Omelia durante il pellegrinaggio mariano alla chiesa parrocchiale di S. Maria del Rosario / Gesuati (Venezia, 7 febbraio 2015)
07-02-2015
Pellegrinaggio mariano alla chiesa parrocchiale di S. Maria del Rosario / Gesuati
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Abbiamo ascoltato nel Vangelo, appena proclamato, come Gesù chiami i Dodici perché, dopo un momento di missione, stiano con Lui “in disparte” (Mc 6,31). E se torniamo indietro, al capitolo terzo di Marco, troviamo Gesù che passa la notte in preghiera sul monte, da solo.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci dice appunto che, dopo averli inviati in missione e al loro ritorno, la preoccupazione di Gesù è di chiamarli a sé perché stiano con Lui e si riposino in quanto erano stanchi. Vorrei soffermarmi proprio su questo punto.
Cosa vuol dire? Vuol dire una cosa molto semplice: dare spazio alla preghiera. Un ministro che non prega, o che si limita a compiere degli atti liturgici perché richiesti dalla pastorale, sbaglia… Si tratta di stare con il Signore e, quindi, bisogna scegliere il tempo quotidiano, settimanale, mensile per stare soli con Lui.
Maria lascia semplicemente che lo sguardo di Dio la indaghi, parli a Lei, La guidi nella risposta. Ed allora esce fuori il canto del Magnificat. Questa preghiera mariana – questo stare con il Signore da parte di Maria – ci dice che Maria non era una mistica astratta, non era una creatura disincarnata, non era persa dietro i suoi pensieri, i suoi vaneggiamenti o le sue sensazioni.
Spesso noi leggiamo la povertà in un modo molto riduttivo, come il non possedere. La povertà, invece, è la libertà del cuore. Uno è veramente povero non quando non possiede, perché potrebbe non possedere e maledire Dio… e poi la povertà riguarda il “non possedere” a seconda dello stato, della vocazione, della posizione in cui una persona si trova: la povertà di un vescovo, la povertà di un prete, di un diacono, di un religioso, la povertà di un laico sposato con figli… Povertà fa rima con libertà; la persona libera è la persona povera, la persona povera è la persona veramente libera.
E la vita cristiana è sempre vita battesimale. Anche se siamo vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi, prima di tutto è vita battesimale cioè vita di scelta! E questo nell’epoca in cui si teorizza che non bisogna scegliere, che bisogna tenersi aperte tutte le porte e che, se si fanno delle scelte, bisogna avere delle vie d’uscita pronte e rapide.
Dobbiamo ritornare a questi fondamentali. Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam Suam affermache più la Chiesa entra in un mondo secolarizzato e tanto più deve essere simile a Gesù Cristo.
Parlavo prima della vocazione battesimale, che permane al di là delle altre vocazioni che poi specificano questa vocazione comune. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen gentium, parla appunto della vocazione universale alla santità: è la vocazione battesimale, è questo scegliere il Signore, sceglierlo sempre, sceglierlo quotidianamente, sceglierlo nella concretezza della nostra vita di ogni giorno. Se scegliamo qualcosa di diverso o di meno rispetto al Signore, infatti, noi non abbiamo la libertà cristiana.
A quante cose noi possiamo rimanere impigliati! Io ne indico una sola: il nostro carattere, il nostro modo di essere, l’uomo vecchio che è in noi, la battaglia quotidiana del guardarci dentro e del chiedere al Signore di guardare la nostra povertà. Le periferie del mondo – guardate – nascono dal cuore dell’uomo; sono dentro di noi, si radicano dentro.
Chiediamo alla Vergine Santissima – che si è lasciata guardare da Dio, come ci ha detto anche Luigi Caburlotto, e che ha potuto guardare da Dio – di avere questa saggezza e questa capacità, perché la riforma della Chiesa non si fa partendo dalle strutture.
E ricordiamoci una cosa: quando la Chiesa, una volta all’anno, ci fa celebrare la festa della santità, non usa mai l’astratto ma celebra la solennità di Tutti i Santi, la santità concreta. La santità infatti ha dei volti, ha degli sguardi, ha dei lineamenti, ha delle storie.
E’ quanto ci insegna sempre quel contadino a cui si riferiva il santo curato d’Ars, quel contadino che vedeva entrare nella sua chiesa lasciando fuori gli attrezzi della campagna. “Buon uomo, ditemi – gli chiese san Giovanni Maria Vianney –: che cosa venite a fare in chiesa?“ e glielo chiedeva un parroco che passava ore ed ore in ginocchio davanti al tabernacolo… E quest’uomo – che ha un nome e un cognome – rispose: “Padre, io Lo guardo e Lui mi guarda”.