Omelia nella Domenica delle Palme (Venezia, 16 marzo 2008)
16-03-2008

Basilica Patriarcale di San Marco Ev.

 

 

Domenica delle Palme

 

 

Processione da Santa Maria Formosa alla Basilica e Santa Messa

 

Processione: Mt 21, 1-11

Liturgia S. Messa: Is 50, 4-7; Sal 50; Fil 2, 6-11; Mt 26, 14 ‘ 27, 66

Omelia del Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola

 

Venezia, 16 marzo 2008

 

1. Una settimana di sangue e di gloria. La Domenica delle Palme è il prologo di una settimana che, come ci ha fatto dire la preghiera introduttiva alla Processione, darà «compimento al mistero della sua morte e resurrezione». Il colore rosso dei paramenti è il colore del sacrificio e dell’amore, della Passione che culmina nella morte, dell’Ultima Cena che la anticipa e rende il Risorto crocifisso perennemente vivente lungo la storia. Morte e Risurrezione sono due facce inseparabili della stessa medaglia.

Questi sono fatti, avvenimenti inscritti per sempre nel cuore della vicenda umana. L’hanno trasformata. La lettura ‘drammatica’ del Passio non è una recita, ma attraverso la fede che viene dall’ascolto siamo entrati nella verità della nostra vita. Il dramma del Nazareno è il nostro dramma. Si tratta di noi. Siamo chiamati in causa.

 

2. Mentre noi uomini fuggiamo dal dolore e dalla morte [anche i Suoi lo fecero: «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono» (Mt 26, 56)] Cristo li affronta a viso aperto [«non mi sono tirato indietro ‘ non ho sottratto la faccia» (Is 50, 5]. Egli «si offrì spontaneamente alla morte» (Preghiera eucaristica II). Dentro questa radicale, sublime differenza la nostra libertà può incontrare, per pura grazia, la Sua salvezza. Come dice la Prima Lettera di Pietro: «Dalle sue piaghe siamo stati guariti» (1Pt 2, 25).

«Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: ‘In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà’» (Mt 26, 20-21). Il dono eucaristico di Gesù ha luogo dopo la designazione del traditore – la Via Crucis è già iniziata – anche con la chiara previsione che tutti i suoi prenderanno scandalo e cadranno. Egli è pienamente consapevole della perfetta solitudine in cui dovrà attraversare tutta la passione, abbandonato dagli uomini ed avvolto dal silenzio del Padre [«Mio Dio perché mi hai abbandonato?» (Salmo 21 e Mt 27, 46)].

3. «[Gesù] si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” ‘ E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”» (Mt 26,39 e 42). La pressione della colpa dell’umanità, della nostra colpa, incomincia a mostrare il suo peso insopportabile, ma Colui che si è già tutto donato eucaristicamente deve (obbedienza) conformarsi, al posto di noi peccatori che ne siamo incapaci, alla volontà del Padre. Il Figlio dell’Uomo prega: «sia fatta la tua volontà». Questa semplice domanda salva il mondo. Questa obbedienza è la lotta suprema, l’agonìa nel senso etimologico del termine. Gesù nell’Orto degli Ulivi combatte e vince: ogni momento della passione, poi, fino alla consegna dello Spirito nelle mani del Padre, è solo lo svolgimento di questo suo gesto di obbedienza orante; Gesù aveva già vinto con la preghiera ed era stato esaudito. Il dono totale di Sé che Gesù compie nell’Orto degli Ulivi salva l’umanità.

 

4. Il figlio di Maria attua il movimento di umiliazione-esaltazione che la Vergine, parlando di sé, ci insegna nel Magnificat. Il cammino del suo abbassamento (umiliazione, kénosi) percorso volontariamente da Cristo, procede per contrasti (natura divina/condizione di servo; essere come Dio/somiglianza con gli uomini) fino alla morte, e «alla morte di croce» (Fil 2, 8). Il peggiore patibolo, il massimo dell’ignominia per la mentalità greca e romana, oggetto di maledizione per quella ebraica. Anche noi che da duemila anni giustamente glorifichiamo la croce adorando il Crocifisso, cerchiamo in tutti i modi di svuotarla nella nostra vita. Vogliamo comprensibilmente superare tutto ciò che la adombra (dovere, sacrificio, dolore, ingiustizia e morte). Nonostante il dono della fede non accettiamo l’unica via del suo superamento: «aggiungo ciò che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1, 24). Così svuotiamo la Sua croce e ci impediamo la vittoria della Risurrezione.

Invece la croce è l’ultima parola tutta terrena di Gesù, una parola rivolta contemporaneamente al Padre («obbediente fino alla morte di croce» Fil 2, 8) e agli uomini («apparso in forma umana umiliò se stesso’ fino alla morte» Fil 2, 7-8), ed è nel contempo l’unica parola di vita. Lo dimostra la risurrezione, la parola definitiva di tutta la storia dell’umanità: «per questo Dio l’ha esaltato» (Fil 2, 9) facendolo risorgere. La croce di Cristo e la nostra croce in Cristo non sono pura passività e rassegnazione. Al contrario la croce è sempre apertura dinamica di responsabile libertà.

5. Il Figlio di Dio non viene nel mondo per ‘discutere’ con gli uomini, con i sapienti di questo mondo, sul mysterium iniquitatis (male), ma a prenderlo su di sé. Pro nobis: non solo ‘in nostro favore’, ma ‘al nostro posto’ assumendo su di sé ciò che spettava a noi. La nostra ricorrente tentazione di imputare il male a Dio si infrange solo contemplando il Crocifisso.

«Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo Sofferente innocente è diventato speranza- certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire» (Benedetto XVI, Spe salvi, 43)

Matteo rappresenta l’evento della croce accompagnato da tenebre, terremoto, apertura delle tombe, il velo del tempio che si squarcia’ Tutto ciò esprime una spaccatura definitiva nel tempo. La croce, che sta nel mezzo della storia del mondo, ne segna anche la fine. Infatti il giudizio del mondo ha luogo nel Crocifisso risorto. La storia personale e la storia umana trovano qui il loro definitivo indirizzo.

 

«Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio» (Mt 27, 39): la fede del centurione pagano diventa paradigmatica per ogni cristiano. Il valore della nostra vita si misura su questi eventi e il gioco della nostra libertà si svolge nella logica salutare di questa Santa Settimana. Prendiamovi parte con il cuore e la mente con cui vi prese parte la Santissima Vergine Addolorata. Amen