Omelia nella festa di S. Marco (25 aprile 2009)
25-04-2009
San Marco Evangelista – 25 aprile 2009
Omelia card. Marco Cè
Venerato e caro Patriarca, Eminenza, Eccellenza, Signor Sindaco e gentili Autorità, fratelli e sorelle nel Signore,
la festa del patrono San Marco ci ha raccolti ancora una volta nella nostra basilica cattedrale.
La Chiesa, in questi giorni, vive nella grazia della Pasqua. Abbiamo in cuore le parole risuonate più volte nella liturgia: ‘Sono risorto e sono ancora con voi’. Esse sono la nostra grande certezza di fede, il fondamento della nostra speranza.
Il nostro Paese oggi celebra la ‘festa della liberazione’: e noi la viviamo insieme a tutti; in questo momento, la viviamo pregando. Il Paese sta però attraversando un momento pesante di difficoltà economiche: tutti ne portiamo il carico, ma per molti la fatica è particolarmente grave.
Inoltre oggi non possiamo dimenticare i fratelli e le sorelle dell’Abruzzo, le cui ferite per il terremoto del 6 aprile sono tutte drammaticamente aperte.
I misteri pasquali ci hanno messo di fronte al Crocifisso. In lui noi abbiamo visto il volto di tutti i sofferenti coi quali lui stesso ha voluto identificarsi: ‘Hai un fratello o una sorella che soffre? Sono io che soffro in loro. E tutto quello che avrai fatto a loro, l’avrai fatto a me’.
Di queste situazione di fatica e di sofferenza non vogliamo dimenticarci in questo giorno di festa: per un cristiano, la festa non è tale se non è solidale. E’ questo il senso degli impegni di solidarietà che la Chiesa di Venezia sta generosamente assumendo.
Da parte mia, vorrei onorare il nostro Patrono, evangelista e testimone della fede fino al dono della vita, meditando ancora una volta sulla pagina evangelica che lui stesso ci propone nella liturgia di oggi: ricuperandone però il contesto; solo così essa esprime la pienezza del suo messaggio.
Leggendo i Vangeli si vede che la risurrezione di Gesù di Nazaret, il crocifisso, esulava totalmente dalle aspettative delle stesse persone che gli erano state più vicine, se si eccettua sua Madre. E questo nonostante il fatto che Gesù, quando parlava delle sua morte violenta a Gerusalemme, avesse sempre aggiunto: ‘Ma il terzo giorno io risorgerò’. I discepoli non capivano il senso di quelle parole.
Un giorno, scendendo dal monte della Trasfigurazione, Gesù raccomandò ai tre discepoli che erano stati con lui, di non parlare a nessuno di quanto avevano visto ‘se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti’. Ed essi lo ascoltarono, ma si chiedevano ‘cosa volesse dire risorgere dai morti’ (Mc 9,9-10).
Quando poi gli eventi precipitarono e Gesù fu preso, processato e giustiziato sulla croce, la loro fede in lui crollò e, con la fede in Gesù, crollarono tutte le loro speranze messianiche.
Questo modo di pensare appare evidente nei due che, il primo giorno dopo il sabato, abbandonavano Gerusalemme, amareggiati e delusi per quanto era successo al loro Maestro: ‘Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”
Persino le donne, che erano salite con lui dalla Galilea, che gli volevano bene e l’avevano sentito parlare della sua morte e della sua risurrezione, trovatesi di fronte al sepolcro vuoto e alle parole dell’angelo che annunziava la sua risurrezione ‘ l’abbiamo appena ascoltato –  si sono spaventate e sono fuggite via impaurite: tanto era estranea per loro l’idea che potesse risorgere.
Gli Undici poi, nel susseguirsi confuso degli avvenimenti di quel primo giorno dopo il sabato e delle voci di chi affermava d’averlo visto, non riuscivano a capacitarsi e a credere.
Finché, annota il nostro San Marco, Gesù apparve proprio a loro, mentre erano a tavola, e presumibilmente sedette e mangiò con loro: allora ‘li rimproverò per la loro incredulità e la loro durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che l’avevano visto risorto’.
E’ bello contemplare il Risorto di nuovo seduto in mezzo ai suoi: poveri uomini, deboli e feriti, ed ora, di fronte a lui, imbarazzati e confusi.
Nella sua passione lo avevano lasciato solo, ed ora che era risorto, come tante volte aveva loro predetto, non credevano a chi l’aveva visto, tanto era radicata in loro la concezione d’un Messia mondano, di potere, che non poteva finire in croce, com’era finito Gesù.
Ma Lui, il Crocifisso risorto, li è venuti a cercare e, ora, siede a mensa con loro, come si fa con gli amici.
