Omelia durante il pellegrinaggio mariano dalla chiesa degli Angeli a S. Maria Assunta (Murano/Venezia, 3 maggio 2014)
03-05-2014
Pellegrinaggio mariano dalla chiesa degli Angeli a S. Maria Assunta
(Murano/Venezia, 3 maggio 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Prima di entrare nel tema del pellegrinaggio, una parola sulla festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo: la fede della Chiesa, fino alla fine dei tempi, o è la fede apostolica – la fede degli Apostoli – o è mancanza di fede. Non c’è epoca storica, non c’è clima culturale, non c’è secolarizzazione che possa intaccare la sapienza di Dio sull’uomo. La Chiesa di ogni epoca deve fare i conti con la fede apostolica. Chiediamo, allora, ai santi apostoli Filippo e Giacomo di aiutarci a rimanere fedeli al Credo degli Apostoli.
Ed ora introduciamoci nel mese di maggio che – come sappiamo bene – è dedicato dalla Chiesa alla Madonna; è il mese della madre del Signore. Soprattutto è il mese in cui siamo chiamati ad andare alla scuola di Maria, guardando a Lei. Cosa c’è – questa è la domanda fondamentale – all’inizio della vita di Maria di Nazareth? Qual’è il suo segreto?
Il Vangelo ci presenta Maria come Colei che è visitata da Dio, come Colei che si lascia visitare da Dio, come Colei che incontra Dio. Dio va sempre alla ricerca dell’uomo, va alla ricerca di ogni uomo. Possiamo dire che in ogni momento Dio è sulle mie tracce. Maria ha incontrato Dio e la sua vita, da allora in poi, dipenderà sempre da quell’incontro: ecco il segreto di Maria.
In questo mese mariano siamo allora chiamati a riflettere su quanto la nostra vita dipenda dall’incontro battesimale con Dio perché “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16): è la chiusura del Vangelo a noi veneziani particolarmente caro, quello di Marco.
Ognuno di noi deve capire che ci sono degli incontri che hanno segnato, plasmato, cambiato la sua vita. Maria è stata plasmata – è stata indirizzata – dall’incontro con l’angelo del Signore, l’incontro con la volontà di Dio.
All’inizio della messa esortavo a riscoprire la conversione mariana a 360° – il sì detto a Dio nella nostra vita – e, invece, quante chiusure noi opponiamo al disegno di Dio con il nostro comportamento. Qui vorrei essere molto chiaro: diventano decisivi i piccoli “no” detti al Signore. Le grandi chiusure (vocazionali, sacerdotali, religiose, sponsali) dipendono dai piccoli “no” detti al Signore.
La grande e prima lezione di questo mese mariano è semplicissima: non dobbiamo pretendere di essere gli arbitri insindacabili della nostra vita ma avere l’umiltà di lasciarci guidare. Papa Francesco, domenica scorsa, nell’omelia di canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, aveva definito ad un certo punto Giovanni XXIII come una guida che si è lasciata guidare dallo Spirito Santo.
La prima lezione di questo mese di maggio, la prima lezione mariana, è semplicissima: non dobbiamo pretendere di dire noi l’ultima parola sulla nostra vita. Certo, disponiamoci e prepariamoci ma… poi fidiamoci e lasciamoci guidare dal Signore.
Il sì dell’annunciazione è il sì che dice semplicemente disponibilità. La Madonna non dice: aspetta che adesso ci penso io, sei in buone mani… Dice semplicemente sì! «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Certe volte, nella Chiesa, ci lasciamo prendere da un linguaggio un po’ “ecclesialese”: in genere, chi più parla di servizio non serve… Si serve con i fatti, con la vita, con lo stile, con l’atteggiamento.
In questo sì mariano appare la vera libertà di una persona. Non c’è alternativa, non c’è una terza strada: se io non mi lascio condurre e guidare da Dio, allora sono io che pretendo di guidare me stesso. E cosa vuol dire? Che mi consegno al mio carattere. E’ triste dover dire che una persona o la si prende come è o la si lascia… Molto triste. Se non ci lasciamo guidare da Dio, noi siamo la guida di noi stessi con il nostro carattere, le nostre abitudini, le nostre contabilità…
Maria si inserisce ed anzi compie una linea biblica ben chiara; è il termine di tutte le figure femminili dell’Antico Testamento – sarebbe interessante poterle ripercorrere – ma qui ci fermiamo semplicemente a dire che Maria è il compimento della fede di Abramo, il quale è posto dinnanzi alla scelta fondamentale: aveva la sua terra, le sue sicurezze umane, i suoi beni materiali, le sue ricchezze, la sua onorabilità, la stima che aveva in Ur dei Caldei, tutto quello che gli poteva dare appagamento e benessere umano.
