime storicamente in forme di partecipazione e corresponsabilità il cui esercizio si fonda sulla reciproca testimonianza. Dal Battesimo-Eucaristia scaturisce, per ogni cristiano, la responsabilità inderogabile della testimonianza. Essa è l’unico adeguato criterio della partecipazione e della corresponsabilità nella Chiesa. Al «testimone fedele» noi dobbiamo offrire le nostre vite, giorno dopo giorno. «A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1, 5) noi rendiamo piena testimonianza, come presbiterio e come singoli ministri ordinati, nell’esercizio concreto del nostro ministero, solo attraverso la comunione sensibilmente espressa.

 

In terzo luogo la comunione, proprio in quanto gerarchica, include in sé un principio di autorità che la garantisce nella sua origine sacramentale. Questo ha un’importante implicazione per la nostra esistenza e di conseguenza per il nostro ministero: la testimonianza vive e cresce solo all’interno di un libero e costante paragone con l’autorità. La nostra maturità sacerdotale, così come la piena maturità cristiana, ma a ben vedere anche quella di ogni uomo, si raggiunge solo quando si riconosce la con-venienza dell’autorità per la propria persona. Su questo terreno di libertà fiorisce la virtù dell’obbedienza.

 

Preghiamo oggi con forza perché questo riconoscimento caratterizzi più intensamente lo stile di reciproca fraternità, figliolanza e paternità nel nostro presbiterio. Possa il nostro popolo sempre di più godere per la nostra bella e profonda unità.

 

Il dono di un Vescovo ausiliare al nostro Patriarcato domanda quindi a ciascuno di noi uno scatto di consapevolezza e di decisione nel partecipare e testimoniare più normalmente la communio hierarchica come pratica concreta della nostra vita. Non solo quando corrisponde alle nostre attese, ma anche quando richiede rinuncia e soprattutto quando costasse ingiusta umiliazione.

 

 

5. Questa sera nelle nostre comunità celebreremo la memoria sacramentale di quell’Ultima Cena che ha dato fisionomia alla Chiesa. Lo faremo, anche portando gli oli benedetti, per accompagnare i fedeli che ci sono affidati a più matura consapevolezza che nella celebrazione eucaristica il lieto annuncio del Vangelo, Cristo stesso, ci viene incontro e ci salva. Infatti noi siamo congregati a formare la Chiesa solo perché il Signore ci viene incontro, ci salva, ci convoca ogni giorno.

 

La preghiera sugli oli si fa per noi augurio pasquale: « Signore donaci la gioia di rinascere e vivere nella Tua Chiesa». La Vergine Nicopeja, cui da secoli ci affidiamo, sarà garanzia di vittoria della fede ecclesiale in ciascuno di noi e nelle nostre comunità. Amen.