Omelia durante la S. Messa nella Giornata Mondiale del Malato (Marghera – Chiesa parrocchiale di S. Pio X, 11 febbraio 2015)

11-02-2015
S. Messa nella Giornata Mondiale del Malato
(Marghera – Chiesa parrocchiale di S. Pio X, 11 febbraio 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi malati, benvenuti!
Diamo il benvenuto anche a chi, ogni giorno, con voi, condivide quel Vangelo della sofferenza che, però, per noi cristiani diventa luce nella notte. Permettetemi anche di salutare i miei confratelli che, con la loro presenza, dicono che questa data – pur infrasettimanale – è importante. Il giorno è importante, perché ci siete Voi.
Vorrei partire da una frase di san Giovanni Paolo II: “La sola ragione, la sola intelligenza, non ci permette di capire fino in fondo la sofferenza”. E poi da un pensiero di Papa Francesco, espresso pochi giorni fa: “La fede ci permette – attenti bene – di abitare la sofferenza”. Ho parlato, appunto, del Vangelo della sofferenza.
Noi dobbiamo avere un cuore capace – di fronte alla sofferenza – di ragione e di fede, un cuore capace di amare dando senso, dando significato, al tragitto faticoso e quotidiano della sofferenza. La malattia, la disabilità e il dolore sono fonti di sapienza per il cristiano. E non è vero – ce lo ricorda ancora Papa Francesco – che una vita affetta da gravi malattie non sia degna di essere vissuta! Guai se entriamo in questa logica: l’uomo è ciò che si vede, l’uomo è ciò che produce, l’uomo è identificabile con il suo successo personale… L’uomo non è questo!
Papa Francesco – nel suo messaggio di quest’anno per una Giornata così importante – parla poi del valore speciale del tempo che noi trascorriamo vicino ad una persona ammalata, per farla sentire amata e confortata.
Questa mattina ho avuto la grazia di visitare diversi luoghi di sofferenza; ne sono stato edificato, soprattutto visitando certi reparti. E poco fa, prima di iniziare la celebrazione eucaristica, in questa vostra parrocchia ho visitato una famiglia: due parrocchiani anziani, due coniugi – Luigia ed Angelo – affetti da malattie progressive e devastanti. Io sono stato edificato anche e soprattutto dai loro figli, che erano accanto ai loro letti.
Stamattina, nell’ospedale Villa Salus, c’era in particolare un’amica vicino ad una giovane donna di quarant’anni che, dopo un incidente stradale, è inferma in modo totale; nel letto vicino c’era una figlia, sui quarant’anni, che assisteva sua madre…
Gli ultimi saranno i primi. Quando saremo di là, anche noi uomini in chiesa – a cui magari tanti hanno battuto le mani – saremo dietro a persone che son passate durante la vita terrena nell’anonimato più totale… Beati gli ultimi, perché saranno i primi! Quante sorprese avremo entrando nell’altra vita, la vita eterna!
Pensate che ogni giorno scriviamo nella nostra quotidianità il “libro” che sta in cielo; quel libro dove non si può mentire, quel libro dove la verità e la carità sono gli unici criteri. L’amore e la carità. Il mondo se ne dimentica, il mondo si dimentica di questi valori fondamentali – in nome della fretta, del fare, del produrre – e allora noi non sappiamo più che cosa è la gratuità. E dobbiamo essere grati a questi fratelli, queste sorelle che non ci fanno delle lezioni di filosofia…
Ci sono dei filosofi che sanno tutto ed hanno una risposta per tutto. Ma poi c’è la sapienza del cuore che va oltre l’intelligenza degli uomini. E allora – dice sempre Papa Francesco – quegli atteggiamenti del fare, del produrre e del sapere denotano poca fede. Sempre il Papa ci ricorda che è “un tempo santo” quello dedicato ai malati per aiutarli a fare le cose più semplici e più umili, più quotidiane e più necessarie.      
Si tratta di un gesto costante, quotidiano e feriale, guardando alla sapienza che è Gesù Cristo. La croce è un libro che sta in una pagina: è facile contemplarlo, ma come è difficile capire la croce! Chi ha capito cos’è la croce, è veramente un uomo, un uomo con lo sguardo di questa sapienza profondamente umana.
La Giornata del Malato – come sappiamo – coincide con la memoria liturgica della Vergine di Lourdes. Bernadette Soubirous: ai nostri occhi era poco intelligente, non aveva nemmeno potuto studiare ed era affetta da un morbo a quell’epoca appannaggio dei poveri a causa della malnutrizione… Eppure la Madonna ha scelto lei. E, ancora, la Madonna ha scelto una grotta che era un luogo d’incontri immorali, un luogo malfamato, anche una discarica pubblica.
Che cosa ci ha voluto dire così? Che dobbiamo rovesciare il nostro modo di pensare, che dobbiamo chiedere al Vangelo la semplicità delle beatitudini, il coraggio delle beatitudini, la forza della debolezza. E san Paolo ci ricorda: “…quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12, 10).
Ci sono dei momenti in cui si viene anche messi da parte: dagli uomini, dalle situazioni, dalla salute che viene meno, dalle ingiustizie… Guardate che proprio questi sono i momenti più fecondi, i momenti in cui noi capiamo chi è l’uomo, immagine di Dio. E, invece, la nostra società ci vuol far credere che l’uomo è… Dio; l’uomo sogna di poter fare tutto, di poter essere tutto e si illude di poter fare tutto ed essere tutto, per sempre.
Il peccato fondamentale è che gli uomini hanno perso il senso della creaturalità, del limite; Dio voleva che l’uomo riconoscesse il bene e lo chiamasse bene, conoscesse il male e lo chiamasse male. Ma l’uomo ha preteso di decidere lui cos’è il bene e cos’è il male.
Il tempo della prova, il tempo della sofferenza, il tempo del limite della creatura è il tempo nel quale impariamo che siamo immagine di Dio. E troviamo abbiamo un’energia, una risorsa e una forza perché, se siamo immagine di Dio, vuol dire allora che Dio – nella storia – ha scelto di agire attraverso di noi.
La Provvidenza di Dio – ordinariamente – cammina con i nostri piedi, parla con le nostre voci, agisce con le nostre mani. E poi, certamente, Dio sa andare oltre… ma, ordinariamente, Dio si serve di noi, che siamo sua immagine. Non pretendiamo di essere Dio per noi e Dio per gli altri! Il dramma dell’umanità inizia qui.
Il Vangelo della sofferenza – del limite – è un capitolo fondamentale dell’antropologia cristiana. E il Vangelo della sofferenza diventa il Vangelo della gioia.
Chiediamo al Signore – come dice il Papa quest’anno nel messaggio per la Giornata del Malato – di avere questa sapienza del cuore, questa sapientia cordis, questo sapere che ha bisogno di cuori capaci di amare. E guardate che, se la nostra fede non si trasforma in atti concreti di amore, non è vera fede; il nostro amore ha bisogno di essere stanato, di essere tirato fuori da una fede grande.
I santi sono riusciti a fare le cose che noi non riusciamo a fare, non perché erano più intelligenti di noi e non perché erano più colti di noi, ma perché avevano più fede di noi. Amore e fede, fede e amore: questo è l’umanesimo cristiano, che comprende l’uomo in ogni stagione e in ogni frangente della vita.
E aiutiamo anche i nostri giovani ad essere critici con certi messaggi che oggi vanno per la maggiore… La fede è, sempre, una memoria “pericolosa” per il mondo e il suo potere.
condividi su