Omelia nella Basilica di S. Marco durante la messa delle ordinazioni diaconali (Venezia, 22 ottobre 2011)

22-10-2011

ORDINAZIONI DIACONALI

 

Venezia, Basilica di San Marco – sabato 22 ottobre 2011

 

 

Rivolgo un saluto cordiale ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati e a voi tutti fratelli e sorelle in Cristo.

Vorrei rivolgere un particolare saluto a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dai fedeli, che riempiono questa splendente Basilica di San Marco di preghiere e di canti, di affetto sincero, di commozione, di gioia umana e spirituale.

In questo Popolo di Dio hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa, da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino, e quelle che voi stessi avete già servito o state servendo pastoralmente. Senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici, come le monache di clausura, i bambini, gli ammalati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza. E’ dunque l’intera Chiesa di Venezia che oggi rende grazie a Dio e prega per voi.

Vogliamo, ora, porre l’attenzione della mente e del cuore su due orizzonti, due scenari, che ci vengono offerti dalle letture di oggi e dal rito di ordinazione dei diaconi.

Nel primo scenario ci viene presentato il duplice comandamento dell’Amore: l’amore a Dio e l’amore al prossimo.

Un dottore della legge provoca Gesù a stabilire un principio unificatore tra tutte le leggi, i precetti e i divieti (ben 613) presenti nell’antica tradizione giudaica: ‘Maestro, nella legge qual è il grande comandamento?’. Come discernere tra tutti questi, il più grande?

Gesù non ha nessuna esitazione e risponde prontamente: ‘Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente’. Il cuore è il luogo dove si prendono le decisioni, indica la decisione di amarlo, implica un atto della volontà. L’anima esprime l’essere della persona e quindi l’amore a Dio con tutto se stesso, con tutta la propria vita. La mente si riferisce all’intelligenza, all’impegno della ricerca di Dio, al desiderio di conoscere il pensiero di Dio, alla fatica e al fascino di ‘pensare Dio’.

Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: ‘Il secondo è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso’.

Anche la prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quelle persone che non hanno alcun difensore, prive di ogni garanzia. L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento. Ed ecco quindi che, nella conclusione del brano, i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: ‘Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti’. Gesù ci fa capire che non è sufficiente il primo comandamento: l’amore a Dio.

Tutte le religioni propongono l’amore a Dio, anche i pagani amano e onorano i loro idoli, come simbolo della divinità. E’ necessario che chi ama Dio, ami anche il suo fratello. Non si può dire di amare Dio, che non si vede, se non si ama il fratello, che si vede; così ci ammonisce l’apostolo Giovanni.

Il primo ed il secondo comandamento sono strettamente uniti, inscindibili, inseparabili. Se si annuncia la morte di Dio, come nelle nostre società secolarizzate, si rischia di decretare anche la morte dell’uomo.

Secondo scenario: il diaconato come primo grado del sacramento dell’Ordine sacro.

Nella comprensione del diaconato ci lasciamo illuminare dal dialogo che, tra poco, il Vescovo farà con gli eletti al ministero diaconale.

Anzitutto, si chiede ai candidati di esercitare la loro libertà, esprimendo la disponibilità ad essere presi a servizio della Chiesa. Questa libera disponibilità viene accolta e sigillata dal Vescovo mediante il gesto dell’imposizione delle mani per trasmettere il dono dello Spirito. Oggi sono molto lieto di essere strumento della grazia di Dio per voi e per l’amata Chiesa di Venezia.

Subito dopo viene descritto il modo e la finalità dell’esercizio del ministero diaconale. Il diaconato non è un titolo di prestigio, di onore o di potere, ma un servizio d’amore, un ministero da esercitare con umiltà e carità, in aiuto all’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano.

Francesco, Mauro e Morris, siete già stati assegnati ciascuno a servizio di una parrocchia, sotto la guida di un parroco. Ora, come diaconi della Chiesa di Venezia, il vostro ministero assume una dimensione sacramentale, diventa segno efficace, attraverso le vostre persone, dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Il dono dello spirito, che ricevete, vi aiuta a custodire, in una coscienza pura, il mistero della fede, per annunciarlo con la parola e con le opere, secondo il Vangelo e la Tradizione della Chiesa.

Custodire una coscienza pura significa lasciarsi guidare unicamente dallo Spirito Santo, dentro la comunione della Chiesa, in quello che dobbiamo fare, nelle decisioni che dobbiamo prendere, senza farci influenzare dalle mode correnti, da universi mentali o mondovisioni estranee al Vangelo di Cristo. Un Vangelo, che va annunziato con la parola e con tutti i mezzi a nostra disposizione, ma che va soprattutto testimoniato con la coerenza della vita.

La Chiesa latina sceglie, da tempo immemorabile, i suoi futuri presbiteri tra coloro che, per grazia, hanno ricevuto il dono del celibato. In questo modo, fin dal diaconato, i ministri ordinati rivivono personalmente, nella loro carne, la stessa forma di vita, che fu di Cristo. La grazia del celibato, assunta liberamente e responsabilmente custodita e fatta crescere, costituisce una modalità concreta per compiere un’esperienza integrale di vero amore, senza mutilazione di sorta. Il celibato è un segno visibile della totale dedizione a Cristo, non fine a se stesso, ma per il servizio di Dio, della comunità cristiana e dell’intera famiglia umana.

Per custodire la grazia del celibato, per esercitare con dedizione il ministero, è necessario lasciare il primo posto alla comunione con la Santissima Trinità attraverso una preghiera fedele, costante e ordinata. Ogni vostra e nostra giornata deve essere ritmata dalla liturgia delle ore, dalla celebrazione dell’Eucaristia, dalla familiarità con la Parola di Dio e dalle altre pratiche di pietà. Solo la dimensione contemplativa e orante della vita può aprire ad una autentica ed efficace carità pastorale.

E infine, carissimi Francesco, Mauro e Morris, con il ministero del diaconato sarete messi, in ogni Eucaristia, a contatto con il Corpo  e Sangue di Cristo. Per questo, siete chiamati a conformare a Cristo tutta, siete chiamati ad assumere una ‘forma eucaristica’ nella vostra esistenza, così che si possa dire di voi quello che san Paolo dice dei Tessalonicesi, nella seconda Lettera a loro indirizzata: ‘Non c’è comunque bisogno di parlare di voi, perché di voi parlano le vostre opere’ (v. 8).

Non siete soli nell’assumere questi impegni, ma siete accompagnati e sostenuti da tutta la Comunità, che oggi si stringe attorno a voi e prega con voi e per voi.

Maria, la serva del Signore, la Madonna della Salute, la Madonna Nicopeia, che ha conformato la sua volontà a quella di Dio, ha generato Cristo donandolo al mondo, ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero.

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