Omelia durante il pellegrinaggio mariano da S. Giovanni Evangelista all'Addolorata (Mestre, 5 aprile 2014)
05-04-2014
Pellegrinaggio mariano da S. Giovanni Evangelista all’Addolorata (Mestre, 5 aprile 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Prendiamo spunto, in questa riflessione del primo sabato del mese che ormai guarda alla Settimana Santa, dall’ultima parte del Vangelo appena proclamato. Vi appare la figura di Nicodemo che era discepolo del Signore, ma andava da lui di notte… Ci viene in mente subito un’altra figura, quella di Giuseppe d’Arimatea, che darà il suo sepolcro al Signore ma era discepolo di nascosto. Essere discepoli del Signore in versione notturna o di nascosto.
Celebriamo oggi la messa di Maria discepola del Signore e allora riflettiamo, nell’imminenza della Settimana Santa e della Pasqua: com’è il nostro discepolato? In ciascuno di noi vive un po’ di Nicodemo, che va dal Signore di notte perché gli altri non se non se ne accorgano, o di Giuseppe d’Arimatea, che seguiva il Signore di nascosto. Al contrario, Maria si presenta come “la” discepola, la maestra di tutti i discepoli. E cerchiamo di scoprire qual è il segreto di Maria e del suo discepolato.
Andiamo al capitolo secondo del Vangelo secondo Luca: per ben due volte, ai versetti 19 e 51, l’evangelista ci dice che Maria conservava tutte le cose che riguardavano Gesù nel suo cuore. Qui c’è il segreto del discepolato di Maria. E, allora, la vita di Maria – come discepola e annunciatrice, come testimone ed evangelizzatrice, come presenza nel mondo degli uomini e dono di sé agli altri – ha il suo inizio da questo fatto profondo e radicale: la sua appartenenza a Dio.
Maria conservava le cose che riguardavano Gesù nel suo cuore, conserva sempre in sé la memoria di Gesù e per questo ha la capacità di cogliere tutto in rapporto a Lui. Contempla il mistero del Figlio che sempre la supera, la supera da ogni parte e a cui lei incessantemente si abbandona e affida: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38).
E questo atteggiamento di discepolato mariano – l’appartenere a Dio – vale per tutte le vocazioni: per il prete e per il diacono, per i coniugi cristiani e per le anime consacrate. Il discepolato di Maria sgorga dalla contemplazione e dall’adorazione incessante del Figlio e del suo mistero. In Maria il discepolato nasce da un cuore totalmente dedito e impregnato del mistero di Dio. Maria “abita” il mistero di Dio e, allora, da Dio è guidata non dove la spinge la sua volontà umana, il suo interesse o la sua curiosità, ma là dove lo Spirito la chiama perché si compia il regno di Dio: a Betlemme in una povera stalla, in Egitto profuga e perseguitata, a Cana di Galilea come colei che intercede, al Calvario e nel Cenacolo dove attende il dono promesso da suo Figlio.
Maria, comunque sia, non ritratta mai il suo “sì”, ciò che una volta ha detto al suo Dio con tutta la sua vita: “Ecco la serva del Signore”. Maria, con questa parola, consacra sé con il cielo. La forza, il segreto, di Maria è molto semplice: abitare Dio. Tutto il resto nel discepolo può anche esserci o non esserci: ciò che è essenziale è il suo dimorare in Dio.
Maria abita in Cristo perché Cristo, per lei, diventa la vera sapienza. Non è qualcosa, qualcuno o una relazione da tenere nascosta, come è successo a Nicodemo o a Giuseppe d’Arimatea: Dio è colui che ha dato il senso alla sua vita, perché il rapporto con Lui illumina la sua vocazione. Il rapporto con Dio, infatti, dice continuamente al discepolo chi è, da dove viene e dove va.
Noi cristiani – che abbiamo un riferimento di fede, magari tiepido, ma lo abbiamo… – non intuiamo nemmeno quale sia il baratro esistenziale di certe persone che, quando la vita avanza, non sanno rispondere alla domanda: chi sono? dove sto andando? cosa cerco per questa vita?
In Maria non c’è nulla di complicato o di artefatto, in lei tutto partecipa di questa semplicità: il Signore Gesù come sapienza profonda e anche semplificatrice della sua vita. In Maria non c’è, come per noi, l’alternativa problematica tra azione e contemplazione, tra preghiera e servizio dei fratelli. Maria va, dove è richiesta, senza mai uscire dalla sua contemplazione.
In Maria non c’è alcuna separazione o scissione interiore, perché in lei non si dà nessuna divisione: solo la sua pienezza di fede le permette di potersi dare, nell’azione, in questo modo totale. Solamente una fede piena, totale e accompagnata dalla vera povertà del cuore le permette di essere “la” discepola e la prima evangelizzatrice.
Non possiamo dimenticare la prima missione evangelizzatrice di Maria quando, con passo frettoloso, si reca nella regione montuosa della Giudea, portando Gesù in grembo e incontrando il Precursore. E la cugina Elisabetta le dice: “…appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (Lc 2, 44).