L’alternativa è fidarsi di Dio: vai, lascia le tue cose, ti mostrerò una terra e sarà tua, sarai padre di una moltitudine di genti. E tutta la vita di Abramo è esattamente la fedeltà a questa promessa. La disponibilità di Abramo si compie in Maria. La fede di Abramo è la promessa di un figlio – cioè della vita, quello che era il figlio nell’Antico Testamento: la discendenza, il futuro -, la promessa della vita da un uomo vecchio che ha sposato una donna sterile ormai anziana. La vita è più forte della morte.
Diventerai madre di un figlio, dice l’angelo a Maria. «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). C’è un impegno mariano in questa frase che troppe volte viene liquidata così, non spiegandola. Maria non era una stolta, sapeva come nascevano i bambini… Vuol dire che c’è un progetto di Maria circa la sua vita.
La vita si schiude dal dono totale di sé a Dio, ecco la verginità feconda di Maria, il compimento della fede di Abramo. Isacco nasce da un grembo morto; Gesù di Nazareth, il Verbo incarnato, nasce da Colei che si è data totalmente a Dio. Maria è il culmine, il compimento della fede di Abramo. Abramo ha creduto alla promessa che la vita è più forte della morte; Maria crede che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 46).
Maria ci sia maestra in questa lezione fondamentale perché – vedete – più l’insegnante va avanti e ha tanti anni di insegnamento alle spalle, più capisce l’essenziale. E allora nell’insegnamento molte sono le cose inutili, molte sono appesantimento culturale o erudizione che non è la sostanza; non si vive di erudizione, si vive di sapienza, di saggezza, di verità. La lezione mariana fondamentale è proprio questa: fidarci del Signore, lasciarci guidare da Lui.
Il sì disponibile di Maria, al di la dei progetti umani, è frutto di un cuore che appartiene totalmente e solamente a Dio. Ecco perché Maria non è un’appendice devozionale dei cattolici ma è nella linea biblica tanto che il Concilio Ecumenico Vaticano II – nell’ultimo capitolo della Lumen Gentium il capitolo ottavo – parla di Maria: dopo aver parlato della Chiesa in tutte le sue componenti misteriche, istituzionali, storiche ed escatologiche si parla di Maria. Il sì disponibile di Maria, al di la dei progetti di Maria, è un cuore che appartiene totalmente a Dio. Invece in noi il sì, molte volte, è il risultato di un cammino fatto di tante reticenze.
Noi abbiamo bisogno, di fronte alla misericordia di Dio, della conversione. La grazia della conversione, il ritornare al Signore. E allora la figura di Maria – in questo inizio del mese di maggio che è una grazia personale e per le nostre comunità – ci sia di aiuto nei confronti della tentazione che è di tutti: non rendersi disponibili al progetto di Dio.
Maria ci liberi da ogni ripiegamento su di noi e ci apra a Dio, a quello che Dio ha pensato e ha deciso per me. Risuoni anche per noi, al termine di questo cammino del mese di maggio, la beatitudine che la cugina Elisabetta proclama nel momento in cui Maria entra nella sua casa recando Gesù nel grembo, lei che attende il piccolo Giovanni Battista, il precursore: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).
Diamo uno sguardo di “serietà” – direi teologica ed evangelica – sulla nostra vita. Le nostre amarezze, il nostro scontento – che tante volte attribuiamo agli altri, alle situazioni… – sono in realtà il segno, chiaro, di un’appartenenza a noi stessi. La serenità e la gioia sono segni di appartenenza a Dio, esprimono il desiderio di una chiarezza che è stata fatta dentro di noi anche a prezzo di una certa fatica e di un certo dolore. E non c’è scritto da nessuna parte che la conversione è il dolore.
Fare chiarezza dentro di noi – sì sì, no no – rivela l’umiltà di lasciarsi condurre da Dio che ordinariamente – guardate – molte volte al giorno (non molte volte nella vita, ma molte volte in un giorno) ci parla attraverso le vicende quotidiane. Se chi di noi recita l’Ufficio recitasse i salmi leggendoli nella sua quotidianità, quante consolazioni riceverebbe nella vita di ogni giorno!
Maria ci aiuti a scegliere l’appartenenza a Colui che, solo, potrà darci la vera gioia del cuore. Questo è il mio augurio per il mese di maggio e, insieme, ci ricordiamo una speciale intenzione di preghiera: il dono di vocazioni sacerdotali alla Chiesa, alla nostra Chiesa, il dono di santi sacerdoti. Quanto fa e quanto può fare un santo sacerdote! Le nostre comunità hanno bisogno di tante grazie, ma la grazia ordinaria prima è quella di chiedere un pastore secondo il cuore di Gesù.
Il Vangelo dice che Gesù stava pregando sulla riva e, vedendo le folle, fu preso da un sentimento intimo di tristezza e di desiderio, perché gli sembravano delle pecore senza pastore. Gesù da un’indicazione chiara, guardando le messi che biondeggiano: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2).