E mentre ci aspetteremmo una resa dei conti, il Risorto, dopo averli rimproverati per la loro mancanza di fede ‘ che cosa poteva fare per guadagnare la loro fede che non ha fatto? ‘ lui, non solo non li rifiuta, ma li rende partecipi della stessa missione da lui ricevuta dal Padre e li manda in tutto il mondo a portare a compimento la sua opera, proclamando la lieta notizia della salvezza. Dice infatti proprio a loro: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura’.
Nell’ultima cena Gesù s’era piegato a lavare i piedi ai suoi apostoli, suscitando l’incomprensione scandalizzata di Pietro; ora, Risorto, si piega su di loro e lava la loro debolezza. Così gli apostoli, amati e perdonati, rivestiti loro stessi di misericordia, sono mandati a testimoniare al mondo l’unica verità che salva: la misericordia del Padre, il quale ha talmente amato il mondo da dare il suo unico Figlio.
A questo punto non possiamo non ricordare l’identico comportamento di Gesù nei confronti dell’apostolo Pietro. Questi, dopo aver giurato più volte che mai e poi mai lo avrebbe tradito, nel cortile del palazzo del sommo sacerdote, per tre volte rinnega Gesù: ‘Io, quell’uomo non so chi sia. Non l’ho mai conosciuto’. Fino a quando, incrociando lo sguardo penetrante e sofferto di Gesù, si rende conto di quello che ha fatto e fugge via piangendo.
Ma al primo incontro a tu per tu col Risorto, lungo le rive del lago di Tiberiade, dopo una pesca miracolosa, accade qualcosa di commovente. Lo racconta l’evangelista Giovanni: Gesù prende Pietro in disparte. Noi ci aspetteremmo parole, quanto meno, di spiegazione. E invece: ‘Pietro, mi ami tu…Mi vuoi proprio bene?…Pasci i miei agnelli, pascola le mie pecore’ (Gv 21,15-17).
Anche ora, come nell’apparizione agli Undici, il comportamento del Risorto nei confronti d’un discepolo che l’ha rinnegato, è la misericordia.
Così gli apostoli, il germe da cui si svilupperà la Chiesa lungo i secoli, misericordiosamente amati e perdonati, ricevono la missione di annunziare a tutti la lieta notizia che l’amore misericordioso del Padre chiama tutti a salvezza nel dono del Figlio crocifisso.
La Chiesa nasce così, per grazia, come prolungamento del mistero della divina misericordia rivelatosi in Gesù: essa vive della sua stessa vita, come il ramo vive della vita della pianta.
Dopo la missione ricevuta dal Risorto, gli Undici partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme col loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano: la Chiesa (cioè tutti noi), corpo del Risorto, agisce in nome e per conto del suo Capo: rivestita di misericordia, deve testimoniare a tutti l’amore misericordioso con cui è stata salvata.
Grandezza e umiltà della Chiesa: corpo nel quale e mediante il quale il Risorto agisce; non cessando mai, però, di essere uno strumento povero, una libertà salvata per grazia, che porta pur sempre i segni delle sue ferite. Ferite gloriose, se volete, perché rivestite della misericordia di Dio: ma ciò per pura grazia!
Tutto questo il Padre ha voluto perché la Chiesa fosse nel segno dell’amore misericordioso: amati mentre eravamo ancora peccatori e salvati per grazia.
Di questo amore misericordioso noi credenti dobbiamo essere i testimoni nella storia: narrando le parole della Verità su Dio e sull’uomo, non disgiungendole da coerenti comportamenti di vita.
Mai, forse, come oggi, in un mondo che va smarrendo la verità della presenza di Dio nella storia, mentre la fatica e la sofferenza del vivere continuano a bussare alla nostra porta, c’è bisogno, da parte di noi credenti, d’una umile e forte testimonianza di quell’amore misericordioso – che si fa partecipe, accogliente e solidale – che un giorno gratuitamente ci ha raggiunti e ci ha presi in braccio.
‘Andate’, dice il Risorto a noi, come l’ha detto agli apostoli dopo averli perdonati. ‘Andate’ nella storia degli uomini e siate testimoni della Verità del Vangelo e di quell’ amore che si piega solidale sulle ferite e sulle sofferenze del fratello per fargli sentire il calore dell’abbraccio del Padre, proprio come faceva Gesù che ‘passava beneficando e guarendo’.
Il volto di Cristo a San Francesco si è rivelato nel momento in cui ha abbracciato il lebbroso: crediamo anche noi che in ogni incontro misericordioso con un fratello che è nel bisogno, il Crocifisso risorto ci mostra il suo vero volto. E nel volto del Crocifisso risorto vedremo rifulgere il volto del Padre, che è amore misericordioso.