Maria, con passo gioioso e frettoloso, senza interporre indugio, porta il Signore. E lo porta perché l’ha dentro di sé. Ecco perché, molte volte, c’è una certa sterilità nel nostro agire apostolico, missionario, evangelizzatore. Non perché ci manchi l’intelligenza, la forza o l’energia ma perché, forse, in noi non abita il Signore. O, meglio, noi non abitiamo nel Signore.
Ecco perché la vita del discepolo del Signore non può non iniziare con la preghiera. Una giornata che inizia senza preghiera è una giornata di discepolato sbagliato e più abbiamo da fare – anche da un punto di vista evangelico e missionario – più dobbiamo iniziare dallo stare di fronte al Signore. Una comunità che prega, che prega veramente, è sempre anche evangelizzatrice.
Non dimentichiamo che Madre Teresa non lasciava uscire le sue suore, per raccogliere i moribondi per le strade di Calcutta, se prima non avevano fatto due ore di adorazione. Noi, con la nostra logica, avremmo detto: chissà quanti moribondi, in quelle due ore, si sarebbero potuti raccogliere e intercettare… Ma i santi hanno una logica più ampia della nostra, più grande.
Solo la pienezza di quel “sì” e di quell’appartenenza permette a Maria di stare nel suo discepolato in questo modo. Solamente l’appartenere a suo Figlio gli permette di dire: “Non hanno vino”. E Gesù le risponde: “Non è ancora giunta la mia ora”. E lei, ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (cfr. Gv 2, 3-5).
Il discepolo è anche una persona che sa stare con confidenza, con fiducia e con forza di fronte al suo Signore. Maria è “maestra”: essendo veramente povera e veramente credente, non ha nulla da difendere per se stessa, non ha nulla da chiedere per se stessa e allora diventa uno strumento, un sacramento, un segno efficace della potenza di Dio. Questi sono i santi!
I santi preti non erano più intelligenti dei loro confratelli, le sante suore non erano più intelligenti delle loro consorelle, i santi coniugi cristiani non erano più dotati economicamente, intellettualmente o socialmente degli altri coniugi cristiani con cui condividevano il quotidiano… Maria non reclama nulla per sé. Non chiede posti, non chiede lodi, non chiede riconoscimenti. In lei l’unico interesse, l’unico desiderio, è che si faccia la volontà di Dio. E quando a un cristiano interessa solo che sia fatta la volontà di Dio nessuno lo ferma più! Nel senso che è una persona libera, non una persona violenta, una persona che può muoversi secondo la logica di Dio.
Pensiamo al Padre nostro, quella preghiera che – molte volte – non diciamo come andrebbe detta. Siamo tutti peccatori e dobbiamo tutti convertirci, anche nel nostro modo di pregare. Quante volte abbiamo detto, nel Padre nostro, “sia fatta la tua volontà”? Ma quante volte l’abbiamo pensato? Quante volte è stato occasione di un esame di coscienza?
Maria non ha tenuto Gesù per sé, non ha avuto timore di essere scelta e portata da Lui per strade non gradite. Maria, così, ha subito partecipato di quella libertà dei figli di Dio che è una liberta piena, totale e che noi – molte volte – non riusciamo purtroppo ad avere perché tentiamo sempre di trattenere qualcosa per noi. E qui si originano le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre mancanze di libertà; nasce una vita divisa, perché incapace di piena e totale condivisione con Dio.
Il nostro dimorare in Lui è sempre precario, è sempre instabile. E qui si ha un’immagine profonda del nostro procedere zoppicando, sulla strada del Signore. La Quaresima ci è data proprio per riprendere in mano il nostro rapporto con Dio. Certo, ci sono anche gli esercizi spirituali e i gesti penitenziali che sono importanti se inseriti in questo progetto, in questo cammino e in questo desiderio di ritornare ad abitare nel Signore.
Concludiamo, allora, guardando a Maria che – con passo frettoloso – si incammina verso il villaggio di Ain Karim. Dice sant’Ambrogio: “La grazia dello Spirito, quando è tale, non conosce indugi”. Sa di obbedire a Dio e non frappone indugi. Obbedendo al suo Signore non teme di distrarsi: Maria cerca solo il Signore.
Cerchiamo di essere una comunità e dei discepoli, a seconda delle vocazioni di cui ci è fatto dono, che cercano il Signore. E ricercare il Signore – questa volontà di essere discepoli – nasce dalla nostra conversione. Prepariamo bene un incontro sacramentale – una riconciliazione sacramentale – per celebrare bene la Pasqua. Insisto: prepariamola, qualche giorno prima… Chiudiamo la nostra giornata con un esame di coscienza che non deve creare angosce, timori o preoccupazioni ma che deve essere solo questo: Signore, aiutami ad essere più tuo, ad essere più tua, aiutaci ad essere più tuoi, aiutami a capire, aiutami ad essere discepolo là dove tu mi chiami.
Guardiamo a Maria e chiediamo a Lei che sia veramente quella discepola che ci insegna la cosa fondamentale: appartenere a Lui, essere suoi, incominciare a godere di quella libertà che ci fa essere discepoli del Signore, non più di nascosto o in versione notturna ma là dove lo Spirito ci chiama.